Vino trentino, anzi lagarino, anche in Brasile. O meglio in Rio Grande do Soul, la terra gaucha da sempre sull’orlo della secessione dal resto del Paese almeno dai tempi di Garibaldi, a cui è stata intitolata anche una città; ovvero lo stato più meridionale e avanzato del grande paese latino americano. Terra dell’emigrazione italiana e del drammatico e doloroso pionierismo trentino sul finire dell’ottocento. Oggi la terra più ricca e industrializzata del Brasile. All’avanguardia anche nella coltivazione della vite e nella produzione di vino. E laggiù a migliaia di chilometri dalla Valle dell’Adige, nel distretto di Bento Gonçalves – una cittadina di centomila abitanti ad una manciata dalla capitale Porto Alegre e gemellata con i cinque comuni lagarini di Rovereto, Villa Lagarina, Nogaredo, Trambileno e Terragnolo -, laggiù si diceva da qualche mese qualcuno ha deciso di onorare la memoria dei padri e delle loro fatiche issando su un azienda vitivinicola la bandiera di Terragnolo. Dallo scorso inverno, infatti, si chiama proprio così la cantina di una delle tante famiglie Valduga che si incontrano in Rio Grande do Soul (insieme ai Giordani, agli Zandonatti, agli Stedile); antichi ascendenti partiti proprio dal paese delle Valli del Leno e oggi una delle più note e prestigiose aziende vitivinicole del Paese, come ci raccontava ieri Maurizio Stedile appena rientrato da Bento; dagli spumanti ai vini internazionali, bianchi e rossi. Tutto di buona qualità. Almeno per un paese dove la bevanda nazionale è la birra. Qualità targata trentino per un pezzo di Brasile, quello gaucho, che si stenta a riconoscere nella scontata iconografia a cui siamo abituati. Un omaggio a Terragnolo e alla storia del Trentino.