Si sta svolgendo in questi giorni la 46.ma edizione della Douja d’or di Asti, tradizionale eno appuntamento della 2^ e 3^ settimana di settembre. Si chiuderà domenica con la grande festa del Palio, la corsa equestre fra i 21 borghi della città di Alfieri, preceduti dalla suggestiva sfilata di 1200 figuranti in costume medioevale. Un’occasione da non perdere, mentre ci si interroga sull’ineluttabilità della globalizzazione e sulle possibilità di sopravvivenza con crescita zero.
Un tuffo nel passato più recente, già nella sfilata di ieri, con una stupenda interpretazione dei lavori stagionali affidata a 45 carri dei comuni astigiani rievocanti usi e costumi del dopoguerra.
Così da Asti si torna rinfrancati ed orgogliosi, come lo sarà stata sicuramente Vivallis di Nogaredo che, con il suo Trentino DOC Superiore Castel Beseno 2010, ha vinto l’Oscar della Douja d’or in terra di specialisti del Moscato e una Douja d‘or anche per il suo Lagrein 2010. Soddisfatti saranno pure la Cantina di Aldeno (Altinum brut 2008, Chardonnay 2011, Müller Thurgau 2011, Traminer aromatico 2011, Moscato giallo Castel Beseno 2011, Marzemino 2011 e Merlot 2010), Cavit di Trento (Millesimato Altemasi brut 2008, Sauvignon 2011 e Traminer aromatico 2011), Maso Poli di Pressano di Lavis (Pinot grigio 2011, Riesling 2011, Traminer aromatico 2011 e Pinot nero 2009) e Zanotelli Elio di Cembra (Pinot nero 2009). Tutti DOC, come impone il concorso. E contenti saranno stati anche i nonesi di Flavon, quest’anno ospiti d’onore al Festival delle Sagre con la loro carne salada e fasoi e strudel con succo di mele. Fra musica, sbandieratori e balli, assieme ai comuni astigiani hanno dovuto far fronte ad oltre 150 mila visitatori.
Sullo sfondo una città molto bella, culla del Monferrato sospesa tra romanico, gotico e barocco. Terra di nobili e mercanti, di vino, d’arte e musica. Da Vittorio Alfieri a Giorgio Faletti passando attraverso Paolo Conte. Ma anche e soprattutto Asti Docg proveniente da 10 mila ettari di Moscato bianco che continua l’epopea iniziata nel 1865 da Carlo Gancia, ben valorizzato dalla notevole cucina piemontese e venduto annualmente in oltre 100 milioni di bottiglie. Fra i rossi, senza disturbare i grandi fratelli di Langa, primeggia indisturbata la Barbera (un terzo dell’intero vigneto piemontese) qui nobilitata anche dalla Docg che la colloca di diritto fra i più longevi rossi d’Italia.
Pseudonimo utilizzato da uno dei personaggi chiave del vino trentino, depositario di segreti,conoscitore di vizi e virtu dell’enologia regionale e non solo.
Massarello alias Angelo Massarelli, nato a San Severino Marche nel 1510, dopo gli studi in seminario si laureò in leggi canoniche e civili presso l’Università di Siena.
Tornato a San Saverino fu dapprima assegnato alla chiesa di S. Eligio e poi fu eletto priore della collegiata della cittadina.
Grazie alla frequentazione di alcuni letterati conobbe il cardinale Marcello Cervini, futuro papa Marcello II.
Quando il papa Paolo III delegò il cardinale Cervini ad assumere la presidenza del Concilio di Trento, questi volle come segretario del Concilio il Massarelli. Un cardinale così descrive l’operato del Massarelli: «essendo egli lodato dal testimonio incontrastabile dell’esperienza, ed ammaestrato dall’esquisita scuola dell’esercizio, tenne stabilmente il grado di Segretario del Concilio».
Durante gli intervalli delle sedute del Concilio svolse l’importante mansione di Segretario di Stato del pontefice.
Sotto il breve pontificato di papa Marcello II il Massarelli fu suo consigliere.
Dal successore di Marcello II, papa Paolo IV, fu designato vescovo di Telese o Cerreto il 15 dicembre 1557 e fu consacrato a tale ufficio pochi giorni dopo, il 21 dicembre.
Fu autore di un minuzioso diario dei lavori del Concilio dal titolo Acta genuina ss. oecumenici Concilii tridentini.
Terminato il Concilio di Trento nel 1563, il vescovo Angelo Massarelli fu dapprima ministro della Segreteria di Stato e poi Segretario del Supremo Tribunale della Riformazione (successivamente chiamato Sacra Consulta).
A causa dei suoi numerosi impegni venne poche volte in diocesi e si fece rappresentare da un vicario vescovile di sua nomina.