Riceviamo da un nostro lettore, che per ragioni di sicurezza professionale ci ha chiesto di mantenere l’anonimato, e volentieri pubblichiamo.
Con questo post torniamo su un tema che abbiamo già affrontato l’estate scorsa. Per mettere in controluce una questione che ci sta a cuore e che consideriamo centrale anche per il settore vitivinicolo: il confronto, perdente (per il territorio), fra modello industrialistico e modello territoriale. Buona Lettura!
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1 – Con l’acquisto da parte di Coperfidi in lease back,delle tre strutture (Pinzolo Rovereto e Fiavè) la società è attualmente senza patrimonio immobiliare, quindi i tre caseifici potrebbero concordare uno svincolo reciproco e formare tre società distinte tra loro, e con quote proporzionali versare a Coperfidi il dovuto per il riscatto del caseificio.
2 – Il caseificio di Pinzolo con circa 40000 q/ anno, da destinare alla produzione della Spressa DOP, Trentingrana e altri formaggi vendibili direttamente sul posto, si collocherebbe assieme a Predazzo,Primiero e Mezzana fra i caseifici che meglio stanno da anni remunerando il latte ai propri soci, valorizzando le produzioni e il territorio locale.
3 – Il caseificio di Rovereto con circa 90000 q/anno di latte, prevalentemente latte a fieno prodotto nella bassa Vallagarina e zona Brentonico, potrebbe destinare il latte prevalentemente alla produzione di Trentingrana e collocarsi nella fascia dei migliori caseifici della Valle di Non. Per quanto riguarda il Yogurtificio l’unica soluzione possibile per non produrre in perdita è di trasformare anche il latte estero.
4 – Il caseificio di Fiavè in fine con i rimanenti 200000 q di latte/anno circa, latte alimentare non rimarrebbe altro che trasformarlo nei prodotti freschi classici: Boscatella, Asiago, Brenta, e la rimanenza in Mozzarella ponendo attenzione al miglioramento qualitativo del prodotto.
5 – La gamma dei formaggi prodotti risulterebbe più varia, tipica, radicata strettamente al territorio, sicuramente meno standarizzata ma di migliore qualità.
6 – Aumento della resa lorda economica del latte, considerando la vendita sul posto ad un prezzo più elevato, sfruttando nel migliore dei modi la vocazione turistica della nostra provincia.
7 – Maggiore trasparenza nella gestione delle varie società, dovuta ad una semplificazione gestionale che si verrebbe a creare, dove il socio e ancora parte attiva e decisionale in una realtà alla sua portata .
8 – Migliore razionalità nella commercializzazione del formaggio non venduto direttamente. Attualmente Concast-Trentingrana è una cooperativa di secondo grado che commercializza solo una parte dei formaggi prodotti dalle coop trentine il polo Bianco che si vuole creare ne diverrebbe il primo concorrente.
9 – Maggiori possibilità per far crescere e valorizzare il nostro patrimonio umano, sia fra i dipendenti, ma sopratutto fra i soci e relativi amministratori. Mai si e visto un appiattimento propositivo e gestionale nella storia della cooperazione come quello a cui stiamo assistendo fra la compagine che forma la base dei caseifici in questione.
10 – Obbiettivo finale: mantenere vive e produttive le nostre aziende zootecniche i nostri caseifici con un minimo di dignità, e preservare il patrimonio lattiero caseario . Attualmente tutto sembra impostato per arrivare ad una fine predestinata o peggio ancora a mantenere le aziende e i nostri caseifici vivi solo con le flebo dei contributi provinciali
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È lo pseudonimo collettivo con cui fin dall’inizio sono stati firmati la maggior parte dei post più trucidi e succulenti di Territoriocheresiste. Il nome è un omaggio al protagonista del Barone rampante, il grande capolavoro di Italo Calvino. Cosimo Piovasco, passa tutta la sua vita su un albero per ribellione contro il padre. Da lì, però, guadagna la giusta distanza per osservare e capire la vita e il mondo che scorrono sotto di lui.
Se fossi il medico di turno della ER di Trento e mi portassero due pazienti malconci: il vino ed il formaggio, credo che per istinto mi occuperei subito del formaggio. Premetto che io lavoro nel settore del vino e quindi anticipo la mia poca conoscenza del settore lattiero-caseario locale, ma siccome il formaggio mi è sempre piaciuto non posso che essere sensibile alle sue problematiche. Questa estate sono passato brevemente per l’Alsazia e la Lorena e per concludere le varie cene durante il viaggio, al posto del carrello dei dolci ho sempre preferito il carrello dei formaggi perché veramente interessanti, grassi, burrosi e ricchi di grande personalità. Al ritorno dal nord, come sempre quando passo per la Germania o l’Austria faccio una piccola scorta di berg käse e pane. (Già pane! Chissà perché comprare il pane in Austria si chiederà qualcuno…). A fine estate ho poi chiesto a mia moglie di comprare al supermercato di volta in volta i vari tipi di formaggi nostrani e quindi una volta il Casolet della Val di Sole, poi la Spressa delle Giudicarie, il Puzzone di Moena, il Vezzena di Lavarone. La comparazione coi formaggi “stranieri” non ha retto bene il confronto come qualcuno può forse immaginare. Allora mi sono ricordato che nella ns provincia, a forza di fusioni e fusioni (no, in questo caso non si produce l’Edam o il Gouda) si arriva ad una conglomerata di nome Trentingrana – Consorzio dei Caseifici Sociali s.c.a. derivata dal Consorzio dei Caseifici Sociali Produttori Latte Trentini (CON.CA.S.T.). Questa conglomerata, oggi di 16 caseifici, commercializza tutti i prodotti sotto una unica insegna/etichetta tramite una società commerciale appositamente creata di nome: Gruppo Formaggi del Trentino. Ebbene, la considerazione più banale alla quale sono giunto era anche scontata: che motivazione ha un piccolo casaro di questa galassia, (per non parlare dell’allevatore che fornisce il latte), a fare un formaggio ogni giorno più buono e soprattutto come fà il consumatore a distinguere l’abilità di un casaro dall’altro se tutti i prodotti vengono commercializzati con la stessa veste e prezzo?
Davvero una lucida analisi sulla situazione in cui versano i Caseifici locali; parto dall'ultimo punto, per porre una riflessione che da molto tempo mi frulla in testa: mi chiedo da appassinato gourmettista, come sia possibile che il Trentigrana non possa assurgere alle vette italiane della qualità, attraverso un progetto mirato che valorizzi le singole produzioni locali.
Mi spiego meglio: sono anni oramai, che conosco nelle sue varie declinazioni quel grande prodotto che è il Parmigiano Reggiano; mi è capitato di assaggiare PR 30-40-50-60 mesi, financo un incredibile PR 70 mesi. Da noi, si riesce a trovare a malapena un 24 mesi, che diventano 30 se la forma non viene venduta tutta nei sei mesi successivi.
Avendo un clamoroso esempio davanti a noi come quello del PR, non dovrebbe essere così difficile proporre una seria pianificazione che, come dovrebbe essere nel vino, valorizzi le varie zone di produzione del latte trentino e conseguentemente, "sforni" dei grana trentini di alto livello.
Si aprirebbero così reali possibilità di ampliare l'attuale mercato, offrendo prodotti di grande qualità.