bottiglie-prosecco Vengo a sapere solo oggi  dal blog Vino al Vino, dell’ultimo prodotto in stile bollicine messo in cantiere dal gruppo La-Vis. Uno Charmat lungo o Spumante breve (qualcuno forse ha ripescato dal cassetto il cosiddetto metodo Cavazzani?), con il quale la cantinona commissariata intende lanciare la sua sfida all’ultimo sangue niente meno che al Prosecco. Bene. Non sto qui ad aprire una parentesi, che pure dovrebbe aperta, sulle ragioni produttive che probabilmente stanno alla base di scelte come questa (necessità di smaltire sovrapproduzioni di valle poco adatte al metodo classico? Cosa che ha spiegato bene qualche settimana fa l’ex direttore Cavit Giacinto Giacomini, quando, al Mas dela Fam, ha ricordato che a suo tempo era stato lui ad inventarsi l’idea degli Charmat di Müller-Thurgau per risolvere un problema serio di eccedenze legate a questa varietà). Mi fermo prima. Molto prima. In questi giorni – e dico in questi giorni perchè è in corso la Mostra Monstrum Vini del Trentino -, si fa un gran parlare di territorio. Lo si è fatto anche giovedi mattina a palazzo Roccabruna, nella conferenza stampa di presentazione dell’evento che si è aperto ieri. Dunque, il territorio. Ma quale è il territorio? Quale territorio si vuole promozionare? A quale agente promozionatore, a quale brand, a quale bottiglia, a quale metodo, a quale etichetta, si intende affidare questa delega di rappresentanza di un territorio che vuole sedurre il consumatore? Lo chiedo, e me lo chiedo, perché credo che oggi questa sia la domanda centrale, attorno alla cui risposta dovrebbero ruotare le scelte di politica agricola e promozionale del Trentino. Nessuno, naturalmente, si sogna di mettere in discussione il diritto di qualsiasi azienda di fabbricare prodotti di fascia medio-bassa, da prezzo, da scaffale, con cui combattere improbabili (almeno per gli esiti) e provinciali (questo sì) guerre al Prosecco. Soprattutto se dietro a queste ci sono, e ora parlo in termini generici e non mi riferisco a La-Vis, problemi di sovrapproduzione (e di errori strategici di chi avrebbe dovuto a suo tempo curare la regia delle varietà coltivate in fondovalle; fondovalle trentino che forse, diciamocelo, tanto vocato non è). Ciò che invece fa specie è che attorno a questi prodotti rischi di sedimentarsi la proiezione all’esterno dell’immagine del Trentino. Perché qui, in questo modello, si colloca un errore strategico esiziale: assegnare la leadership e la rappresentazione del Trentino a prodotti, e ad aziende, che intrinsecamente sono deterritorializzati/e, perché generici.Troppo generici. Tanto che nel lancio della notizia – come riportato dal ritaglio stampa pubblicato da Ziliani -, non si parla di un prodotto di territorio ma di un prodotto capace di vincere (?) la guerra con il Prosecco. Siamo alla farsa finale, quando per descrivere un nostro prodotto, invochiamo le icone di un territorio differente dal nostro. Mi dispiace dirlo. Ma temo che ancora una volta si stia prendendo la strada sbagliata. E questo non ha niente a che fare con le mie personali preferenze per il Metodo Classico né con una mia certa distanza culturale dai modelli industrialistici di riferimento della cooperazione trentina. Credo semplicemente sia un errore. Un errore che perpetua altri errori del passato. La dimostrazione che il Trentino sta vivendo una sorta di stagione dell’oblio. Che è anche un oblio dalla propria storia. Anche da quella recente.