Da qualche giorno, sul blog si discute di vino coop e di vino dei vignaioli. Ieri una commentatrice ricordava lo “scontro” giornalistico su L’Adige, avvenuto qualche anno fa, tra il presidente della coop trentina Diego Schelfi e la reginetta del Teroldego Elisabetta Foradori. Era l’ottobre 2005. A rileggere oggi quelle parole sembra di essere rimasti inchiodati a sei anni fa. Eppure sono accadute tante cose, il sistema vitivinicolo cooperativo, soprattutto ma non solo, è entrato pesantemente in crisi, il prezzo di questo indebolimento del modello è stato fatto pagare per lo più ai contadini. E a qualcun altro. Ma a scorrere le opinioni espresse su questo blog, sembra non sia accaduto nulla: stiamo ancora discutendo delle stesse cose. Purtroppo, nel mio arichivio personale, per qualche incomprensibile sortilegio, è rimasto solo l’intervento che il presidente Schelfi rilasciò all’Adige. Ve lo giro (se poi qualcuno avesse conservata anche l’intervista di Elisabetta Foradori del 28 ottobre 2005, farebbe cosa gradita ad inviarla a info@trentinowine.info, sarebbe bello poterla pubblicare qui).
Buona lettura!
Dalla Foradori accuse ingiuste – la Foradori fa male alle famiglie del vino
di Diego Schelfi, presidente della cooperazione trentina, L’Adige 29 ottobre 2005 – Fa male al Trentino leggere l’intervista della signora Foradori («A tu per tu» di ieri). Fa male alle seimila famiglie che attraverso la cooperazione vitivinicola hanno trovato stabilità e reddito. Fa male, soprattutto, alla verità. Sono personalmente orientato a costruire, più che a distruggere, e non capisco quindi il senso di affermazioni che tendono a fotografare il movimento cooperativo come un baraccone assistito dall’ente pubblico, schivo negli investimenti, timido nell’approccio ai mercati, chiuso nel proprio guscio. Noi crediamo invece che la signora Elisabetta Foradori sia un’ottima imprenditrice vitivinicola, che produca un eccellente vino destinato ad una selezionata élite disposta a spendere 40 euro per ogni bottiglia del suo Granato magnificato da molte guide. Sicuramente ha fatto del bene alla sua azienda. Siamo altrettanto convinti che la cooperazione trentina, attraverso un processo di partecipazione e mutualità che dura da più di 115 anni, abbia fatto bene al Trentino. Sia riuscita a realizzare un sistema che ha valorizzato il territorio e consentito lo sviluppo dell’agricoltura locale. Un sistema che è in grado di affrontare le stagioni buone e quelle cattive, le annate di sole e quelle di grandine, i mercati generosi e quelli avari. Siamo orgogliosi di fare in genere del buon vino e di produrre eccellenze che ricevono premi a livello internazionale, e che sono soprattutto premiati dai consumatori. Abbiamo effettuato investimenti per 100 milioni di euro solo nell’ultimo anno, garantito ai soci redditi adeguati e mantenuto un ottimo rapporto tra prezzo e qualità. L’abbiamo fatto con la forza della cooperazione, non con il sostegno assistenziale dell’ente pubblico. Su questo voglio essere molto chiaro. Chi oggi parla di assistenzialismo nei confronti della cooperazione è evidentemente poco informato. Le cooperative pagano le tasse e quando effettuano investimenti accedono alle leggi come qualsiasi altra impresa. Con la differenza che il patrimonio della cooperativa non è dei soci, ma rimane alla comunità. L’utile non è dei soci, ma rimane alla comunità. Non credo si possa parlare di scandalo, bensì di un modello che ha saputo costruire coesione, integrazione, sviluppo. Che non è assoluto, intendiamoci, c’è sempre stato spazio per tutti. Non mi pare che le cantine sociali abbiano intaccato l’immagine di qualità del vino trentino in generale. Anche perché, da sempre, la cooperazione aderisce per scelta convinta ai disciplinari della denominazione di origine controllata. Che non stabiliscono i limiti minimi delle famose “rese per ettaro”, ma i massimi. Ogni produttore è libero di diradare i grappoli sulla vigna a seconda dei propri obiettivi. Non è però libero di fare ciò che vuole. Il disciplinare della doc stabilisce regole precise sulla produzione, e prevede accurate analisi sulla composizione del vino e le sue caratteristiche organolettiche, anche attraverso commissioni di assaggio. Abbiamo aderito con entusiasmo alla denominazione “Trentino superiore” che caratterizza la produzione di eccellenza all’interno della doc Trentino. L’abbiamo considerato un ulteriore salto di qualità, una sfida in cui impegnarsi fino in fondo. Sulle nostre etichette si legge chiaramente la provenienza dal Trentino. Sull’etichetta dell’eccellente Granato non c’è traccia della parola Teroldego, né di quella Trentino. Né della denominazione di origine controllata che ne certificherebbe la provenienza locale. Ci fidiamo sulla parola della produttrice, e sui nasi fini degli assaggiatori delle guide enologiche. Ma chi sono i veri paladini del Trentino, i tutori del territorio, i custodi delle tradizioni locali? Noi abbiamo scelto la strada della qualità certificata, saldamente legata al territorio di origine, altri hanno scelto la qualità creativa. I consumatori potranno giudicare. I nostri vini e le nostre cantine, la qualità dell’accoglienza e l’assortimento della produzione. Quando portiamo i nostri vini all’estero, ricaviamo soddisfazioni. Solo negli Stati Uniti, nelle ultime tre settimane (indagine Nielsen) al primo posto nelle importazioni dall’Italia c’è un vino della cooperazione trentina, e addirittura otto nei primi quindici posti. Probabilmente i nostri pubblici non sono gli stessi della signora Foradori. Noi siamo felici di poter dare la possibilità a tante famiglie di acquistare ottimi vini a prezzi accettabili. Non vogliamo fare i conti in tasca a nessuno, ma sappiamo bene che anche abbondando, ma proprio tanto, il costo di produzione di una bottiglia di vino, da eccellente che sia, non può superare i venti euro. Comunque ognuno è libero di fare le scelte commerciali che vuole. Proprio per questo ci risultano ancora più incomprensibili quelle dichiarazioni così infelici. Farci del male non aiuta a farci crescere, e a far crescere il Trentino. L’amico Francesco Sartori, compianto presidente della Cavit, amava ripetere che il vino più buono del mondo non vale nulla finché non viene acquistato. Il giudizio del consumatore finale è il nostro punto di riferimento, sempre. Credo, e auspico, che su questo terreno possiamo trovare molti alleati, non solo nella cooperazione. Se vogliamo costruire credibilità attorno alla nostra terra, all’intera filiera agricola, se vogliamo dare un senso a quel “marketing di territorio” che è tra gli obiettivi strategici della Provincia autonoma di Trento, dobbiamo imparare a guardare un po’ più in alto, oltre gli steccati dei nostri rispettivi cortili.
Giornalista e blogger con uno sguardo curioso, e a volte provocatorio, verso la politiche agricole; appassionato di vino, animatore di degustazioni fra amici e di iniziative a sfondo enologico, è tra i fondatori di Skywine – Quaderni di Viticultura e di Trentino Wine. Territorialista, autoctonista e anche un po’ comunista. Insomma contiene moltitudini e non se ne dispiace!
Ma per l'amor di Dio, state andando a tirare fuori storie di cento anni fa. E tutto per cercare di delegittimare la cooperazione trentina. Ma che ragionamenti sono? La crisi a colpito solo i vini coop? E gli altri? Ma dai su siate seri.
caro Valerio, ripubblico un precedente commento, per dimostrarti che stai giudicando in modo affrettato.
"il discorso andrebbe impostato cosi: non e’ una critica al sistema cooperativo, ma un appello affinche’ il modello cooperativo cambi e, mantenendo al centro l’interesse del socio, persegua questa sua mission attraverso strategie di produzione meno impattanti da un punto di vista ambientale, piu’ autenticamente legate al territorio, tese ad una produzione di qualita’. Questo cambio di rotta dovrebbe essere stimolato prima di tutto dai soci, che hanno subito sulla loro pelle le nefaste conseguenze delle bolle createsi negli anni del boom. E, in secondo luogo, perche’ una produzione di qualita’ valorizza il loro lavoro, le loro competenze, il loro amore per il territorio. Certo, impone anche una maggiore responsabilizzazione, che non sempre e’ accettata di buon grado dai piccoli, ne’ tantomeno concessa dai grandi. Ma non ci sono alternative: siamo in una fase di svolta, ed e’ l’intero sistema su cui si e’ fondata l’autonomia trentina ad essere messo in discussione, dal welfare all’agricoltura. Il ruolo delle coop, in questo, e’ fondamentale, proprio in ragione dei numeri esposti da Cosimo. Lo dico senza nessun pregiudizio anticoop, al contrario, sono socio di una cooperativa di consumo e la mia compagna lavora per una coop sociale: ma sono prim di tutto un cittadino trentino che tiene al futuro della sua provincia, e non si consola con le elegie dei bei tempi che furono.
Intervengo su questo blog per la prima volta: però lo frequento da qualche giorno. Premetto che non sono trentina ma che vivo in Lombardia, a Como. Il Trentino lo conosco solo per le vacanze, da moltissimi anni. Una cosa che mi colpisce in questi commenti è una cosa: mi sembra che dalle vostre parti a nessuno sia concesso di parlare di coop. Ho la sensazione che tutto sia preso come un atto di lesa maestà. Non mi sembra leggendo gli articoli che ci siano scritte cose insensate, mi sembrano critiche puntuali e documentate. Spunti per una discussione. Eppure leggo che molte persone si sentono offese. Devo dire che, da turista, non avevo colto questo aspetto così chiuso e insofferente al dialogo dei trentini. Mi fermo qui perché nel merito non saprei cosa dire. Comunque complimenti ai redattori del Blog!
Se non te ne sei accorta, semplicemente è perché il Trentino non è quello rappresentato da questo pseudo blog. Ma è quello che hai conosciuto quando sei venuta in vacanza qui. Torna a farci visita e smetti di seguire questo sito
Sono un'albergatrice anche io. E dico subito che non mi riconosco in questa figura da macchietta di questa commentatrice che si firma albergatrice. Non so chi sia. Ma sembra perfino inventata per movimentare il vostro blog. Comunque, da professionista del settore devo dire che vi seguo spesso e che spesso condivido anche le vostre opinioni
A volte si fanno ragionamenti cosi piani e perfino prevedibili, oltre che condivisibili, che sembra impossibile non vengano recepiti. Mah. Viene da pensare che ci siano dietro interessi strumentali. Ma meglio non dirlo altrimenti poi vengo accusato di dietrologia.
E' proprio questo lo scontro da evitare. La crisi sopraggiunta dopo questo ben poco profetico editoriale di Schelfi ha cambiato le carte in tavola. L'asticella si e' alzata, e mi auguro che oggi Schelfi non riscriverebbe le stesse cose.
Perche' nel frattempo abbiamo scoperto che negli Usa vendiamo vino veneto. Che gli investimenti siciliani sono stati un errore. Che la commissione della doc ha ritenuto rivedibile il Foradori 2008. Che, se aveva ragione Sartori, il vino della Cavit fa schifo, perche' ne ha i magazzini pieni.
Non si tratta di santificare i vini d'elite, ma nemmeno di costruire una ipocrita ideologia pauperista intorno ad un prodotto come il vino, che ormai da anni non e' un alimento indispensabile. Il vino a due euro impoverisce i contadini, danneggia l'immagine del Trentino, avvelena i consumatori e incentiva l'alcolismo. Non e' una provocazione, e questa volta non uso smile.
Ho riletto l'intervista di Schelfi, hai ragione Lanfranco. Chiedo scusa per le mie parole affrettate di ieri: a distanza di sette anni quelle parole appaiono oggi proprio poco profetiche. Peccato non poter leggere l'intervista di Foradori. Comunque, si hai ragione: dovremmo insieme cercare di evitare contrapposizione pregiudiziali per trovare un equilibrio insieme senza santificare e senza demonizzare nessuno. Il vino a due euro, è vero, fa male a tutti. Grazie a questo blog per avermi fatto riflettere.
Fabrizia