ANGELO CARRILLO – da Quotidiano Alto Adige di Bolzano 25 maggio 2011

EGNA. Salviamo il Pinot nero. Potrebbe essere questo il tema dell’edizione delle giornate altoatesine del Pinot nero: un grido d’allarme lanciato in un momento in cui questo raffinato ed elegante vino rosso, sembra godere di uno stato di grazia, almeno in Italia. Ma a mettere l’accento sulle criticità che comporta il successo è Peter Dipoli, vignaiolo e commerciante tra i più noti.

Come sta il Pinot nero in Alto Adige?
«Molto bene direi. Il successo del Pinot nero è dovuto allo stato di grazia in cui abbiamo la fortuna di allevare i nostri vigneti grazie a un fortunato mix di condizioni climatiche e zone adatte che abbiamo ereditato sin dalla fine dell’Ottocento e che ci permette di produrre uno dei migliori Pinot italiani».
Tutti contenti allora?
«Il problema è che gran parte delle zone non sono adatte alla coltivazione di questo vitigno così esigente e in questo momento dato il successo commerciale che il Pinot nero dell’Alto Adige sta ottenendo c’è il rischio che per una pura scelta di opportunità il vitigno venga piantato in zone fuori da quelle più vocate».
Com’è successo con altri vini?
«Nel caso del Gerwürzraminer che ha avuto una grande richiesta sul mercato nazionale negli ultimi 15 anni c’è stato un aumento indiscriminato di impianti. E lo stesso si può dire del Lagrein».
Cosa le fa pensare che anche il Pinot nero sia in pericolo?
«Ultimamente ho chiesto a qualche importante vivaista quali sono le barbatelle (le piantine per gli innesti ndr) più richieste. E mi è stato detto che per i bianchi le richieste si concentrano sul Pinot, il che è una gran cosa visto che in futuro questo deve essere il nostro bianco».
E per i rossi?
«Per i rossi le richieste si indirizzano sul Pinot nero, che molti stanno piantando ovunque, anche in zone non adatte magari a fianco di impianti di cabernet. Questo può portare alla morte del Pinot nero che non ama troppo il caldo visto che si tratta di un vitigno continentale e non mediterraneo».
Ma se questo vino si vende non va bene lo stesso?
«Se si vende un vino che è il prodotto di una moda no, perché le mode sono passeggere e si innesta una dinamica al ribasso per cui, come nel caso del Traminer, quello buono fa da apripista e poi per soddisfare le richieste si comincia a produrre di più e fuori dalle zone migliori dove i costi sono più alti, fino a saturare e a stancare il mercato».
Qual è la soluzione?
«La cosa più importante è rivedere le “doc“ che oggi permettono di piantare Pinot nero ovunque e poi bisogna iniziare a parlare di zonazione».
Ma non tutti sarebbero contenti…
«Lo so, ma dobbiamo pensare a lungo termine. È chiaro che l’enologo deve fare attenzione al bilancio, il presidente deve essere rieletto e i viticoltori devono vivere. Ma noi non dobbiamo essere “escort” e soddisfare a tutti i costi tutte le richieste».
Più facile a dirsi che a farsi. Anche quando il campione è il miglior Pinot nero d’Italia.