Ieri sera gli oltre 200 soci di una delle cantine cooperative simbolo della viticoltura trentina di qualità, la Sociale di Isera (Trentino), hanno partecipato all’assemblea annuale della loro azienda. Ma solo loro. I giornalisti, per la prima volta, sono stati tenuti fuori dalla porta. Assemblea rigidamente blindata. Ingressi “cortesemente” ma rigidamente vigilati da zelanti funzionari. E giornalisti invitati gentilmente ma rigorosamente a non oltrepassare la linea rossa della porta d’ingresso. La decisione era stata annunciata in mattinata dal presidente della coop. Giusto. Gli imprenditori hanno tutto il diritto di discutere in gran segreto delle loro contabilità. E anche dei loro guai, quando ne hanno. Così come i cronisti provano a fare il loro mestiere anche cercando di ficcare il naso dove non dovrebbero ficcarlo. Semplicemente perché provano a fare bene il loro lavoro senza accontentarsi delle veline addomesticate dagli uffici stampa. Insomma ognuno fa il suo mestiere. Ma il punto non è questo. L’esclusione dei giornalisti, e quest’anno non è la prima volta che accade nei paraggi della cooperazione trentina, assume un valore simbolico e denuncia un clima di tensione e di nervosismo che racconta ancora più dei numeri la dimensione della crisi del vino, in Trentino come altrove. Fino ad un anno fa – e sembrano trascorsi anni luce da quando la stampa veniva accolta in cantina con i tappeti rossi fra compiaciute e mielose seduzioni – questo mondo che, diciamolo pure, faceva soldi a palate, si è avvantaggiato del circuito mediatico, ne è stato protagonista di primo piano e interlocutore preferenziale. La comunicazione è stata senz’altro uno dei fattori che hanno tenuto in piedi un settore che poggiava gran parte del suo valore, anche economico, sulle parole, sulle immagini e sulla comunicazione. E il rapporto con i giornalisti era diventato un nodo centrale, e non solo un valore aggiunto, nella promozione e nella valorizzazione del prodotto vino. Un intreccio, non ce lo nascondiamo, talvolta denso di equivoci, talvolta opaco e talvolta al limite di quella zona grigia che divide la cronaca dalla pubblicità dissimulata sotto le vesti di giornalismo di settore. Oggi non è più così. Le porte chiuse della cantina di Isera sono l’immagine, immagine che va ben oltre la sociale della destra Adige, di qualcosa che è cambiato anche in questo rapporto. Forse in meglio: perché azzera lo spazio di qualsiasi occasione di compromissione fra cronaca e impresa e riporta ciascuno dentro il proprio ruolo senza commistioni. Forse in peggio: perchè induce a pensare che la stagione delle “cantine aperte” abbia ceduto il passo al tempo delle “cantine chiuse” e questa probabilmente è l’ultima cosa di cui in questo momento ha bisogno un’economia come quella del vino che annaspa e di giorno in giorno perde significative quote di mercato.