Qualche tempo fa scrissi qualcosa su “Deglobalizzazione e ripristino”. Diversi interagirono anche se ai più l’argomento è parso prematuro, per alcuni addirittura fuori tema per questo blog. Io penso, invece, che il mondo del vino, anche quello trentino, debba aprirsi sull’esterno confrontandosi ed interrogandosi non solo fra colleghi o consumatori italiani e stranieri, ma anche su argomenti generali di economia, che è tanto di attualità, come pure su questioni ancora più alte come quelle che attengono all’etica e alla morale. Se non si fa lo sforzo di salire in cima alla montagna, l’orizzonte rimane limitato e le decisioni quotidiane, comprese quelle di farsi un’opinione più completa, non potranno che risultare limitate. E perciò stesso più esposte al rischio di essere sbagliate.
In vista di un viaggio in India avevo pensato di leggere qualche buon testo preparatorio, ma i libri mi parvero tanto astrusi che decisi di andarci prima e di approfondire poi. Mi limitai ad un po’ di storia ed alla geografia dato che il tour era culturale. Tralascio tutto il resto, ma una cosa mi preme dirla con convinzione perché mi è parsa chiara e stupefacente più ancora delle contraddizioni e delle meraviglie di quel Paese. E’ stato lo sgomento, non so come definirlo altrimenti, che ho provato nel guardare da là verso il Trentino, l’Italia e l’Europa: ma quanto vecchi d’idee prima ancora che di età media siamo dalle nostre parti! Certo, il paragone con il miliardoduecentoventimilioni di indiani non sta in piedi, ma quel modo di intendere la vita ed il futuro anche economico non può lasciare indifferenti. Il paragone con il vicino colosso cinese sulla via della capitalizzazione, invece, regge eccome. Della Cina leggiamo tutti i giorni, dell’India – la più grande democrazia esistente – solo citazioni perlopiù inserite nel discorso dei paesi BRIC. Sappiamo quanto siano portati all’informatica al punto da elaborare un terzo dei dati dell’occidente, lavorando di notte così noi possiamo mantenere comodamente i nostri ritmi. Sappiamo anche che lì c’è un certo signor Tata che costruisce auto e camion, ma non ci hanno detto che costui è dieci volte Berlusconi, con alcune differenze. Il modello indiano gli ha permesso di espandersi in ogni ambito economico e culturale, dall’agricoltura al commercio, dall’industria all’istruzione, dai trasporti all’informazione. Insomma lo trovi ovunque, ma non è per nulla ingombrante. Vive di quello che gli serve, non accumula, non specula, ricicla e reinveste tutto in nuove iniziative avviandole ad un profitto teso all’equilibrio d’impresa. Spesso in competizione alternativa ai servizi dello Stato. E non è il solo, sono quasi tutti così gli indiani, per mentalità ancestrale. Un sogno. Evidentemente, fra i trecentoventimilioni di religioni praticate, più d’una si rifà al dettato evangelico nostrano, con la differenza che lì lo mettono in pratica. Mi è venuto un brivido alla schiena al pensiero che se anche gli indiani, con le capacità e potenzialità che si ritrovano, dovessero comportarsi come noi occidentali o come i cinesi, non ce ne sarebbe per nessuno. Vero è che hanno un grande mercato interno da fornire, ma anche questo non si misura con i nostri parametri. Se per il Mahatma Gandhi la priorità fu sconfiggere la fame, questa generazione è impegnata soprattutto nell’istruzione, obbligatoria per tutti fino a 16 anni e poi avanti con la meritocrazia, anche se sei un “paria”. Faccio per dire, non ci sono più paria in India, le caste, lì, le hanno abolite.
Tornando a noi e chiedendo scusa per il lungo inciso, resta la visione che- eccetto il volontariato e gli indignados – siamo vecchi in tutti i sensi, ma non irrecuperabili. Allora, primo step, rendersi conto. Secondo, per calarsi nella nostra realtà, prendere un foglio bianco per scrivere qualcosa di nuovo (de globalizzazione) o di dimenticato (ripristino), una volta tanto senza guardare al mantenimento di posizioni e di equilibri. Fingendo che non esistano i lacci ed i laccioli, come si dice, che solitamente bloccano le nostre pur buone volontà di innovare. Il terzo step, implica un’analisi disincantata della nostra realtà, qualcosa che assomigli a quanto i nostri governanti non ci dicono, sperando che almeno ci pensino. Mi spiego con un paio di esempi. Il ministro del lavoro Elsa Fornero, integrando la drastica riforma delle pensioni, farebbe bene ad incentivare l’assunzione di apprendisti da inserire stabilmente in azienda dopo un certo periodo di affiancamento a maestri(ai vari livelli) ai quali garantire, negli ultimi anni di lavoro, una riduzione dell’orario, mantenendone la retribuzione a carico del welfare. Così come dal Trentino, patria della cooperazione storica, si dovrebbe rilanciare in Italia la terza via tra liberismo e statalismo, aumentando la sensibilità verso un’economia senza scopo di lucro nel suo insieme. Invece di mettere in discussione il principio della sussidiarietà e l’idea stessa di economia sociale di mercato (Tata) plaudendo al gioco in borsa o borsino che dir si voglia del gruppo Mezzacorona. Ecco, questo è un bel tema vitivinicolo su cui mi piacerebbe venisse aperto il dibattito se è vero che il vino ha accompagnato lo sviluppo del pensiero dell’uomo fin dall’antichità con un filo rosso il cui bandolo sembra perso.
Pseudonimo utilizzato da uno dei personaggi chiave del vino trentino, depositario di segreti,conoscitore di vizi e virtu dell’enologia regionale e non solo.
Massarello alias Angelo Massarelli, nato a San Severino Marche nel 1510, dopo gli studi in seminario si laureò in leggi canoniche e civili presso l’Università di Siena.
Tornato a San Saverino fu dapprima assegnato alla chiesa di S. Eligio e poi fu eletto priore della collegiata della cittadina.
Grazie alla frequentazione di alcuni letterati conobbe il cardinale Marcello Cervini, futuro papa Marcello II.
Quando il papa Paolo III delegò il cardinale Cervini ad assumere la presidenza del Concilio di Trento, questi volle come segretario del Concilio il Massarelli. Un cardinale così descrive l’operato del Massarelli: «essendo egli lodato dal testimonio incontrastabile dell’esperienza, ed ammaestrato dall’esquisita scuola dell’esercizio, tenne stabilmente il grado di Segretario del Concilio».
Durante gli intervalli delle sedute del Concilio svolse l’importante mansione di Segretario di Stato del pontefice.
Sotto il breve pontificato di papa Marcello II il Massarelli fu suo consigliere.
Dal successore di Marcello II, papa Paolo IV, fu designato vescovo di Telese o Cerreto il 15 dicembre 1557 e fu consacrato a tale ufficio pochi giorni dopo, il 21 dicembre.
Fu autore di un minuzioso diario dei lavori del Concilio dal titolo Acta genuina ss. oecumenici Concilii tridentini.
Terminato il Concilio di Trento nel 1563, il vescovo Angelo Massarelli fu dapprima ministro della Segreteria di Stato e poi Segretario del Supremo Tribunale della Riformazione (successivamente chiamato Sacra Consulta).
A causa dei suoi numerosi impegni venne poche volte in diocesi e si fece rappresentare da un vicario vescovile di sua nomina.
Siamo vecchi dentro, ecco il problema. Qui nessuno muove un dito senza il contributo di mamma provinica. Siamo coccolati, vezzeggiati, assistiti, alla prima difficoltà però rischiamo di andare per terra. Non sappiamo più camminare con le nostre gambe, non abbiamo iniziativa, coraggio.
Gli extracomunitari ci fanno paura per un sola ragione: perché sono più vitali di noi. Attraversano il mare sui barconi, arrivano qui e fanno qualsiasi lavoro, mettono su famiglia, fanno figli, si danno da fare, fanno venire i parenti, mettono su imprese. Noi restiamo il bambino viziato e ritardato nello sviluppo, perché mamma Provincia ha sempre steso la sua ala iperprotettiva e soffocante. Questo è il più grande demerito di Dellai, aver sovietizzato il trentino, con una Provincia che è diventata il nuovo PCUS che controlla tutto e tutti. O sei dentro o sei fuori. Se sei fuori fai nulla o quasi. Un bel paradigma potrebbe essere l'A22. Monopolio blindato per decenni, quindi terrore dell'appalto invocato dalla UE, della competizione, del confronto. Si è arrivati persino al ridicolo di aver propagandato per anni la privatizzazione come la panacea di tutti i mali, ora si vorrebbe fare marcia indietro e, con una giravolta di 180 gradi, "ristatalizzarla" e farla tornare pubblica pur di non fare la gara, pur di mantenere la carega micragnosa ma ancora lucrosa. Nessuna grande idea, nessuna visione sul futuro, solo conrollo sovietico su tutto, cemento e "grandi opere" ovunque. Se prima la politica provinciale faceva indignare, ora fa ridere. Se non ci fosse da piangere.
Scusate eh, ma mi sembrate contraddittori fino alla radice del cervello: prima contestate le coop perchè sono politicizzate e perché non sono capaci di stare sul mercato, poi le accusate anche perché si modernizzano e si quotano in borsa. Ma cosa volete? Dite tutto e il contrario di tutto.
E'interessante, quello che scrivi Massarello. E solo apparentemente è estraneo al tema "Vino" centrale per questo blog. Hai ragione bisogna andare sulla vetta per avere uno sguardo più comprensivo. Però, ho paura che questa visione di cui parli tu, sia una cosa piuttosto ardua, soprattutto nel vostro Trentino dominato dal mondo cooperativo che oggi è molto ingessato e non è capace di aprirsi ai discorsi alti a cui accenni tu. Io vivo a Verona ma mi occupo di vino in Trentino: sono rimasto sconcertato dalla notizia cui fai riferimento anche tu, la quotazione di mezzacorona. Mi è sembrato strano che il Trentino, gli intellettuali ancora prima dei cooperatori e dei viticoltori, non abbiano saputo dire niente su questa cosa che cambia o meglio certifica un cambiamento già avvenuto, nel mondo della cooperazione. E' come se quando si viene dalle vostre parti, si alzasse un muro di silenzio, complice, connivente o indifferente, su questi temi. Per questo mi sembra importante che qualcuno come te, introduca questi elementi di confronto. Ma ho paura che resterai solo.
Con simpatia
Franco