Ci sono inestetisimi ontologici. Che vanno al di là delle intenzioni di chi ne è protagonista. Ma che risiedono, ontologicamente appunto, nell’essere. Nel fatto. Come il rumore di una posata strisciata involontariamente sulla ceramica di un piatto, come lo stridio di un gessetto che graffia la lavagna o come un paio di calzini da tennis indossati su un paio di scarpe da tanguera. Un paio di notizie lette la scorsa settimana mi hanno fatto, e continuano a farmi, lo stesso effetto. Sto parlando delle tre nomination su tre, assegnate ad altrettante bottiglie franciacortine, uniche in lizza per l’assegnazione dell’Oscar del Vino 2012, sezione Miglior Vino Spumante. Autorevole e prestigiosissimo premio promosso da Ais e dalla rivista Bibenda (qui tutti i dettagli). L’altra notizia, che messa insieme a questa mi ha provocato la sensazione di cui parlavo prima, invece, riguarda la prima edizione del premio Franciacorta in Roma; evento costruito dal Consorzio bresciano per premiare gli ambasciatori del Made in Italy. Fra i riconoscimenti, anche quello ad un uomo simbolo della comunicazione del vino in Italia, il presidente di Ais Lazio e direttore di Bibenda Franco Maria Ricci. A cui l’Italia del vino dovrebbe fare un monumento in ogni città. Dunque, sia chiaro, escludo a priori che ci sono legami intenzionali fra questi due award. Che, fra l’altro, considero entrambi ampiamente meritati. Ma il senso di uno stridulo inestetismo resta intatto. E i famosi calzini anche. Penso che sarebbe una cosa buona se da parte dei protagonisti, entrambi al di sopra di ogni sospetto – e ci tengo a ribadirlo –, ora si facesse un passo indietro. Chennesò: Franciacorta potrebbe volontariamente rinunciare ad una nomination a favore del Metodo Classico di un altro territorio. Oppure, per esempio, Franco Maria Ricci potrebbe generosamente riconsegnare al Consorzio il Premio Ambasciatore del Made in Italy. Nell’uno o nell’altro caso, mi pare, ci troveremmo di fronte ad un beau geste da incorniciare. Un bel gesto capace di recuperare un senso estetico alla comunicazione del vino italiano.
È lo pseudonimo collettivo con cui fin dall’inizio sono stati firmati la maggior parte dei post più trucidi e succulenti di Territoriocheresiste. Il nome è un omaggio al protagonista del Barone rampante, il grande capolavoro di Italo Calvino. Cosimo Piovasco, passa tutta la sua vita su un albero per ribellione contro il padre. Da lì, però, guadagna la giusta distanza per osservare e capire la vita e il mondo che scorrono sotto di lui.
Evidentemente i nostri ambasciatori del Trento dormivano, mentre gli altri, giustamente e legittimamente, si davano da fare. Un gran da fare.
beh, ma allora se tutto, ma proprio tutto si spiana appiattendosi sul livello politico-aziendalista-istituzionale non stiamo neanche più a perder tempo a commentare….i vini vanno prima bevuti, degustati, messi a confronto, selezionati in base a delle line-up precise per livello qualitativo e solo dopo giudicati, selezionati e premiati…..
Per farli degustare, assaggiare, capire, prima bisogna farli conoscere urbi et orbi. Insomma bisogna pedalare. Non si tratta di appiattirsi sui livelli politico istituzionali, ma si tratta invece di fare in modo che che una bottiglia, anzichè restare chiusa in cantina, venga bevuta e conosciuta e capita. E qui sta, secondo me, il problema di trentodoc. Ora il marchio è passato al consorzio: vediamo se cambia la musica…
Ma Cosimo, non posso pensare che da vent'anni a questa parte le varie guide ( Gambero Rosso, Espresso, Veronelli, Luca Maroni, Bibenda ecc.) che dalla carboneria si sono trasformate in faro guida per gli appassionati, non conoscano i vini nazionali, specialmente quelli al top della qualità; comprendo il tuo discorso riferto a piccole realtà produttive, ma quando parliamo di Giulio Ferrari, Methius e Perlè, lo conoscono anche i cani…..suvvia, non mi dire che i selezionatori delle guide menzionate ignorino la realtà della produzione trentina di alta gamma…..
Ma come si fa a nominare tre spumanti franciacortini? Non per patria potestà nel senso che io sia trentino, ma da più di trent'anni, da quando cioè nella zona bresciana il brand "Franciacorta" (come lo si intende adesso) non era ancora nato, il Giulio Ferrari Riserva del Fondatore si erge quale miglior spumante italiano, autentico monumento spumantistico nazionale….
Evidentemente i nostri ambasciatori del Trento dormivano, mentre gli altri, giustamente e legittimamente, si davano da fare. Un gran da fare.
beh, ma allora se tutto, ma proprio tutto si spiana appiattendosi sul livello politico-aziendalista-istituzionale non stiamo neanche più a perder tempo a commentare….i vini vanno prima bevuti, degustati, messi a confronto, selezionati in base a delle line-up precise per livello qualitativo e solo dopo giudicati, selezionati e premiati…..
Per farli degustare, assaggiare, capire, prima bisogna farli conoscere urbi et orbi. Insomma bisogna pedalare. Non si tratta di appiattirsi sui livelli politico istituzionali, ma si tratta invece di fare in modo che che una bottiglia, anzichè restare chiusa in cantina, venga bevuta e conosciuta e capita. E qui sta, secondo me, il problema di trentodoc. Ora il marchio è passato al consorzio: vediamo se cambia la musica…
Ma come si fa a nominare tre spumanti franciacortini? Non per patria potestà nel senso che io sia trentino, ma da più di trent'anni, da quando cioè nella zona bresciana il brand "Franciacorta" (come lo si intende adesso) non era ancora nato, il Giulio Ferrari Riserva del Fondatore si erge quale miglior spumante italiano, autentico monumento spumantistico nazionale….