Talvolta basterebbe scrivere le parole in modo diverso per trasferire loro un diverso significato. Il sostantivo “cooperazione” mi pare un classico, specie nel nostro mondo dove cooperatori sono uno su tre. Sappiamo tutti che significa “operare assieme”, non ci si pensa nemmeno.
Ecco: non pensarci è il primo rischio che ti porta dritto, dritto a Schelfi ed al suo mondo e modo di intendere la cooperazione. Al limite, anche l’auspicio di tornare ai tempi di don Guetti con i suoi valori fondanti, paradossalmente, diventa rischioso.
Il mondo, infatti, è cambiato e non di poco.

La cooperazione, venute meno le necessità originarie dell’assistenza ai più deboli e la mutualità nel sostegno anche materiale alle famiglie, si è via via evoluta confluendo nella strada maestra indicata dallo sviluppo della società occidentale caratterizzata dal modello democratico – capitalistico. Con economia e finanza in cima alla scala dei valori.
Un modello in crisi cui si cerca disperatamente di porre rimedio.

La cooperazione, fin dai primordi nel Trentino asburgico, è stata fucina di innovazione socio – economica per tutto il Paese e, dopo la seconda guerra mondiale, palestra d’idee che ha forgiato un pensiero politico alto che ha informato per anni quello nazionale.
Pretendere oggi un ritorno a quella leadership è antistorico, ma auspicare un qualcosa di diverso dal seguire un modello ormai obsoleto, pare opportuno.

Non si tratta di cambiare Schelfi o, per stare nel mondo vitivinicolo, sostituire la troika dirigente di Cavit e Mezzacorona, solo perché hanno fatto il loro tempo, ma perché il modello che li ha consolidati al potere e che promettono di proseguire, è vecchio e superato. Come vecchia e superata è la pretesa del mantenimento delle posizioni (economiche) conquistate.
Fossero stati in grado di capire e anticipare i tempi precedendo gli eventi (dote dei leader), avrebbero proposto una ricetta nuova invece di cavalcare per anni (almeno 3) un cavallo bolso.

Un modo nuovo di conciliare gli ideali della co-operazione con le esigenze della società futura (per noi) potrebbe essere quello di mutuare il collaudato modello d’oltre Brennero della co-gestione delle imprese.
Cogestione è il termine che si riferisce alla partecipazione attiva dei lavoratori nei processi decisionali delle aziende. Il termine riguarda anche una partecipazione ai risultati economici e alla redistribuzione degli utili.

Se la cogestione (a Dio piacendo) dovesse affermarsi anche in Italia, la si farebbe partendo dalle PMI, le piccole e medie imprese.
In Trentino queste sono di fatto spesso cooperative. Cosa ci vuole, in via Segantini, per promuovere un’evoluzione del genere?