Arrivo dolosamente in ritardo a commentare la notizia enopolitica di questi giorni: la nomina di Luciano Rappo al vertice direzionale di Cesarini Sforza (gloriosa maison trentina, da tempo caduta nell’orbita traballante, ma da questa sera in gran spolvero, della Sociale di La-vis). Ho aspettato qualche giorno, prima di sbilanciarmi troppo, perché volevo capire e vedere quale fosse il feedback della stampa di settore di fronte ad una scelta cooperativa di questo tenore. Purtroppo, devo dire, che blog e siti specializzati si sono limitati a rilanciare veline e melliflui comunicati stampa: leggi qui. La nomina di Rappo è stata commentata unanimemente, ed ecumenicamente, più o meno in questo modo: i comunicatori fanno carriera. Sino ad arrivare ad esondanti e fantascientifici esercizi stilistici come questo: LA COMUNICAZIONE È UN ASSET SEMPRE PIÙ IMPORTANTE ANCHE PER LE CANTINE ITALIANE. AL PUNTO CHE ESPERTI COMUNICATORI DEL VINO POSSONO DIVENTARE ANCHE DIRETTORI GENERALI. Mi sembra troppo. O troppo poco. Perché, forse, questa scelta tutta interna al mondo cooperativo e agli incomprensibili equilibri enopolitici trentini, invece, avrebbe dovuto, e potuto, indurre giornalisti e blogger a formulare qualche ragionamento di sostanza. Dunque, dico subito – tanto lo si è già capito -, che a me questa non è sembrata una buona enonotizia. Niente di personale nei confronti di Luciano Rappo. Figuriamoci: è un professionista della comunicazione di gran talento che nessuno, tanto meno Cosimo, può permettersi di mettere in discussione. Il punto, però, è un altro. Mi limito solo a ricordare che Rappo per una decina d’anni è stato il brand ambassador di altissimo profilo di Cavit; e in questo ruolo, da protagonista di primo piano, ha veicolato sui mercati internazionali l’immagine di un Trentino del vino che considero sbagliata. Di più: autolesionistica. Sto parlando del modello industrialistico e deterritorializzato interpretato, e fomentato, dal consorzio di secondo grado: la politica del Pinot Grigio delle Venezie, dei Pinot Noir e dei Moscato della Provincia Pavese. E tutto il resto. Qui potete lustrarvi gli occhi. E’ stata, e forse lo è ancora, un strategia efficacie dal punto di vista economico; un’operazione commerciale e finanziaria che ha permesso una generosa redistribuzione di plusvalenze ai contadini trentini. Ma è stata, ed è ancora, una scelta che ha chiuso il Trentino dentro la trincea claustrofobica dell’internazionalizzazione varietale a scapito della cultura, e della coltura, territoriale. Un’idea multinazionalistica dell’agroalimentare che nulla ha a che vedere con il territorio e molto invece con le egemonie mercantilistiche applicate alla viticoltura. Le medesime che recentemente hanno portato alla quotazione in Borsa di Nosio. Non a caso nell’ultimo decennio il baricentro del potere cooperativo si è spostato in Piana Rotaliana, che ha assunto un ruolo egemone e condizionante rispetto alle scelte politiche adottate in campo vitivinicolo sia dalla cooperazione sia dall’assessorato all’Agricoltura. E non solo. In questi anni, l’uomo immagine di Cavit è stato la proiezione all’esterno di questa visione e il veicolatore all’estero di questa veltanshauung enoneocapitalistica. E lo ha fatto con successo – nessuno lo mette in dubbio -, per conto di Cavit, ai massimi livelli internazionali. Cesarini Sforza e il metodo classico trentino hanno bisogno di questo? Io credo di no. Detto questo, Trentino Wine Blog augura buon lavoro al nuovo direttore di quella che fu, in altri tempi e con altri uomini e altre donne, una delle maison più prestigiose del Trentino e d’Italia.
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È lo pseudonimo collettivo con cui fin dall’inizio sono stati firmati la maggior parte dei post più trucidi e succulenti di Territoriocheresiste. Il nome è un omaggio al protagonista del Barone rampante, il grande capolavoro di Italo Calvino. Cosimo Piovasco, passa tutta la sua vita su un albero per ribellione contro il padre. Da lì, però, guadagna la giusta distanza per osservare e capire la vita e il mondo che scorrono sotto di lui.
Come non essere d'accordo con quanto scritto da Cosimo….il Trentino, a differenza dell'Alto Adige, a livello cooperativistico ha sempre perseguito logiche industriali e commerciali; va da se che le Cantine Sociali hanno mirato esclusivamente a rincorrere logiche di mercato, presindendo dal legame con il "Terroir"….ah, quanto sei lontana agognata Borgogna….
Correggo alcune imprecisioni.
1) Rappo non è stato assunto da Cavit per veicolare l'immagine del vino trentino degenere. Venendo dal Merano Wine Festival doveva portare prestigio e grandeur (nella testa di Giacomini). Difatti lo abbiamo notato aggirarsi per l'europa viaggiando in prima classe e alloggiare negli alberghi 5 stelle;
2) se finora i direttori di cantina erano enologi (e risultati si sono visti) non vedo perchè non possano farlo persone come Rappo, dotato senz'altro di ben altra conoscenza del mondo del vino di qualità e di buongusto nel vestire. Anzi l'è quasi en bel om ! Basta che gli limitino il budget perchè non è esattamente abituato al risparmio (vedi sopra). Grandi danni alla Imperatoner non ne può più fare.
3) perlomeno avremo qualcuno che sa parlare l'italiano, che ha assaggiato qualche vino in giro per il mondo e non ritiene il cabernet trentino migliore del bordeaux, che sa viaggiare e presentarsi e che magari capisce che tipo di comunicazione bisogna fare per portare avanti l'immagine di uno spumante (orco che brutta parola !)
C'è un solo problema, non mi ricordo più chi è il direttore commerciale ….. ah si adesso mi è venuto in mente. Cancellate tutto, non se ne fa niente !
Attenzione, per non essere equivocato: non ho scritto che Rappo in Cavit ha veicolato l'immagine di un vino trentino degenere; ho scritto che è stato l'interprete e il look maker di un modello di viticoltura fomentato da Cavit, fodato sull'idea dell'internazionalizzazione mercantilistica. Circa le qualità, professionali ed estetiche, di Rappo, poi, non ci piove.
CpR