A chi è perso l’ultima puntata de “Il Gastronauta”, andato in onda sabato mattina su Radio 24, o a chi si voglia riascoltare comodamente la trasmissione sul pc, segnalo che da questa mattina è on line il podcast della puntata di sabato. Fra gli altri ospiti di Davide Paolini, anche Fabio Piccoli, Matteo Lunelli e Franco Ziliani. Buon ascolto.
QUI: Bollicine italiane e bollicine francesi: vini, territori e storie diverse
È lo pseudonimo collettivo con cui fin dall’inizio sono stati firmati la maggior parte dei post più trucidi e succulenti di Territoriocheresiste. Il nome è un omaggio al protagonista del Barone rampante, il grande capolavoro di Italo Calvino. Cosimo Piovasco, passa tutta la sua vita su un albero per ribellione contro il padre. Da lì, però, guadagna la giusta distanza per osservare e capire la vita e il mondo che scorrono sotto di lui.
Quando un giornalista vuole creare un pezzo giornalistico che abbia un grande impatto sulla comunità come la scoperta del motore a scoppio, mi mette sempre a disagio. Il giornalista si lascia talvolta trasportare dalla sua voce e dalla sua penna ed esce dal suo ruolo. Il sig Argonauta, Mr Davide Paolini, dice che è ora di finirla con la querelle se è meglio lo Champagne o le bollicine metodo classico italiane: per lui sono due cose completamente diverse… Allora o non ha studiato bene la materia o se l’è temporaneamente dimenticata. Fino a “ieri” abbiamo etichettato, pubblicizzato e promosso il nostro metodo classico come Metodo Champenoise, guarda guarda… (scommetto che negli armadi di molte produttori ci sono ancora tonnellate di dépliants che spiegano i ns spumanti come prodotti col metodo Champenoise) inoltre quasi tutti i disciplinari italiani impongono l’uso dello Chardonnay, Pinot Meunier e Pinot nero che sono i vitigni dello Champagne mi pare, se non fosse stato per un bel giorno nel quale a Bruxelles i francesi ci hanno dato 10 anni per smetterla di usare la loro denominazione e di farci la nostra. Dopo 10 anni, all’ultimo giorno naturalmente come nelle migliori storie italiane, la commissione incaricata capitanata da un certo non proprio sconosciuto Mr Etile Carpené ha tirato fuori dal cilindro il famoso metodo Talento. Però vedo che, per citare Pirandello, siamo ancora “mille produttori in cerca dell’autore” che ci scriva un copione decente da recitare. Che non ci piaccia la concorrenza ne misurarci con gli altri, sopratutto se più bravi o blasonati lo sappiamo bene. Interessante poi nel programma ascoltare la filosofia dei grandi guru che non hanno mai venduto una bottiglia in vita loro, cioè che i nostri spumanti sono “diversi” (la “r” si legge moscia!). Solo che quando si và in giro per il mondo a vendere i vini italiani, come devo fare io, che mi piaccia o no devo misurarmi con tutti i produttori concorrenti della stessa categoria: non esiste una categoria di consumatori di Champagne diversa dalla categoria di consumatori di Franciacorta e diversa dalla categoria di consumatori di Trento DOC. Al ristorante, al supermercato, in enoteca la gente è sempre la stessa ed un vino con le bollicine a rifermentazione in bottiglia per il consumatore rientra sempre nella stessa categoria. Se l’unico argomento che diamo alla catena distributiva, agenti, venditori, ristoratori, sommelier, camerieri ecc. di fronte ad un loro cliente che chiede di essere consigliato nell’acquisto è quella di dire che il nostro spumante non ha niente a che vedere con lo Champagne e che è una cosa completamente diversa, beh facciamo la solità figura dell’italiano ridicolo. Chi deve lavorare sul serio col vino sà che deve accettare di misurarsi con qualsiasi vino, nel caso dello spumante italiano anche con lo Champagne. Bisogna risconoscere i loro punti di forza e poi valorizzare la nostra maggiore flessibilità ad interpretare i trends (siamo o non siamo bandiere al vento… giusto sfruttarlo questo lato del ns carattere perdìo) dei mercati e dei consumatori sia nello stile organolettico che nel rapporto qualità/prezzo.
Gentile Claudio, in parte non posso che darle ragione. Anche se irrimediabilmente mamma natura mi ha regalata una erre blesa da manuale. Dunque, lei ha ragione: il consumatore medio, e anche non medio, confonde, o mette, in un unico calderone ogni genere di bolla. E quindi il confronto fra prodotti che cadono sotto la medesima categoria (bolla), alla fine è inevitabile. E di questo, chi produce, e soprattutto vende, bottiglie deve tener conto. Dopodiché, mi permetta però anche di sottolineare che la storia spumantistica (di successo del nostro paese), mi pare dimostri un paio di cose: che gli ottimi risultati (sia di vendite che di qualità e anche di quantità) non sono stati raggiunti attraverso la valorizzazione del metodo (Classico o Champenoise che si voglia dire, anche se non si può più dire), ma attraverso l'enfatizzazione di un brand aziendale (Ferrari) o di un brand territoriale (Franciacorta). Ecco, mi pare questo ragionamento tagli la testa al toro. E suggerisca ai produttori di TRENTO di lavorare (dal punto di vista promozionale e commerciale) non sul metodo – che si da per scontato – ma sull'identificazione territoriale.
Dei 40' di trasmissione mi resta la lucidità strategica di Maurizio Zanella (no metodo classico, no bollicine, ma territorio), la freschezza cultural-aziendale di Matteo Lunelli (più made in Italy che bollicine e Trentodoc), l'inconsistenza di Fabio Piccoli (il metodo classico italiano ha intrapreso una strada identitaria…), la… franchezza di Franco Ziliani (sì Origini e Prosecco, no Oltrepò pavese), il mestiere di Davide Paolini gastronauta che, pur sapendola lunga sull'importanza di un cognome per la spumantistica classica italiana, glissa.
Contro il monolite d'oltralpe confermiamo l'insofferenza per il gioco di squadra accontentandoci dei soliti solisti.
….quanto sei severo…. Massarello…. dai su… almeno un piccolo incoraggiamento…. glielo avresti potuto concedere al nostro cavaliere inesistente….
Severo? … Dai, lo dico io!
"Xxxxx xx xxxxxxxxxx … xxxxx xx xxxxxxxxxx, xxxxx xxxxxx xxxxx xxxxxxxxxxxx? Xxxxxx xxxxxxxx!"
Stop!… prima che qualcuno ponga mano alle pistole o alle carte bollate, preciso che il frasario di cui sopra rieccheggiava sinistro nelle orecchie di quel plotone di alpinacci che tiravano la … penna dopo aver fatto carte false per evitare i servizi infilandosi con gli esploratori a caccia di vette…; altri tempi.
Chissà perché mi sarà tornata in mente 'sta storia sentendo il cavaliere inesistente… chissà.
Massarello, faccio valere il mio potere di dominus: e censuro la tua citazione! Lo faccio anche per te, passi per le pistole.. ma le carte bollate no. Quelle no!
Hai ragione Cosimo, ai miei tempi la naja era obbligatoria e, mi pare, che il principe Antonio de Curtis, si chiedeva: Ma cchè, siamo uomini o caporali?
Meglio…molto meglio… così 🙂