C’è qualcosa di essenzialmente, anche se forse inconsapevolmente, eversivo nella tematizzazione della tavola rotonda che per il secondo anno consecutivo ieri ha aperto i festeggiamenti di “Uva e dintorni”, ad Avio in Trentino: “Il senso delle donne per il vino”. Lo scorso anno appuntamento dedicato al tema della maternità. Quest’anno, con la moderazione di Federica Schir, a quello della paternità. Temi apparentemente innocui e tranquillizzanti per un rilassante pomeriggio di fine estate. Ma solo apparentemente.
Il richiamo a maternità e paternità, coniugati attorno al vino e alla coltura della vite, infatti evidenzia apertamente uno degli elementi fondativi della società occidentale: il mito di Dioniso, divinità della vite e del vino ma anche dell’ebbrezza visionaria ed eversiva e dell’irriducibile vitalismo nietzscheano. Mito importato, come del resto la coltura della vite e la cultura del vino, dall’oriente e iconizzato nella sua forma classica dal sistema culturale ellenico. Riporto qui un passo del coro delle Baccanti di Euripide: “…Lo serbava nel grembo, un giorno, la madre tra doglie di parto fatali. Poi a volo piombò il tuono di Zeus, lei lo espulse dal ventre, e schiantata dal fulmine lasciò la vita. Subito Zeus, figlio di Crono, lo accolse nella guaina segreta della sua coscia cucita con fibbie dorate, all’oscuro da Era. E lo partorì, dio cranio di toro, quando le Moire compirono il tempo, e lo coronò di corone di serpi: da allora le Menadi, nutrici di fiere, intrecciano serpenti tra i capelli…”. Concepito nel ventre di Semele, dunque, Dioniso fu partorito dalla coscia di Zeus. Genesi che racconta con stupefacente e poetica naturalezza di un mescolamento ancestrale fra maternità e paternità. Zeus, che dopo aver incenerita e uccisa con la folgore la principessa di Tebe figlia di Cadmo e madre di suo figlio, cuce con fibule d’oro l’embrione dentro la coscia per nasconderlo dalla distruttiva gelosia di Era, smette in quel momento stesso di essere maschio per diventare contemporaneamente maschio e femmina, concepitore nel suo ruolo maschile e partoriente in quello femminile: creatura ermafrodita che congiunge in sé eterno femminino ed eterno mascolino. Paternità e maternità allo stesso modo e allo stesso tempo.
A parte l’interpretazione di chi ha voluto rintracciare in questa iconizzazione della nascita di Dioniso la formalizzazione narrativa del passaggio da una società di stampo matriarcale ad una società a matrice patriarcale, a parte questo, la genesi dionisiaca a mio modo di vedere racconta piuttosto il mistero alchemico di una nascita ultraterrestre che mistericamente cela attraverso il mescolamento di genere il folle rito della vita: ordine e disordine, caos e forma, uomo e donna. Paternità e maternità, appunto. Ribaltamento eversivo del sistema ordinato delle gerarchie di sesso. Dioniso, che dopo essere stato allevato dalle zie materne, percorrerà l’Europa diffondendo la coltura della vite, nasce in questo modo, da questo mescolamento originario di maternità e paternità in cui tutto si fonde e si confonde in un unicum eversore.
E questa originazione dall’alchimia del disordine, in cui la distinzione di sesso scompare e si ricompone, quasi vissuto intimamente come peccato originale, fa capire anche la ragione per la quale nel corso dei secoli e sino ad oggi ciclicamente le società figliate dalla tragedia greca abbia coltivate relazioni profondamente ambivalenti nei confronti del vino e della suo potere d’ebbrezza e quindi di eversione: relazioni di invincibile attrazione ma anche di radicale colpevolizzazione; e ne sono la prova le ricorrenti tentazioni proibizionistiche che hanno attraversato, e come ben sappiamo attraversano ancora e forse soprattutto ora, la società occidentale. Perchè quello dionisiaco, come riconosceva Nietzsche, è elemento fondante della tragedia greca e quindi della nostra civiltà. Ma anche anima del suo OltreUomo che ricompone la suggestione mitologica della spontaneità, della naturalità e della completezza come orizzonte di una nuova umanità vitalistica destinata a soppiantare quella precedente, modellata su istituzionalizzazioni formalistiche e apollinee, sempre per usare una categoria nietzscheana; le stesse che avevano messe al bando, e mettono al bando, ebbrezza ed energetico vitalismo dionisiaco.
La carica eversiva di una ricostruzione culturale, e non solo, piantata su queste basi è evidente e scuote per la sua forza di provocazione e di suggestione le fragili convenzioni delle società dominate dall’elemento apollineo, che hanno sempre cercato di ottundere e di depotenziare, anche attraverso strumentazioni repressive, l’alchemico e costitutivo elemento dionisiaco della civiltà occidentale. Non a caso fu proprio nella città di Tebe, città di cui Dioniso era divinità primaria, che per la prima volta furono vietati i culti e i misteri del figlio di Zeus e Semele. Del resto è nelle società istituzionalizzate e formalizzate che lo spirito dionisiaco viene ciclicamente bandito, perchè, – in quanto incarnazione del mistero della vita che come abbiamo visto mescola irriducibilmente in un unicum indistinto paternità e maternità -, grazie alla sua carica di ebbrezza visionaria è capace di sovvertire l’ordine costituito e di ribaltare, oltre le gerarchie di genere, anche le gerarchie dell’ordine formale e del potere.
Giornalista e blogger con uno sguardo curioso, e a volte provocatorio, verso la politiche agricole; appassionato di vino, animatore di degustazioni fra amici e di iniziative a sfondo enologico, è tra i fondatori di Skywine – Quaderni di Viticultura e di Trentino Wine. Territorialista, autoctonista e anche un po’ comunista. Insomma contiene moltitudini e non se ne dispiace!