Dopo un primo commento sull’823 Trento di Tognotti/Armani, i successivi tre interventi di un nostro lettore (Claudio in coda al Trentino Wine Award di aprile) ci danno la sua visione su questioni che vanno al di là del nome da riportare in etichetta. Essa merita qualche chiosa.
Cominciamo con il marchio Trentodoc: Claudio ne giudica “accettabile” l’idea e l’esecuzione, sostenendo che “DOC è sinonimo di maggiore qualità rispetto ad un vino non DOC“. Esatto. Il punto è proprio questo: il consumatore pensa al “vino”, ma noi qui parliamo di “spumante” e per di più di “metodo classico rifermentato in bottiglia a denominazione di origine”. Sappiamo che la legge (benedetta) obbliga i produttori che intendono elaborare spumanti ad una netta separazione dalla cantina che produce vini tranquilli (senza bollicine), non foss’altro perché nella spumantistica si possono usare zuccheri di canna o barbabietola per la rifermentazione. Ma la cosa più importante da capire è che la legge classifica la spumantistica come attività industriale anche se il produttore è un piccolo vignaiolo per il semplice motivo che si tratta di “elaborazione“ di un prodotto primario com’è appunto il vino tranquillo.
Orbene, nella comune accezione, “industriale” si coniuga istintivamente con “grande quantità” pur fatta bene, piuttosto che “gran qualità” con numeri più ridotti. Ciò è tanto più comune se applicato al settore alimentare, ma sappiamo che non è sempre vero.
In questa sede interessa focalizzare come sia difficile sostituire la mentalità naturalmente “agricola” del produttore con quella della massima qualificazione “industriale” necessaria per elaborare uno spumante metodo classico d’origine destinato più ad emozionare che a dissetare. Come dire: prendo un vino base spumante doc e lo trasformo, interpretandolo come un artista modella un oggetto, in qualcosa cioè che va al di là della funzione d’uso della materia di partenza. Il produttore quindi, si deve trasformare in artista e se questo passaggio non gli riesce, alla fine dei ragionamenti non gli resterà che agire sulla leva del prezzo per farsi comprare la sua bottiglia, anche se di gran qualità. E’ il caso dei prodotti che non emozionano, ecco perché bisogna “industrializzarsi“ nel senso che ho tentato di esprimere.
A questo punto il discorso si complicherebbe ancor più quando a produrre un metodo classico d’origine è una cooperativa: questione questa, talmente delicata che forse merita un post a sé stante, per cui converrà restare sull’acronimo “doc” legato alla denominazione Trento.
“Trento” fu proposto da Gino Lunelli per separare il nostro spumante classico da “Trentino“, con il capoluogo chiamato a dare il suo nome ad un territorio già coperto dalla denominazione riservata ai vini tranquilli di qualità locali.
Come già detto, l’aver recentemente legato “Trento” a “doc” nella comunicazione istituzionale è stata operazione da apprendisti stregoni che sarà anche piaciuta ai produttori perché pagava pantalone, ma che oltre a non comunicare, ha fatto pure perdere tempo. Nel capoluogo ed in provincia, come ampiamente dimostrato anche da questo blog, alla richiesta di un Trento o di un Trentodoc si assiste solo ad uno sgranar d’occhi interrogativi e se va bene, ti arriva un Prosecco.
Infierire oltre, sarebbe come sparare sulla Croce rossa. Basti considerare che a distanza di anni e dopo tutti gli investimenti di Re Sole, la real casa Ferrari vende da sola i due terzi di tutte le bottiglie di Trento e, cosa ancor più ficcante, con una redditività rispetto al capitale investito seconda in Italia solo ad Antinori. Accomunarvi Rotari, dileggiare Cesarini Sforza, irridere la Fondazione Mach e dimenticare tutti gli altri 40 spumantisti trentini è esercizio che non appartiene a questo blog. Meglio, come ammette Claudio, che lui pensi sempre alla vendita, lasciando la poesia (nel nostro caso l’emozione) non già a chi beneficia del posto fisso (non siamo fra costoro) o ai figli di papà, ma a chi ogni giorno si sente impegnato a qualificare il territorio nei suoi diversi e separati aspetti.
Pseudonimo utilizzato da uno dei personaggi chiave del vino trentino, depositario di segreti,conoscitore di vizi e virtu dell’enologia regionale e non solo.
Massarello alias Angelo Massarelli, nato a San Severino Marche nel 1510, dopo gli studi in seminario si laureò in leggi canoniche e civili presso l’Università di Siena.
Tornato a San Saverino fu dapprima assegnato alla chiesa di S. Eligio e poi fu eletto priore della collegiata della cittadina.
Grazie alla frequentazione di alcuni letterati conobbe il cardinale Marcello Cervini, futuro papa Marcello II.
Quando il papa Paolo III delegò il cardinale Cervini ad assumere la presidenza del Concilio di Trento, questi volle come segretario del Concilio il Massarelli. Un cardinale così descrive l’operato del Massarelli: «essendo egli lodato dal testimonio incontrastabile dell’esperienza, ed ammaestrato dall’esquisita scuola dell’esercizio, tenne stabilmente il grado di Segretario del Concilio».
Durante gli intervalli delle sedute del Concilio svolse l’importante mansione di Segretario di Stato del pontefice.
Sotto il breve pontificato di papa Marcello II il Massarelli fu suo consigliere.
Dal successore di Marcello II, papa Paolo IV, fu designato vescovo di Telese o Cerreto il 15 dicembre 1557 e fu consacrato a tale ufficio pochi giorni dopo, il 21 dicembre.
Fu autore di un minuzioso diario dei lavori del Concilio dal titolo Acta genuina ss. oecumenici Concilii tridentini.
Terminato il Concilio di Trento nel 1563, il vescovo Angelo Massarelli fu dapprima ministro della Segreteria di Stato e poi Segretario del Supremo Tribunale della Riformazione (successivamente chiamato Sacra Consulta).
A causa dei suoi numerosi impegni venne poche volte in diocesi e si fece rappresentare da un vicario vescovile di sua nomina.
Caro Cosimo, in ogni caso credo sia difficile cancellare quanto già fatto col marchio Trentodoc. Basti pensare che su tutte le etichette degli spumanti trentini premiati con i Tre Bicchieri Gambero Rosso 2012 (Letrari Brut Riserva, Dorigatti Methius, Ferrari Perlé Nero, Altemasi Graal, Abate Nero, Balter Riserva) campeggia sulla fronte etichetta il logo TRENTODOC. Inoltre la maggior parte di tutte le linee di spumanti, vedi Cesarini-Sforza, Rotari, Zeni, Cavit ecc. sono marchiate, per non parlare poi dei siti web dei produttori dove in moltissimi casi il logo è stato incluso in maniera ben evidente come per Rotari, Balter, Zeni e altri. Abbandonare oggi questa strada, senza aver prima una solida alternativa ed essere preparati a coordinare la transizione sarebbe un piccolo disastro non credi? Mi fà venire in mente un certo 8 Settembre col Re e Badoglio in fuga che lascia gli italiani in piena confusione. Per come la vedo io, per quel che conta, il problema veramente centrale che avete posto è il fatto che il messaggio/prodotto non passa: “nel capoluogo ed in Provincia…alla richiesta di un Trento o Trentodoc… ti arriva un Prosecco”. Potrei scrivere un libro sul marketing italiano del vino ma mi limito solo a qualche breve nota: sono mai stati coinvolti i responsabili commerciali delle varie aziende vinicole nelle strategie di marketing istituzionale? Mai! I politici parlano con i vari dirigenti istituzionali, i quali parlano coi consulenti di marketing e le agenzie pubblicitarie, le quali talvolta parlano coi presidenti (qualcuno astemio) e in qualche circostanza direttori delle cantine, i quali parlano coi professori dalle parte di San Michele e poi viene fuori la mega strategia. E’ come se gli ingegneri della Ferrari avessero sempre fatto l’auto da corsa di testa loro e detto a Michael Schumacher: “adesso guidala e vedi di vincere”, naturalmente senza mai confrontarsi con lui. Medio-Evo, oscurantismo c’è nè che si taglia a fette. Per non essere solo critico ma propositivo, un esempio di una utile azione commerciale promozionale poteva essere quella di chiedere a tutti i produttori di metodo classico di fare un lotto limitato, ogni produttore con una etichetta diversa da quelle del loro portafolio standard, da vendere (non regalare) a prezzo calmierato, diciamo tra € 5-6 + Iva per bottiglia (il primo prezzo di un buon Franciacorta è sui € 7) a tutti i bar, ristoranti, hotel del Trentino, coordinando la distribuzione con i responsabili commerciali dei produttori (fondamentale!), disegnando l’operazione in modo da avere in media due-tre spumanti al calice per locale e con rotazione mensile-trimestrale, in modo da dare al sommelier, barista, cameriere, consumatore il tempo di familiarizzare coi vari produttori e stili orgalolettici. Un tempo determinate, diciamo 12 mesi e poi la promozione viene chiusa.
Sugli aspiranti stregoni: se leggi il brillante dossier dello Iasmaa per il nuovo piano vitivinicolo (perchè non hanno scritto per lo sviluppo commerciale?), oltre che a farci una doverosa cultura sul germoplasma autoctono, vediamo già la sintesi della elaborata strategia a pagina 17: “aumento dei prezzi di vendita del vino trentino…” e “riduzione dei costi di produzione dell’uva e del vino…”. Io non ho mai visto un commerciale che sia stato chiamato a fare conferenze sui portainnesti, studi sui lieviti e fermentazione malolattica ecc. ecc. ma ho visto tanti professori ed enologi pontificare e tenere conferenze sulla commercializzazione del vino. Socrate ci dovrebbe aver insegnato il “saper di non sapere” e che ogn’uno deve fare quello che sà fare. Perchè i professori, incluso il bravo prof. Scienza con la sua cabina di regia, non dicono chiaro e tondo che loro possono parlare solo del vigneto e della cantina ma di quello che c’è fuori dai cancelli della cantina e di quello che vuole quello che stà dietro un bancone bisogna che parli qualcun altro?
Caro Claudio, quoto molte delle cose che hai scritto. Hai ragione, soprattutto quando sostieni che prima di abbandonare un marchio sarebbe necessario avere una solida alternativa. E' quello che pensiamo noi: che sia necessario prendere atto del fallimento delle politiche promozionali orchestrate da trentino marketing fino ad oggi. Che sono servite più a gestire il consenso di un assessore provinciale che a vendere bottiglie. Per questo siamo convinti sia necessario un deciso cambio di marcia. E'quello che abbiamo chiesto apertamente al presidente Dellai nei giorni scorsi. A cui ora si impone l'assunzione diretta di responsabilità nel settore agricolo e turistico. Mettendo in mora, o a riposo in maniera da renderlo innocuo, il formale titolare dell'assessorato. Un deciso cambio di rotta che, nel caso specifico, significa anche abbandonare un marchio – su cui ora si sta litigando e di cui oggi nessuno sa come dispornee fino a che punto disporne – in favore di un marchio con più appeal e che si giochi completamente sulla connotazione territoriale. Su una cosa, però, non mi trova d'accordo: sul ruolo della Fem e sul suo dossier. Unico documento prodotto fino ad oggi su cui ragionevolmente si possa cominciare a discutere per fare chiarezza. E per delineare un orizzonte. Che dovrà poi essere concretizzato dai singoli protagonisti della filiera (commerciali compresi). Ma proprio per questo, perché documento di rottura rispetto al passato e al presente e di rottura rispetto agli equilibri costruiti fra piazza Dante e via Segantini, cassato senza mezze misure dagli oligopoli cooperativi. Ebbene, noi sosteniamo che sia necessario ripartire da qui.