Ricordo  ancora come se fosse ieri, il giorno in cui lo vidi: era il diciassette dicembre dello scorso anno, in una  filiale della GDO. Ricordo anche quanto fossi infastidita  da tutte quelle signore in preda all’ansia prenatalizia che mi pestavano continuamente i piedi e quanto rimasi stupita nel vedere il corridoio contornato da latticini e carni  completamente trasformato. Gli scaffali destinati alle offerte speciali ed al sottocosto erano quasi interamente ricolmi di vini: si iniziava con lo champagne, per proseguire con gli spumanti  italiani fino a giungere  ai passiti. Mi avvicinai, incuriosita  mio malgrado, e fu proprio lì, mentre lasciavo errare il mio sguardo tra la moltitudine di bottiglie, che rimasi folgorata. Una folgorazione istantanea, tanto intensa  quanto irragionevole. L’oggetto delle mie emozioni tumultuose era la sagoma di un uomo, bellissimo, dipinta con maestria in un bel verde marcio su un cartone bianco, accanto al marchio Trentodoc. Mi avvicinai ancora più incuriosita, già intrigata, ed iniziai a soffermarmi sui suoi boccoli magnifici, così composti e nello stesso tempo tanto virili, e sul suo viso pieno, appena abozzato, che dava adito alle più audaci fantasticherie. Continuai, rapita, il mio esame e mi trovai ad invidiare il suo abbigliamento così retrò da essere all’ultima moda: i maestosi falpalà della sua camicia, il tocco di classe della marsina e le scarpe, sì le scarpe, un autentico “Modello Robespierre”, dotate di tacco e fibbia ben in vista. Ormai completamente soggiogata, iniziai ad interrogarmi su chi mi ricordasse una figura di tale fascino; distolsi un attimo i miei occhi incantati e subito la risposta mi si presentò alla  mente: il Re Sole! Certo, un sovrano in abiti meno fastosi ed un po’ anacronistici, ma non per questo disprezzabili, a meno che non si consideri il mantello d’ermellino  e la calzamaglia bianca così rilucente. Dopo questo turbinio di riflessioni e di associazioni mentali, rimaneva ancora da sciogliere l’ultimo nodo: dovevo sapere immediatamente chi avesse scelto un’immagine dai rimandi così azzeccati per identificare il frutto delle proprie fatiche.  I miei occhi mi portarono  subito all’unica soluzione possibile: all’interno del cartone troneggiavano sei bottiglie di quel Ferrari Brut, di cui tanto si parla in questi giorni.

Abbandonando, a questo punto,  le mie peripezie nella GDO, mi sembra opportuno soffermarmi su alcuni spunti su cui, forse, vale la pena riflettere. Innanzitutto occorre premettere che anche il packaging ha una importanza rilevante, soprattutto quando si parla di beni voluttuari. Inoltre, considerando che il  mercato vinicolo è estremamente concorrenziale e che i nostri spumanti sono sicuramente competitivi per quanto riguarda il prezzo, perché non renderli altrettanto competitivi anche per quanto concerne le suggestioni intellettuali che un marchio può offrire? Calando la domanda nella fattispecie concreta appena illustrata, perché il consumatore dovrebbe accontentarsi di uno spumante che dà l’idea di soddisfare il Re Sole unicamente nei panni di un signorotto di campagna, quando potrebbe acquistare il medesimo spumante, convinto, però, che sia in grado di appagare il palato di un re nel pieno fulgore dei suoi banchetti ufficiali, ma ad un costo più conveniente dei vini celebri? Sarebbe solo una suggestione, d’accordo, ma, insisto, perché privarsene a priori? Nell’ottica di valorizzazione dei vini trentini, ottica che deve essere perseguita con alacrità e tempestività per ottenere risultati significativi,  non  sarebbe forse il caso di ripensare anche all’importanza delle immagini ed a quello che comunicano al consumatore finale?  Non saremo costretti, anche per questo, ad andare oltralpe ed a farci insegnare le modalità di creazione di quelle sinuose linee dorate che si diramano dalla confezione ed avviluppano l’immaginazione ed il borsello, vero?