Palazzo Roccabruna - Bollicine su Trento TrentoDoc
Inaugurazione 
Esposizione Bottiglia
26 novembre 2009
Archivio CCIAA TN © Romano Magrone
DIG _ROM3125
RCC Alla tornata dell’Accademia Italiana della Vite e del Vino che ha celebrato la storia, l’attualità e le prospettive della Spumantistica Trentina il 7 luglio scorso alla Fonazione Mach di San Michele all’Adige mancavano i veri interessati, ossia i produttori del “Trento” come ha dovuto convenire lo stesso Assessore all’agricoltura Mellarini. Perfino il loro presidente e manager di Cavit Enrico Zanoni, dopo aver letteralmente dato i numeri delle produzioni e vendite mondiali, nazionali e locali, s’è lasciato sfuggire che il suo credo intimo si chiama Prosecco. Roba da restare basiti ancor più che per il caldo torrido e l’ora meridiana del pranzo.
Nulla da dire, anzi, sulle dotte relazioni della mattinata di Giorgio Nicolini, Maurizio Bottura (con Umberto Malossini) e Luciano Groff che benissimo rappresentano quella costola culturale (tecnica e scientifica) su cui poggia il sistema vitivinicolo trentino.
Una sola grande annotazione: la dimostrazione che la stragrande maggioranza della produzione di uve base-spumante trentino proviene da vigneti ubicati oltre i 300 metri di altitudine e che queste uve si caratterizzano per contenuti chimico-fisici che le distinguono nettamente dalle produzioni di fondovalle e prima collina. Punto.
Dovrebbe bastare questo per porre subito mano al disciplinare di produzione del “Trento” per qualificarlo ulteriormente come territorio “alto” e con rese opportunamente dimensionate ai siti. Insomma per farne un prodotto di Qualità indiscussa ed inconfondibile, anche con i colleghi di Franciacorta. Zanoni, invece, li vive come concorrenti e preferisce l’idea di annegare nel grande mare del Prosecco. E’ coerente Zanoni, nel suo incarico di DG del Consorzio di Ravina, ma il ruolo di Presidente del “Trento Doc” gli va stretto e soddisfa semmai, oltre a Cavit, quelli di Mezzacorona e soprattutto la real Casa Ferrari, unica ad avvantaggiarsi dalla confusione strategico-culturale che permea la spumantistica trentina.
Sul campo rimangono, infatti, quei quaranta produttori che sembrano preferire il piccolo cabotaggio commerciale nella scia delle grandi Case piuttosto che l’elaborazione di una strategia alternativa che ponga il territorio al centro dei loro interessi produttivi e di mercato. Come ha fatto Franciacorta
In questo senso l’invenzione del logo commerciale “Trentodoc” è stato doppiamente deleterio: da un lato ha illuso le piccole Case che bastasse adottarlo in etichetta per impennare le vendite sostenute da una generosa campagna di comunicazione istituzionale; dall’altro ha implicitamente bloccato lo sviluppo del pensiero nella direzione della DOCG (o comunque di una maggiore qualificazione) portando addosso l’acronimo DOC, vissuto come appannaggio di vini di qualità “tranquilli”.
Nelle prospettive di Zanoni, oltre alle scontate sfide che ci attendono, ci sarebbe piaciuto sentire, appunto, che è tempo di porre mano al disciplinare per attuare quella coerenza di atteggiamenti che pure ha richiamato, di tornare all’originale “Trento” senza altri fronzoli, di tirare una riga sulla carta topografica dei vigneti alla quota coerente con l’idea di uno spumante di montagna, ecc. Ma forse è pretendere troppo. Meglio stare con un recente pensiero del grande vecchio nazionale (Napolitano) che, rivolto ai giovani, ha detto più o meno loro: coraggio, non fatevi intimidire, prendete in mano le situazioni e costruite qualcosa di migliore dell’esistente!