Sono ormai passati diversi anni da quando ci ha lasciati Enio Olivotto, grande ristoratore ed albergatore in Rovereto. Fra i tanti che ho conosciuto, il più grande. Un giorno vi racconterò la mia esperienza. Ora, e sono certo di avere buoni testimoni, mi sovviene la sua impareggiabile Carta dei Vini firmata da un frammento di uno dei più misconosciuti poeti dell’antica Grecia, Alceo di Mitilene. (VII-VI sec. a C.) Cantava nel suo dialetto delle Sporadi, accompagnandosi con la cetra:
“Beviamo. Perché aspettare le lucerne? Il giorno è lungo un dito!”
Intendendo che si potesse trasgredire per la fugacità della vita, avendo gli antesignani degli euroburocrati vietato di bere vino (credo per questioni climatiche) prima del calar del sole. A ben vedere, i concisi versi di Alceo sarebbero più che sufficienti per stimolare il pensiero degli amici del vino che da tempo ormai sentono solo delle difficoltà economico-finanziarie dello sciagurato paese ellenico. Spinto da raptus utopico due anni fa proposi a qualche giornale di farsi parte diligente per dirottare sulle isole greche frotte di vacanzieri per sostenerne l’economia in cambio di uno sconto del 20% sulle loro normali (ed esose) tariffe. L’industria del mare, della cultura e dell’ospitalità sono, infatti, le principali colonne su cui poggia la Grecia moderna. Ovviamente non se ne fece niente ed ora sono in default con i traghetti fermi ed i siti archeologici deserti come le loro spiagge. La gente alla fame. Di più: la cura proposta dall’eurogruppo rischia di non bastare ed assume toni grotteschi se si pensa che sono gli stessi che li spinsero dentro all’Euro accettando i loro bilanci (falsi) sulla scorta delle valutazioni positive di Goldman Sachs, quella stessa che ora li declassa a C-! Dicono che sia tecno-capitalismo-populista. Sarà. Noi del vino, modestamente adusi ad una cultura greco-latina dall’orizzonte più sereno rispetto ai ficcanti diktat dei colpi di coda di un atlantico capitalismo finanziario degenere, siamo invitati a guardare oltre, pescando nel vasto mare d’idee che è stato culla della nostra civiltà mediterranea. Trentino compreso. Infatti, c’è un filo rosso -un rivolo di vino – che parte dalla mezzaluna fertile fra il Tigri e l’Eufrate per consolidarsi nella cultura ellenistica prima di giungere a Roma per mare e per terra informando poi tutto il continente e di qui in ogni angolo di mondo. Se ai Sumeri dobbiamo la scrittura e agli Egizi primi coltivatori della vite a pergola, l’etichettatura dei vini, ai Greci va il merito dell’abbinamento ai cibi della bevanda di Dioniso immortalato nel Symposion con tanto di esortazioni morali verso gli abusi. E soprattutto con la citazione dei nomi dei vini e delle loro caratteristiche. Fatto questo che continua a fare la differenza ancor oggi, se permettete, fra la bevanda degli Dei e tutte le altre bevande. Onore quindi al dolce e nero Mavrodafni di Patrasso antesignano del Porto e rispetto per il bianco Retsina dal difficile gusto resinoso dei barili, fino all’Ouzo, liquore simbolo del Paese che promana, non a caso, da quella Lesvo o Mitilini che diede i natali al nostro Alceo. Oggi vi si coltivano prevalentemente uve autoctone, 300 diverse varietà, talvolta mescolate alle internazionali. Fra le uve bianche le più diffuse sono l’Assyrtiko, Moscophilero, Moscato bianco, Robola, Roditis e Savatiano. I vitigni rossi principali sono l’Agiorgitiko, Kotsifali, Limnio, Mandelari, Mavrodaphne, Negoska, Stavroto, Krassato e Xynomavro. Nomi difficili? Sarà mica facile Teroldego rotaliano! Difficile è trovarli in enoteca, ma godersi la scelta scorrendo la carta dei vini del ristorantino sulla caletta egea, beh, è un piacere ben noto a quanti hanno avuto occasione di provarli scoprendo i grandi progressi fatti negli ultimi anni. Vi troveremo il senso di qualche migliaio d’anni di storia e lo stimolo per volare con la fantasia fra reperti e pergolati dove, dopo l’unica birra da bere per sete, i vini seguenti si possono gustare ben prima che calino le tenebre. Non sarà molto, ma un progresso rispetto ai tempi di Alceo sembrerà raggiunto ed il nostro contributo per un ritorno agli antichi splendori certamente dato.
Pseudonimo utilizzato da uno dei personaggi chiave del vino trentino, depositario di segreti,conoscitore di vizi e virtu dell’enologia regionale e non solo.
Massarello alias Angelo Massarelli, nato a San Severino Marche nel 1510, dopo gli studi in seminario si laureò in leggi canoniche e civili presso l’Università di Siena.
Tornato a San Saverino fu dapprima assegnato alla chiesa di S. Eligio e poi fu eletto priore della collegiata della cittadina.
Grazie alla frequentazione di alcuni letterati conobbe il cardinale Marcello Cervini, futuro papa Marcello II.
Quando il papa Paolo III delegò il cardinale Cervini ad assumere la presidenza del Concilio di Trento, questi volle come segretario del Concilio il Massarelli. Un cardinale così descrive l’operato del Massarelli: «essendo egli lodato dal testimonio incontrastabile dell’esperienza, ed ammaestrato dall’esquisita scuola dell’esercizio, tenne stabilmente il grado di Segretario del Concilio».
Durante gli intervalli delle sedute del Concilio svolse l’importante mansione di Segretario di Stato del pontefice.
Sotto il breve pontificato di papa Marcello II il Massarelli fu suo consigliere.
Dal successore di Marcello II, papa Paolo IV, fu designato vescovo di Telese o Cerreto il 15 dicembre 1557 e fu consacrato a tale ufficio pochi giorni dopo, il 21 dicembre.
Fu autore di un minuzioso diario dei lavori del Concilio dal titolo Acta genuina ss. oecumenici Concilii tridentini.
Terminato il Concilio di Trento nel 1563, il vescovo Angelo Massarelli fu dapprima ministro della Segreteria di Stato e poi Segretario del Supremo Tribunale della Riformazione (successivamente chiamato Sacra Consulta).
A causa dei suoi numerosi impegni venne poche volte in diocesi e si fece rappresentare da un vicario vescovile di sua nomina.