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Prendo a prestito l’infografica pubblicata sull’edizione di martedì del quotidiano L’Adige, per ribadire, ad un anno di distanza (qui il primo post), che in Trentino, negli ultimi 30 anni, si è consumata in silenzio una modificazione genetica della viticoltura. Una strage. A cui, a mio avviso, è corrisposta anche una modificazione antropologica dei trentini. Sul campo sono caduti, sempre in silenzio, le uve e i vitigni  autoctoni. La strategia dello stragismo, rispetto alle identità territoriali, è stata guidata dalle centrali cooperative. Che dopo essere riuscite ad imporre la loro egemonia culturale e colturale, oggi teorizzano e propagandano, apertamente e non più in silenzio, la soluzione finale: l’estirpazione del Marzemino “dalle aree marginali”, fingendo di non sapere che i numeri attuali, 360 ettari/32.000 quintali, raccontano già di una residualità e di una marginalità irreversibili.  In questo senso l’intervista rilasciata dal presidente  di Cavit Adriano Orsi a Nereo Pederzolli, e andata in onda martedì sera sul Tg3 regionale, è magistrale. Ne consiglio l’ascolto: qui (dal 14° minuto in poi). Mi si risponderà, lo so, che l’internazionalizzazione delle colture ha prodotto valore, come mai era accaduto prima, e reddito, diffuso e redistribuito agli agricoltori e alle famiglie. E’tutto vero. Ma sul campo è rimasto il cadavere esanime di una terra disanimata, oggi definitivamente vocata solo alla neomezzadria mercantile e alla subalternità al mercato globalizzato. La tabella che pubblico qui sotto descrive perfettamente la dimensione della strage condotta con precisione chirurgica. In culo ai Piani Vino, uno, due, tre, quattro e cento, approvati sulla carta in questi ultimi anni.  E destinati a restare, irrimediabilmente, sulla carta.

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