Faccio un copia e incolla, qui, di un articolo pubblicato ieri da L’Adige di Trento. Mi sembra sia un bel modo di raccontare un’azienda e il suo prodotto. Anche per far capire ai tanti detrattori di questo blog, che non siamo sempre e comunque polemici. Buona lettura e grazie a L’Adige da cui abbiamo preso questo articolo.

(fonte L’Adige, domenica 4 dicembre 2011) –Pedrotti, bollicine in grotta – Sono due sorelle, una bionda e una mora. Una con i capelli lunghi (la bionda) e una con i capelli corti, almeno ora (la mora). contatti_left Una è il «maschiaccio» di famiglia, lo dice lei di se stessa, e infatti lavora in cantina e in produzione: «Si vede dalle mani e dalle unghie», dice sorridendo; l’altra si occupa di contatti con i clienti, di marketing e di amministrazione. La bionda è laureata in economia, ma ha frequentato anche il primo master sugli spumanti organizzato dalla fondazione Mach. La mora, invece, è un ingegnere. Ma pensa già alla seconda laurea: in enologia, a San Michele naturalmente. Sono due trentenni, e non vado oltre perché sono ancora di quelli all’antica che l’età delle donne non la chiede e soprattutto non la scrive. Hanno figli, mariti e compagni. Insomma, sono donne normali che riescono a conciliare splendidamente i tempi dell’impresa, perché sono due imprenditrici, con quelli della famiglia. Sono Chiara (la mora) e Donatella (la bionda) Pedrotti. Due giorni fa, a palazzo Roccabruna, l’enoteca provinciale, quel gran signore delle bollicine trentine che è Paolo Pedrotti, ha annunciato di voler lasciare a loro, definitivamente, l’azienda di famiglia: lo Spumantificio Pedrotti di Nomi. Un passaggio del testimone, che è anche un passaggio generazionale; un ringiovanimento aziendale al femminile che dà smalto a tutto il mondo del Trentodoc. Naturalmente Paolo, 71 anni, in azienda ci lavora ancora; quando uno la passione per il metodo classico ce l’ha nel sangue, come ce l’- ha lui, è difficile immaginare possa mollare: «Ma certo, in cantina ci sto ancora 12 ore al giorno, lavoro come prima. Ma voglio più tempo per i nipotini, per mia moglie. E poi è giusto che la responsabilità dell’azienda passi alle mie figlie. Sono prontissime per per farlo». E si capisce, perché gli vengono quasi le lacrime agli occhi quando ne parla, quanto sia orgoglioso delle sue due bellezze. Chiara e Donatella, in mezzo alle champagnine, alle pupitres, alle flûtes e ai lieviti, ci sono nate. Nel loro album di famiglia che le ritrae bambine, è difficile trovare una foto in cui non compaiano accanto a qualcosa che sa di spumante (metodo classico, naturalmente). In azienda ci hanno sempre bazzicato, fin da piccolissime. Poi gli studi, l’università, esperienze di lavoro all’estero, e infine entrambe sono tornate a Nomi. In azienda ci lavorano a tempo pieno già da cinque anni. Quindi, questo passaggio generazionale, è una cosa seria, il completamento di una strategia aziendale ben ragionata. L’azienda, la Pedrotti Spumanti, che ricevono in eredità da papà Paolo – che però continua a vigilare e regalare esperienza preziosissima -, oggi vende soprattutto in Italia. Acquista basi spumante, Chardonnay e Pinot Nero, nelle colline del Trentino e produce su per giù 30 mila bottiglie marchiate Trentodoc e Talento («Vogliamo essere più presenti sui mercati esteri e il marchio Talento identifica il nostro prodotto nazionale più del Trentodoc», spiega Donatella), a parte le vecchie riserve prodotte quando ancora questi marchi non esistevano. Ma l’obiettivo è allargare, anzi raddoppiare la produzione: «Questo per il metodo classico è il momento giusto, l’obiettivo da raggiungere in pochi anni sono le 70 mila bottiglie. Siamo attrezzati per questo traguardo» (Donatella). Una gamma di sei etichette, che presto diventeranno sette, con un taglio di prezzo davvero variegato: dagli ottanta euro franco cantina per le riservissime degli anni ottanta (30 anni di lieviti) ai 13 euro e 50, per l’ultimo nato: Bouquet. Un prodotto giovane, ma neanche tanto (20 mesi sui lieviti), che «ha l’ambizione di diventare un’alternativa credibile all’abitudine del Prosecco, un metodo classico facile, da aperitivo, da bere quando si esce da lavoro per rilassarsi. Crediamo molto a questo prodotto, il primo interamente seguito solo da noi» (Chiara). E questa è l’attualità. E il futuro. Ma lo Spumantificio Pedrotti ha alle spalle una storia a cui vale la pena accennare. Intanto, a Nomi il cognome Pedrotti è sinonimo di vino da più di un secolo, con la bionda e la mora siamo arrivati alla quarta generazione. Ma lo spumantificio nasce negli anni Settanta. Allora, in Trentino, il metodo classico iniziava e finiva con Ferrari e con i magnifici cinque (li ricordo perché se lo meritano: Bepi Andreaus, Riccardo Zanetti, Pietro Tura, Ferdinando «Mario» Tonon e il grande Leonello Letrari) di quella storica e memorabile etichetta che si chiamava (e si chiama ancora ma è tutta un altra storia, oggi infatti è di proprietà della Sociale di Soave) Equipe5. Era il ‘78 e Paolo, quarantenne, lavorava ancora insieme ai fratelli e sempre nel campo del vino. Ma alle spalle aveva la formazione di San Michele e qualche buon viaggio in Francia. L’idea dello champagne lo stuzzicava da qualche anno. Poi aveva voglia di fare qualcosa di suo. E di originale. E poi, ancora, si ricordava di una cosa, una memoria di bambino. Di quando, durante la seconda guerra mondiale, per sfuggire alle scorribande aeree del famigerato «Pippo», tutto il paese di Nomi si rifugiava in una galleria appena fuori dal centro abitato, una sorta di rifugio antiaereo naturale. Quella grotta, che gli austriaci avevano trasformato in una postazione militare durante la prima guerra mondiale, pensò Paolo, sarebbe potuta diventare il luogo perfetto, grazie al suo microclima naturale che facilita il lento lavoro dei lieviti, per custodire un deposito di pupitres. La acquistò. E cominciò a «giocare» con i lieviti e le lunghe rifermentazioni in bottiglia. E quella diventò, ed è ancora, la Grotta dello Spumante. Sul prezioso libro degli ospiti, che ora custodiscono le due sorelle, fra le prime firme compare anche quella di un grande maestro, Luigi Veronelli. Per dire che quella della Grotta fu davvero un’ideona. A cui deve essersi ispirato anche l’assessore Mellarini quando, qualche giorno fa in apertura di «Bollicine su Trento», ha lanciato l’idea di una «grande grotta collettiva» per il Trentodoc. Il copyright, però, deve essere riconosciuto a questo gran signore del metodo classico trentino che si chiama Paolo Pedrotti. Da allora la Grotta di Nomi è diventata una specie di tempio a cui portare riverenza. Religiosa riverenza: lì dentro ci sono bottiglie che stanno lavorando meravigliosamente e lentamente da più di 30 anni. Ed è in quella grotta che la bionda e la mora, fin da bambine, hanno imparato cosa sia la vita. E cosa sia il metodo classico