Lettura istruttiva quella della stampa locale alla vigilia di Vinitaly, per capire il clima di sconquasso in cui sta navigando a vista la politica vitivinicola trentina.

parole La vita è tutto un marchio. A pagina 9 dell’Adige di venerdì, l’assessore Mellarini annuncia la grande svolta: “Siamo il primo territorio in Italia che si è dato forme di autodisciplina per fitofarmaci e fertilizzanti”. Da questa convinzione assiomatica, ne fa discendere il proposito di brevettare un nuovo (l’ennesimo) marchio commercial-promozionale partorito dalla sfrenata fantasia dei promoter-comunicatori istituzionali: il marchio dei vini sostenibili. Cosa poi voglia dire, lo sa solo lui. Posto che il Trentino, come gran parte delle regioni alpine, per ovvie ragioni, è il fanalino di coda nella classifica dell’agricoltura (viticoltura) biologica. E’ il mondo virtuale che sostituisce quello reale. La parola che dissimula la realtà. Un rigurgito di quel culturame anni Ottanta, di cui oggi paghiamo pesantemente le conseguenze sul piano sociale, fondato sull’ideologismo dell’apparenza che scardina la più elementare percezione della realtà. Il capovolgimento di quel principio sacrosanto secondo il quale le parole sono (dovrebbero essere) una conseguenza delle cose.  E non il contrario. Appunto, un assessore, e una politica, da Paese degli Uomini a Testa in Giù.

Rime baciate. Il presidente della Camera di Commercio, Adrano Dalpez, giovedì, si è candidato ufficialmente alla guida del Paese degli uomini a testa in giù. Alla vigilia di Vinitaly 2012 ha riesumato un vecchio slogan, inventato genialmente qualche decennio fa da un viticoltore lagarino (Antonio Anzelini di Maso Roveri): “Trentino l’unica regione che fa rima con Vino”. (l’Adige, 23 marzo, pagina 9). Questo, mentre un’autorevole e moderatissima istituzione del vino trentino, sta organizzando (maggio 2012) una tavola rotonda dal titolo: “Il Trentino non fa più rima con vino”. Ma in quale mondo virtuale, in quale dimensione ultraterrestre, vive il presidente della Camera di Commercio di Trento? Meno marchi e più realismo. Urge una terapia d’urto dalle parti di via Calepina. Insomma, riportiamoli sulla terra. Con i piedi per terra.

Parole a vanvera 1. “Aggregazione, condivisione di progetti e sensibile riduzione della frammentazione del settore(l’Adige, 23 marzo pagina 9). Ecco la strategia indicata, sempre giovedì, dall’incontenibile assessore Mellarini, per superare la crisi di un territorio che non fa più rima con vino. Anticipazione, si intuisce, delle conclusioni a cui, dopo un anno di lavoro, sono arrivate le due commissioni dei Saggi incaricate dall’assessorato all’Agricoltura di provare a disegnare uan prospettiva per questo comparto. Un centinaio di lettere, poco meno, per non dire niente. Una ricetta così generica che potrebbe essere applicata, o auspicata, per qualsiasi campo dell’umano agire. In qualsiasi parte del mondo. Sempre a proposito di vanverismo, l’avventuroso assessore ci svela quali saranno i “Testimonial d’eccezione (ormai anche il lessico della politica nostrana è corrotto e sopraffatto dalla gergalismo pubblicitario) che a Vinitaly comunicheranno le eccellenze trentine: Vin Santo, Nosiola, Teroldego, Marzemino. Lo fa fingendo di non sapere che queste quattro varietà occupano poco più del 10 % delle superfici vitate del Trentino. La terapia suggerita per via Calepina, urge anche dalle parti dell’Assessorato all’Agricoltura.

Chi primo arriva meglio alloggia. A rompere le uova nel paniere all’iperuranico assessore ovattato e ottimista, alla vigilia di Vinitaly ci ha pensato l’Istituto Trentodoc. Sempre l’Adige di venerdì, a pagina 9, ci informa che sarebbe improvvisamente scoppiata la guerra del marchio del Metodo Classico trentino (Trentodoc). Il brand commerciale, oggi di proprietà della Camera di Commercio, infatti sta per essere ceduto a titolo gratuito al Consorzio Vini Trentini. Una di quelle entità di cui spesso, su questo blog, ci siamo chiesti, inutilmente, la natura e le funzioni. Sappiamo che è presieduto da un avvocato dalla fluida e fluente oratoria. E che è diretto dall’unico antagonista, rimasto ancora in piedi, di Diego Schelfi alla presidenza di FerderCoop, Erman Bona. Nulla di più. Di sicuro per colpa, e ignoranza, nostra. Ma questo è un altro discorso. La giunta camerale, dunque, starebbe per cedere il marchio al Consorzio. L’istituto Trentodoc, come è comprensibile, improvvisamente si sveglia e si lascia andare ad un guizzo di vitalità. Ma soprattutto se ne duole. Non si capisce ancora bene se per finta o per davvero. Lo capiremo più avanti. Forse. Ma ciò che impressiona è la spiegazione che di questa scelta dà il presidente della Cciaa Dalpez: “La richiesta di gestione del marchio da parte dell’Istituto Trentodoc è giunta successivamente a quella del Consorzio. Ciò premesso, la giunta camerale…”. Appunto: puntini, puntini. E ancora puntini. Perchè a volte le parole non bastano. E sarebbero pericolose. Per la nostra incolumità.

Quelli che cascano dal pero. Troppo indaffarato, fra nastri, inaugurazioni, fotografi e campagne (auto)promozionali, l’insuperabile assessore all’Agricoltura Mellarini, all’indomani delle dichiarazioni di Dalpez circa il passaggio del brand Trentodoc al Consorzio Tutela Vini, ha dichiarato (L’Adige, 24 marzo, pagina 9): “È stata una sorpresa anche per me”. Gli crediamo sulla parola. Sempre sulla parola, crediamo anche al presidente dell’Istituto di Tutela, Enrico Zanoni: “Con la Camera di commercio la questione sembrava definita, invece abbiamo appreso del diverso orientamento”. Più che terra delle mele, il Trentino sembra la terra del pero. Con qualcuno sopra. Che irrimediabilmente cade.

Parole a vanvera 2. “Abbiamo individuato il Consorzio come interlocutore della Provincia per la promozione. Ma la giusta collocazione del marchio Trentodoc è nell’Istituto. Mi auguro che prevalga la ragione. Negli organismi dirigenti del Consorzio vini e dell’Istituto Trentodoc siedono gli stessi soggetti, a volte le stesse persone. Si tratta sempre dei nostri produttori. Ma la promozione e il marchio dello spumante hanno la loro giusta collocazione nell’Istituto” (Mellarini, l’Adige, 24 marzo, pagina 9). Quindi la giunta provinciale avrebbe individuato il Consorzio come interlocutore per la promozione. E tuttavia la giusta collocazione del marchio Trentodoc (brand promozionale) sarebbe in seno all’Istituto di Tutela. Potere delle parole. Quando le parole ormai hanno perduto qualsiasi nesso con la realtà. E con la logica.

Lavoratori di tutto il Trentino unitevi! A Trento si lavora. Eccome. Sempre dalle pagine di Economia dell’Adige di sabato. Tiziano Mellarini: “Che segnale diamo ai giovani che sono entrati con entusiasmo nell’Istituto (Istituto di Tutela del Trentodoc, ndr)? Stiamo lavorando a un tavolo di confronto per risolvere questa situazione”. Enrico Zanoni, presidente Istituto Trentodoc: “Come Istituto già dai primi di gennaio stiamo lavorando a definire ruoli e competenze e la legittimazione dell’Istituto richiede la titolarità del marchio collettivo”.

L’Adige 23 marzo 2012

L’Adige 24 marzo 2012

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