Se invece di essere il 1° di agosto, oggi, fosse il 1° di aprile non avrei dubbio: la notizia che ricercatori della FEM di San Michele all’Adige hanno scoperto che i responsabili della tipicità dei nostri vini sono i calabroni e le vespe che si portano in pancia i lieviti della fermentazione, beh, puzzerebbe di pesce d’aprile lontano un miglio.
Lo studio, pubblicato sulla rivista americana PNAS e ricordato da l’Adigetto (qui) ed è di quelli in grado do far fremere anche i tre illustri francesi che per primi capirono qualcosa dei lieviti dal ’700 in poi. Antoine Lavoisier fece il primo passo verso la comprensione del fenomeno della fermentazione, Joseph Louis Gay-Lussac formulò il rapporto matematico che regolava la trasformazione degli zuccheri in alcol e anidride carbonica, mentre bisognerà attendere gli studi del grande Louis Pasteur per comprendere esattamente cosa fosse la fermentazione e come questa avvenisse. Fu insomma Pasteur a dimostrare nel 1854 che la fermentazione era prodotta dall’attività dei lieviti quando questi si sviluppano in assenza di ossigeno. Scoperta fondamentale per lo sviluppo tecnologico dell’enologia così come la conosciamo oggi.
Dove se la passassero gli agenti della fermentazione, ossia i lieviti, nei mesi invernali e primaverili, lontani cioè dalle stagioni dove sono attivi, nessuno lo sapeva. La ricerca di FEM dimostra che questi lieviti vivono nell’intestino dei calabroni e delle vespe sociali e che sono perciò stesso responsabili della tipicità dei vini. Più degli enologi e meglio dei politici. I primi perché preferiscono i lieviti selezionati a quelli autoctoni che stanno naturalmente sulla pruina dell’acino col risultato che un po’ alla volta i vini si assomigliano tutti, i secondi perché mistificando la tipicità l’hanno lentamente svuotata di credibilità.
Onore e plauso, quindi, ai ricercatori che ci portano con i piedi per terra fino nella pancia di un insetto pronubo. Roba da Pasteur, appunto, che definì la fermentazione come “un fenomeno connesso con la vita” (lieviti = organismi viventi) ed il vino stesso “la più sana e la più igienica delle bevande“.
Pseudonimo utilizzato da uno dei personaggi chiave del vino trentino, depositario di segreti,conoscitore di vizi e virtu dell’enologia regionale e non solo.
Massarello alias Angelo Massarelli, nato a San Severino Marche nel 1510, dopo gli studi in seminario si laureò in leggi canoniche e civili presso l’Università di Siena.
Tornato a San Saverino fu dapprima assegnato alla chiesa di S. Eligio e poi fu eletto priore della collegiata della cittadina.
Grazie alla frequentazione di alcuni letterati conobbe il cardinale Marcello Cervini, futuro papa Marcello II.
Quando il papa Paolo III delegò il cardinale Cervini ad assumere la presidenza del Concilio di Trento, questi volle come segretario del Concilio il Massarelli. Un cardinale così descrive l’operato del Massarelli: «essendo egli lodato dal testimonio incontrastabile dell’esperienza, ed ammaestrato dall’esquisita scuola dell’esercizio, tenne stabilmente il grado di Segretario del Concilio».
Durante gli intervalli delle sedute del Concilio svolse l’importante mansione di Segretario di Stato del pontefice.
Sotto il breve pontificato di papa Marcello II il Massarelli fu suo consigliere.
Dal successore di Marcello II, papa Paolo IV, fu designato vescovo di Telese o Cerreto il 15 dicembre 1557 e fu consacrato a tale ufficio pochi giorni dopo, il 21 dicembre.
Fu autore di un minuzioso diario dei lavori del Concilio dal titolo Acta genuina ss. oecumenici Concilii tridentini.
Terminato il Concilio di Trento nel 1563, il vescovo Angelo Massarelli fu dapprima ministro della Segreteria di Stato e poi Segretario del Supremo Tribunale della Riformazione (successivamente chiamato Sacra Consulta).
A causa dei suoi numerosi impegni venne poche volte in diocesi e si fece rappresentare da un vicario vescovile di sua nomina.