Non è solo una cantina: è un maso. Che è qualcosa di più e di più complesso di una semplice azienda agricola. E’ una delle più tipiche costruzioni coloniche, e insieme sistema di economia rurale, della tradizione trentina. Nel cuore dei Campi Sarni, il maso di Vallarom – che prende il nome dal toponimo dell’arcigna valle di origine glaciale che ne segna parzialmente il profilo -, si estende per circa 17 ettari, di cui 7 vitati, lungo il conoide di deiezione calcarea e sulla morena norica che in quel tratto disegnano la sinistra orografica del fiume, fra l’abitato di Masi d’Avio e quello di Vo’ Sinistro. Ci si arriva agevolmente percorrendo la statale 12 della sinistra Adige e risalendo per qualche centinaia di metri la stradina che si tuffa verso la parete della montagna, fra i vigneti e i boschi che compongono il patrimonio di terra del maso.
La severa e imponente architettura di matrice nordica della costruzione tradisce apertamente la storia del luogo. Già nel 1300 il maso faceva parte dell’accurato sistema di avvistamento e di segnalazione dei nemici organizzato dai Conti di Castelbarco, la signoria che dominava la vallata dall’alto di Castellum Ava a Sabbionara, sulla sponda opposta del fiume. Nel 1600, il maso diventa la tana di bravi e briganti che compiono razzie sulla linea di confine. E poi, lungo lo scorrere dei secoli, altre storie e altre suggestioni che questo luogo riesce a raccontare anche solo annusandolo per pochi istanti.
Ma è nella seconda metà del novecento che Vallarom incrocia il mondo del vino. Il maso fu acquistato da Ezio e Giuseppina Scienza negli anni sessanta; i figli Renato e Attilio che nella vita fanno tutt’altro, il primo è un chirurgo di fama internazionale e il secondo uno dei più preparati agronomi europei, coltivano, entrambi, la passione per il vino. Nel 1976 cominciano a vinificare e nel 1982 mettono in bottiglia il loro primo Cabernet Sauvignon in purezza. E’ la prova che le complesse caratteristiche della terra dei Campi Sarni si prestano a fare da madre anche a grandi vini internazionali. A metà degli anni novanta la conduzione del maso passa ancora di mano ma non esce dalla cerchia della famiglia Scienza. Filippo, figlio di Renato, che fin da bambino, come racconta lui, è abituato a mettere le mani nei mosti e a giocare fra le viti, dopo aver concluso gli studi enologici all’Istituto agrario di San Michele, essersi formato nelle scuole della Borgogna e aver fatto esperienza nel tempio americano dell’enologia, a Napa Valley, torna a Vallarom. Con lui c’è anche una giovane piemontese di città, Barbara Mottini. Sono loro oggi, insieme al figlio Riccardo, i signori di Vallarom. Di questo luogo che pare un incanto d’altri tempi – e almeno per una volta non è retorica -, immerso fra bosco, pergole e vigneti a spalliera, dolcemente temperato in ogni stagione dell’anno dall’Ora del Garda e che è capace di raccontare, insieme con le architetture del maso, anche con il vino e l’uva storie secolari di uomini e di terra.
Vinificazione e maturazione dei vini avvengono ancora negli antichi avvolti che affondano nella terra calcarea di Vallarom. Ma il futuro dell’azienda sta nella campagna, fra i vigneti che Filippo e Barbara stanno convertendo alle modalità biologiche e biodinamiche e nelle tecnologie a basso impatto energetico di cui fanno uso in cantina. A legare passato e futuro, storia e prospettiva di questa azienda che è rimasta nell’essenza legata alla tipicità del maso trentino, le intuizioni, a volte perfino stravaganti e per questo creative e affascinanti, di questi due quarantenni innamorati della terra, della loro terra: la loro resistenza a cedere alle nuove IGT delle Dolomiti (“Perchè qui le Dolomiti non si vedono nemmeno con il binocolo e perchè noi siamo legati alla Vallagarina”); la loro diffidenza per le classificazioni Doc (in effetti producono solo un Marzemino Trentino Doc): “Perché in questo modo siamo liberi di costruire fin dal lavoro in campagna i nostri vini senza cedere all’omologazione dei gusti”.
Insomma due viticoltori, quasi tre, legati con le viscere e con il cuore alla terra di Vallarom, anche, e forse soprattutto, quando mettono in bottiglia vini di taglio internazionale che non hanno niente da invidiare ad etichette più blasonate: un bordolese da manuale, che lascia senza fiato per complessità ed equilibrio, come il “Campi Sarni”, il Pinot Nero del vigneto “Ventrat” che solo ad annusarlo ti sembra di affondare con tutti i sensi in un vasetto di marmellata di amarene e frutti di bosco o il loro speziatissimo Syrah che per un attimo, dopo averlo assaggiato, ti immobilizza e ti apre a pensieri misteriosi.
Ancora una nota. Da qualche tempo Barbara e Filippo raccontano un loro sogno: vorrebbero che la loro cantina partorisse uno spumante. Un Blanc de Blancs metodo classico. Il nome non c’è ancora. Ma le uve, Chardonnay messe a dimora nel vigneto Casetta, quelle si, ci sono già. Per loro è un sogno, per noi, che li abbiamo conosciuti, qualcosa che assomiglia ad una promessa. Sapremo aspettare. Come si aspettano, con pazienza, le cose buone.
È lo pseudonimo collettivo con cui fin dall’inizio sono stati firmati la maggior parte dei post più trucidi e succulenti di Territoriocheresiste. Il nome è un omaggio al protagonista del Barone rampante, il grande capolavoro di Italo Calvino. Cosimo Piovasco, passa tutta la sua vita su un albero per ribellione contro il padre. Da lì, però, guadagna la giusta distanza per osservare e capire la vita e il mondo che scorrono sotto di lui.