img_0467 La porta dell’osteria è stata riaperta solo da qualche settimana, eppure il “Carnera” è come se non fosse mai rimasto chiuso. In pochi giorni, anzi subito, è diventato quello che è sempre stato: un luogo di incontro della vecchia Ala; quella degli alensi doc, quella delle partire a carte, quella della politica che si fa anche davanti ad una bottiglia di vino, quella dove un piatto di canederli o di trippe è sempre pronto, quella dove si “tira a far mattina”, come nelle vecchie osterie dei “biassanot” bolognesi cantati nell’epica delle notti gucciniane. Insomma il “vecchio Carnera” – questa è la nuova insegna – è tornato a vivere e a far rivivere un pezzo di città, quella più vera e quella più tradizionale. La sua è una storia che ha attraversato oltre metà del secolo scorso. Il nome è un omaggio popolare al gigante buono di Sequals. L’osteria sulle carte è sempre stata la “Trattoria Alpino”. Ma quasi nessuno lo ha mai saputo. Per tutti è sempre stata il “Carnera”: per quella vaga somiglianza fra il Mario – Mario Mellarini, il gestore storico del locale – e il grande pugile degli anni trenta; anche lui, il Mario, che per decenni ha mandato avanti il locale con la madre Pierina, il figlio Gianni, la moglie Ida, era un po’ così: un omaccione rude e buono; estate e inverno sempre a petto nudo con il suo “grombial” da oste, ogni tanto lo vedevi ungersi le braccia e gli addominali cospargendosi di grappa o lavarsi nelle acque ghiacciate della fontana. E quando gli chiedevi un panino era uno che infilava le braccia, a mani nude, dentro i vasi di sottaceti, e ti chiedevi come ci potessero entrare, e il panino era fatto; andava sempre bene come lo preparava lui e guai a lamentarsi: sarebbe stato come rovinare un incanto e correre il rischio di essere mandato a quel paese e ritrovarsi fuori dalla porta. Ora l’osteria di Villalta è di nuovo aperta, rinnovata, rinfrescata, ma fedele alla linea ruvida ed essenziale del Mario: a non rovinare le cose, perchè solo questo si poteva fare in un posto così, ci ha pensato la designer Michela Bruni. Al bancone il Carnera non c’è più, al suo posto c’è un ragazzone padano tutto ricci e dall’aria un po’ svagata del giramondo che ha preferito lasciare le pianure per rifugiarsi sotto le piccole Dolomiti: Massimo Caglioni. Insieme a lui, in sala regia, due vignaioli che da soli sono già un bel pezzo del panorama vitivinicolo della Valdadige, Albino Armani e Giuseppe Tognotti di Maso Michei. Due artigiani del vino che hanno hanno deciso di riprendere in mano una storia che si era interrotta per ridare alla città un’osteria di cui tutti, e senza retorica, sentivano la mancanza. Un’idea di fondo: provare ad interpretare, in maniera anche imprenditorialmente efficacie, le filosofie e il profilo del territorio, a partire dalla vendita diretta dei prodotti della terra. Quelle che i moderni interpreti del politically correct enogastronomico definiscono prodotti a “Km zero”. E al vecchio Carnera, hanno spiegato i due vignaioli, la filosofia sarà soprattutto questa: mescita al banco solo delle etichette, e sono oltre trenta, riconducibili alle due aziende. E materie prime per una ristorazione da trattoria attenta alla stagionalità, provenienti esclusivamente dal bacino territoriale che sta fra il monte Baldo e la Lessinia. Il Carnera, dunque, almeno nei propositi si candida a diventare una delle prime osterie “km zero” del Trentino. Insieme a Massimo Caglioni, Albino Armani e Giuseppe Tognotti, nell’avventura dell’osteria “caneva e bottega” – perchè i prodotti saranno venduti anche al dettaglio -, si sono affiancati anche il proprietario del palazzo di piazza Buonacquisto, l’imprenditore Francesco Pedrinolla, e due giornalisti veneti del settore del vino, Elisabetta Tosi e Giampiero Nadali. Oggi pomeriggio, a partire dalla 15, l’inaugurazione ufficiale (www.vecchiocarnera.com).