IMG00019-20120326-1426Seconda giornata di Vinitaly: niente di nuovo. Almeno dalle parti del Trentino. Le novità, se qualcuno ha voglia di novità, stanno altrove. Magari fra le manifestazioni alternative, e contemporanee, alla giostra giostrante di Verona; i biologici di Villa Favorita, a Vicenza, per esempio hanno dimostrato di avere qualcosa di nuovo da dire. A VeronaFiere, invece, i soliti riti: scontati. Le solite parole. I soliti incontri. Quindi, almeno questo volta, niente cronache da parte di Cosimo. Almeno su questo blog. Quelle le faranno gli altri, sui giornali di domani.

Solo un paio di noterelle. Tanto per dare il senso del clima che si è respirato anche oggi, come succede da tanti anni a questa parte, dalle parti del faraonico – ma altri lo considerano sobrio – stand istituzionale targato Trentino. Anzi no: Trentodoc.

Ore 15. Lo stand chiude al pubblico. All’interno tutti si stanno dando un gran da fare. Sembra un formicaio. Chiedo spiegazioni. La risposta è tanto disarmante quanto sconcertante: “Sta arrivando l’assessore, alle 16 è prevista la conferenza stampa. Non possiamo servire da bere a nessuno”. Ommadonna Santa: arriva l’assessore e il mondo si ferma. Pensavo di essere a Vinitaly. E invece mi ritrovo in sagrestia. Sagrestia in tempi di quaresima. E infatti i tempi quelli sono. L’assessore che ferma il mondo è l’assessore Mellarini. E il mondo che si ferma è quello trentino. Naturalmente. Comunque, bella lezione. Forse per questo motivo, ho sempre fatto fatica a comprendere fino in fondo le argute argomentazioni di ReSole. Perché non avevo smesso di bere un’ora prima. Insomma, non bere prima dei pasti. Anzi, prima di ascoltare l’assessore. Bastava dirlo. Almeno ci avrei provato. A non bere. E a capirlo. Forse.

Ore 16. L’assessore arriva. Tutti tirano un sospiro di sollievo. E rimbalzano gli occhi al cielo: come se avessero visto la Madonna. Insieme a lui appare il codazzo cortigiano di chi lo segue e lo insegue. E lo accompagna. Sempre. L’improvvisata sala stampa, sotto le architetture faraoniche – o sobrie – di Trentodoc, improvvisamente si affolla. Le solite facce. I soliti giornalisti nostrani. Alcuni impettiti. Gli altri, i più, stanchi e annoiati. Basterebbe loro fare un copia-incolla del pezzo scritto lo scorso anno. O due, tre, quattro anni fa. Lo sanno, lo sappiamo, alla perfezione. Ma lì ci devono stare. Ci dobbiamo stare. Però, quanto è difficile rintracciare qualche volto nuovo. Chennesò, un siciliano o un austriaco. Un veneto o un canadese. Macché: sempre, solo, noi. Due palle. Sempre a raccontarcela fra di noi. E nessuno che ci caghi. Intanto alle transenne della cattedrale trentodocchista, si affaccia uno dei grandi maestri italiani del Metodo Classico: Leonello “Nelo” Letrari. Deve aver voglia di sentire, ingenuo ed elegante come tutti i grandi romantici d’altri tempi, se l’assessore che ferma il mondo questa volta abbia finalmente qualcosa di nuovo da dire. Si presenta. Cerca di entrare. Ci prova. Ma viene forzatamente fermato da una cortese quanto irremovibile hostess, che – povera  lei– ripete la lezione a memoria: “Parla l’assessore, possono entrare solo i giornalisti”. Solo l’imbarazzato intervento di uno sconosciuto cronista che sta passando nei paraggi, riesce a sbloccare la situazione; spiegando alla ignara e sfortunata signorina che ha davanti a sé  uno di quei grandi uomini che potrebbero mettersi in tasca tutta la gente, assessori compresi, che stanno al di qua, e anche al di là, delle transenne trentodocchiste. L’imbarazzo divampa. Almeno da parte mia. Mentre la conferenza stampa comincia in tono cinematografico, sotto la regia ineccepibile e velinara dell’establishment di Trentino Marketing. Che novità, anche questa. Quella del cinema, voglio dire. Sembra la riedizione melensa di un Drive In anni Ottanta. Mi guardo intorno e cerco di ingannare il tempo chiedendo un Trentodoc ad un sommelier amico. La risposta è quella disarmante di un’ora fa: “Non possiamo servire niente, fino a quando l’assessore non avrà finito di parlare”. Vabbè: cambio aria. Scappo dalla cattedrale trentodocchista e vado a rifugiarmi sotto il gazebo di Mario Baffo Pojer, che sta lì a due passi. Da questa postazione, la voce del Mella diventa niente di più che un fastidioso rumore di fondo. Mister Baffo mi regala una coppa della sua splendida Cuvée dolomitica. E io intanto faccio il mio bel copia-incolla della conferenza stampa di due anni fa, o forse erano tre, da spedire alle riviste che mi stanno pagando la trasferta a Verona. Tanto chi volete che se ne accorga. La minestra è sempre la stessa. E sempre più riscaldata. O forse se ne sono già accorti tutti. Per questo siamo messi così.