Mentre a Trento, venerdì scorso, si apriva il festival delle bollicine trentodocchiste, grazie all’invito dell’amico Franco Ziliani (Le Mille Bolle Blog) e di un giornalista roveretano, altrettanto amico, ho partecipato ad una degustazione di Metodo Classico dell’Alto Adige. Ci siamo incontrati con i produttori e con le bottiglie – divise in tre batterie: Brut – Extra Brut, Dosaggio Zero e Riserva – Rosè), a Cornaiano, nella cantina di Lorenz Martini, padre del Comitissa, metodo classico da lungo invecchiamento e rappresentativo, da solo, dello stile sudtirolese. Fra l’altro ho scoperto giusto venerdì mattina, perché lo ha raccontato Lorenz mentre ci scarrozzava lungo la Strada del Vino con la sua charmosa Lancia Augusta d’epoca (1935) fra gli sguardi invidiosi dei passanti, che proprio lì, nei pressi di Cornaiano, a fine Ottocento era attiva una Fabbrica dello Champagne. L’Alto Adige, allora, era terra di svago per i ricchi e gli aristocratici austroungarici. La maison dello Champagne sudtirolese nacque per loro: per non far mancare a questi vacanzieri di lusso il piacere felice di una coppa champagnosa. Un Metodo Classico, base Riesling, dal nome iperbolico e attraente: Oro dell’Oltradige. Un’etichetta che qualcuno – ma non è ancora il momento di svelarne il nome – oggi sta pensando di riesumare e di rilanciare.
Ma torniamo a noi: lascio ad altri, più autorevoli e più competenti di me, il resoconto dettagliato della degustazione, etichetta per etichetta. Franco Ziliani ha già annunciato che presto compariranno le sue note su Le Mille Bolle Blog. Mi limito a segnalare le mie preferenze personali: il Brut Blanc de Blancs di Arunda e il Comitissa di Lorenz Martini (di cui fra l’altro abbiamo assaggiato anche una riserva in splendidissima forma (vendemmia 2002) aperta à la volée, che sarà disponibile sul mercato a partire dal prossimo anno (ma in numero limitatissimo). Si tratta di prodotti abbastanza diversi fra di loro (in particolare l’Arunda, centoxcento Chardonnay, si stacca con nettezza dagli altri), ma ugualmente riconducibili ad un’unicità stilistica che passa, insieme, attraverso il territorio e il metodo: energia, fragranza, mineralità, caratteristiche che si abbinano ad eleganza e anche ad una buona spalla, che consente loro di durare nel tempo e di mantenere una lunga e indomita freschezza. Di questa predisposizione alla longevità, in degustazione ne sono stati la prova l’Hausmannhof Haderburg 2002, la Riserva Arunda 1995 e il Comitissa di Marini. Non direi che si tratta di prodotti estremi (come spesso si ripete, talvolta a sproposito, per i vini evocativi della montagna), ma piuttosto di bottiglie in cui sono la coerenza e l’equilibrio esatto e armonico fra le diverse componenti a darne la misura, a costruirne lo stilema. A fare premio su tutto il resto.
Nonostante la lunga tradizione della spumantistica alto atesina, che come si è visto ha radici imperiali, stiamo parlando di una piccola realtà. Sette produttori (Kettmeir, Arunda, Braunbach, Martini, Praeclarus, Haderburg e E+N) e poco più di 210 mila bottiglie. Di cui la metà portano il nome di Arunda, il marchio di quel gran personaggione altoatesino che risponde al nome di Josef “Sepp” Reiterer. Il decano degli spumantisti attorno al quale si è costituita questa piccola – per ora – associazione (Vereinigung Südtiroler Sekterzeuger nach dem klassischen Verfahren), che riunisce produttori accomunati dalla passione per il metodo e dall’uso di basi che rientrano rigorosamente nella Südtiroler DOC. E dalla voglia di contare di più. E la stoffa, per contare di più, le loro bottiglie ce l’hanno. Almeno secondo il mio modesto parere.
Sepp Reiterer lo ho conosciuto per la prima volta di persona venerdì, poco dopo la degustazione di Cornaiano, in un elegante e accogliente ristorante nel cuore di un piccolo paesino di collina sulla Strada del Vino, sulla via della Mendola, Pianizza di Sopra. Il patron di Arunda a suo modo, un modo garbatissimo, mi è parso un personaggio istrionico e magnetico. Sempre a modo suo. Con gli occhi rutilanti, le movenze delicate e lo sguardo geniale dello sperimentatore. Ha tutta l’aria di un alchimista, di un creativo folletto che abita i boschi e disegna i sogni. Del resto, nel campo del metodo classico ne ha sperimentate tante, anzi tutte: ora produce 9 etichette più alcune bottiglie fuori catalogo. Il luogo fatato di queste alchimie è la sua cantina: il più alto spumantificio d’Europa, nello splendido villaggio di montagna (1200 mt) di Meltina. Il cui stemma è rappresentato da un paiolo da cui esce un’esplosione di fiori. Pensando a Sepp e al paiolo (del Metodo Classico), mi è venuto in mente Mago Merlino. Lo dico davvero con simpatia e con grande ammirazione per un uomo – di cui fino ad una settimana fa conoscevo solo i vini – che mi ha stregato all’istante, appena gli ho stretta la mano. Perché ho avuta l’impressione portasse con sé, negli occhi brillanti, nel sorriso coinvolgente, nei modi gentili, l’aria e il profumo dell’invenzione, della magia e della curiosità. La voglia di sperimentare, sempre. E comunque. Come capitò quella volta, quando insieme ad un altro geniaccio dell’enologia di lingua tedesca, il professor Rainer Zierock, Mago Merlino fece rifermentare in cuvée un difficile vino greco. Una sfida da 4000 bottiglie, che ha ancora un suo perché (venerdì lo abbiamo gradevolmente bevuto a pranzo). Forse incomprensibile. Forse difficile da capire. Forse eretico. Un Metodo Classico Eretico, ecco forse questa la giusta, e unica, sintesi che mi viene. Questo aneddoto, per raccontare con leggerezza i tratti del padre moderno del metodo classico sudtirolese: uno di quegli uomini che non si tirano indietro. Anzi, che stanno sempre, cocciutamente, ostinatamente, tenacemente, più avanti degli altri. Ma senza le vanità dei primi della classe: con l’umiltà e la generosità del primus inter pares. E infatti intorno a lui, grazie a questo suo modo elegantemente geniale, ed elegantemente semplice, si è solidificato il primo nucleo degli spumantisti classici altoatesini. Ora sono sette, ma le porte sono aperte: si dice stia arrivando anche Franz Haas, ormai pronto per il suo primo degorgement. Staremo a vedere.
Mentre ascoltavo Sepp raccontare di storie spumantistiche quasi leggendarie, mi chiedevo come mai questo non accada in Trentino. Come mai in Trentino non ci si sia mai riconosciuti in un leader; in un maestro a cui attribuire una naturale leadership, una delega d’immagine che potesse rappresentare tutti quanti gli spumantisti della denominazione TRENTO. Eppure, a sud di Salorno le figure carismatiche non sono mancate. E non mancano. Penso per esempio – e mi direte che sono di parte, ma fa lo stesso –, ad un uomo come Leonello Letrari. Ma poi il pensiero svanisce in un istante, così come era arrivato; ibernato da un’improvvisa illuminazione: è vero che in Trentino ci sappiamo fare con le bottiglie rifermentate, forse siamo bravissimi, ma siamo ancor più bravi a darci la zappa sui piedi. E il piccolo esercizio di autoscienza quotidiana finisce qui, su questo malinconico e devastante assioma.
La degustastazione di venerdì e le chiacchiere che ne sono seguite mi hanno suggerito alcune considerazioni con le quali vi annoio ancora per un po’. Intanto ancora una volta ho avuta la conferma che per fare un Metodo Classico di territorio non basta il metodo. E’ necessario, ma non basta. Perché la tecnica deve combinarsi con una coerenza stilistica riconoscibile. E in Alto Adige la ho trovata in quasi tutte le bottiglie. Tranne che nei Rosè: ma questo probabilmente è dipeso da me. Con questa tipologia visivamente non ci vado d’accordo. Non la capisco. Anche in questo sono un manicheo: il vino o è rosso o è bianco. O non è. E questo estremismo mi impedisce, spesso, di cogliere le sfumature. Insomma, so che non è una cosa buona, ma alla mia età non si cambia. Ma torniamo alle bottiglie sudtirolesi. Sono convinto che l’unità stilistica, soprattutto in questo caso, sia data da un comune sentire della terra e del territorio; che si sostanzia anche, e soprattutto, di uve. E il Pinot Bianco, ancor più dello Chardonnay, è carattere e segno di questa terra. Un registro stilistico originario e originale, dunque, che passa per la fragranza elegante del Pinot Bianco, con i suoi sentori di mela e di cotogna, di miele e di fieno. Ma allo stesso tempo, ciò che accomuna questi metodo classico è lo spunto di energia, la vitalità, il brio, l’impennata morbida e lunga che accompagna ogni sorso. E’ la mineralità dei terreni di montagna; anzi dei vigneti di montagna. Essenziale – e in Alto Adige lo ho sentito ripetere tante volte, forse più che in ogni altro luogo – è il vigneto. Essenziali come una precondizione sono la cura e la preparazione, e ancora prima la costruzione e la progettazione, del vigneto su un terreno che deve essere quello giusto, quello adatto, quello vocato per usare una parola abusata; perché ciò che viene dopo, in cantina e durante la rifermentazione, ne è la figliazione naturale. Che nessuna manipolazione artificiale potrà emulare a posteriori.
Ecco cosa mi è rimasto della degustazione di Cornaiano, a parte il giudizio sulle singole etichette e a parte le mie preferenze: la percezione netta e pulita di uno stile comune; magari con tante sfumature e con tante interpretazioni, ma comune. Un modo condiviso di fare e di interpreare il metoto classico; un modo che accomuna e che rende complici. Questa idea di comunità e di comunione la ho sentita prendere anima e forma nelle bottiglie. E la ho percepita ascoltando e osservando questi produttori che stanno insieme nel magico cerchio di Sepp, primus inter pares. Osservandoli e ascoltandoli, ho avvertito prima di tutto questo: il senso di un’amicizia che sconfina nella confidenza estrema, persino nella complicità; che si traduce in atti e azioni concrete e coerenti. Per dire: nei prossimi giorni, mi pare il 4 o il 5 dicembre, insieme presenteranno una Magnum – il packaging a cura della LUB, la Libera Università di Bolzano – composta dall’assembleggio delle loro migliori basi spumante. Frequentandoli capisci subito che sono uomini di vino e di vigne abituati per formazione, e per scelta, a guardare verso lo stesso orizzonte, con i piedi ben piantati nella terra, la loro terra. La loro Heimat, che, mi viene da dire, è anche Heimat del Metodo Classico. Allo stesso tempo contesto e orizzonte, vissuti e agiti come stile unitario e comunitario di un prodotto: il Metodo Classico dell’Alto Adige.
E anche qui rischio di aprire un’altra parentesi autocritica sul Trentino; dove non sempre, e non in tutte le bottiglie – e non solo di Metodo Classico –, si coglie uno stilema condiviso e accomunante. Ma il discorso sarebbe lungo. E lo rimando ad un prossimo post che verrà (forse).
È lo pseudonimo collettivo con cui fin dall’inizio sono stati firmati la maggior parte dei post più trucidi e succulenti di Territoriocheresiste. Il nome è un omaggio al protagonista del Barone rampante, il grande capolavoro di Italo Calvino. Cosimo Piovasco, passa tutta la sua vita su un albero per ribellione contro il padre. Da lì, però, guadagna la giusta distanza per osservare e capire la vita e il mondo che scorrono sotto di lui.
era un complimento, comunque.
non ci credo…. sarebbe stata la prima volta!
Che bello leggerti! Quanta passione ci metti, sempre. Complimenti. Propongo una riflessione sui leader trentini consigliando a tutti una chiacchierata con Enrico paternoster, con ruben larentis, con Francesco polastri, con Gianni Gasperi. Diamo voce a chi ci ha speso una vita. Grazie ancora al nostro Cosimo!
La ringrazio dottor Armani: assumo la sfida e offro agli interlocutori che lei indica lo spazio di Trentino Wine per cominciare ad incontrarsi, almeno ad incontrarsi. E a discutere liberamente.
Cerca di recuperare Il Mimo dell'azienda Cantalupo di Ghemme (un rosato di Nebbiolo della Valsesia) e cambierai idea. Mangia qualcosa, quando lo bevi, senno' dopo mezza bottiglia saresti anche capace di parlare direttamente col comandante Ernesto, cosa che penso sia anche il tuo sogno…
Eventualità assai verosimile questa..che mi metta a concionare con il comandante Ernesto… visto che da tempo immemorabile porto al collo i 3 pesos con la sua effigie (insieme al mitico rublo del 1970 con il volto del compagno Il'ič). Comunque promesso lunedì mi procuro il tuo rosato Ghemme..e poi ci provo…comandante ernesto e compagno Il'ič permettendo….
Cosimo, hai scritto "sono un manicheo: il vino o è rosso o è bianco. O non è". Ma quando e' nato lo Champagne non poteva che essere un po' rosato, perche' allora non avevano tutta la tecnologia che hanno prodotto in seguito per controllare le macerazioni e le fermentazioni del Pinot Noir, forse era anche un po' dolciastro, perche' l'aria fredda che entrava in cantina a dicembre èoteva pure bloccarle e lasciare zuccheri residui. Eppure quel vino che "non è", ha avuto poi successo, si e' affinato, ha diversi gradi zuccherini specificati in etichetta ed e' sia bianco che rosato. Oggi ne fanno almeno 320 milioni di bottiglie e va in tutto il mondo. Cosa che auguro al Trento, fin dal 1978. Sono stufo di aspettare, ma la fiducia non manca. Il sole, sorge sempre ad Est e sorgera' ancora. Hasta la victoria, siempre!
Che dire Mario: hai ragione. Ma se fossi nato allora, agli albori pionieristici dello Champagne, forse avrei avuto altri occhi. Avrei guardato il mondo in altro modo. Oggi mi ritrovo così: con le mezze misure, e con i rosati, non mi ci trovo visivamente, non li capisco. E' un mio limite. Ma così è. Comunque, prometto, proverò a sforzarmi. Di più.
Grazie Cosimo per questa stupenda descrizione che piu' di tante e di mille lezioni di esperti e sommelier, mi ha fatto respirare il profumo di un mondo e di uno stile e di un vino. Mi piacerebbe andare in alto adige accompagnata da te, mi piacerebbe fare questo viaggio insieme ad una persona sensibile come te. Se vuoi il mio indirizzo email lo trovi allegago al commento. Fammi sapere!
Ciao Patrizia
ma questo è un blog dove si parla di vino o è l'harem personale di Cosimo 🙂 ….
Ma come si permette di fare queste allusioni? Lei possiede la sensibilità di un elefante. E probabilmente nemmeno quella.
non voglio fare polemica per i mancati o "scarni" riconoscimenti ma soffermarmi invece sull'unità d'intenti che i colleghi a nord hanno… tutta e tanta sana invidia! Bravi
mi pare che Lucia abbia colto il senso di quello che volevo dire. Almeno lei.
Caro Cosimo, leggo con interesse il tuo blog ma tendi a cadere sempre nell'esterofilia a priori. Perche in questo caso e altri noi Trentini dobbiamo sempre imparare dagli altri? Penso proprio che dal punto di vista del metodo classico non abbiamo nulla da imparare dall'AA, anzi penso proprio sia il contrario.
Approfitto della stimolazione di Stefano per dire un paio di cose che forse starebbero meglio in un post. Ma siamo qui e uso lo spazio dei commenti. Intanto grazie Stefano, per la tua assiduità di lettore. Poi cerco di spiegare meglio ciò che evidentemente nel post non sono riuscito a dire. Non penso che i trentini debbano imparare dai cugini sudtirolesi l'arte del metodo classico. Ho scritto che siamo, sono gli spumantisti trentini, bravi, anzi bravissimi. Il punto non è questo. Il punto è un altro, mi pare. Non trovo in Trentino – e non solo nel mondo del vino – una capacità di fare comunità. A meno che non si consideri questa espressione come un esercizio astratto. Come due parole appiccicate lì a cui non segue alcuna azione. Vale per il metodo classico e vale ancora di più per il vino nel suo complesso. Spesso un giornalista ben più competente e autorevole di me, Angelo Peretti, dice e scrive che in Trentino incontra vini perfetti, enologicamente perfetti, ma non incontra il Trentino, come modello, come archetipo, come identità collettiva. Condivido questo suo ragionamento al cento per cento. Ecco perché l'altro giorno, quando sono stato insieme ai produttori sudtirolesi, ho fatto queste considerazioni: in Trentino abbiamo grandi metodo classico – ieri sera ho fatto fuori l'ultima bottiglia di Aquila Reale Cesarini: un trionfo dei sensi e ne scriverò -, ma manca, a mio avviso, una leadership attorno a cui sedimentare un modello. D'accordo in Alto Adige sono quattro (sette) gatti e forse è tutto più facile. Ma in Franciacorta, situazione abbastanza simile alla nostra almeno per quantità e numeri? Eppure lì un modello, un leader ci sono, c'è qualcosa che li tiene insieme al di la del brand di ciascuna azienda: e infatti il marchio collettivo è estremamente visibile, estremamente penetrativo. Mi permettevo, quindi, di suggerire in forma di perplessità (ma voleva essere un suggerimento amichevole) di provare a riflettere su questo, di provare a chiederci perché non riusciamo ad essere, a fare, comunità anche con gesti, modi, azioni, semplici, come costruire una linea di bottiglie con il contributo di tutti. Sarebbe poco, ma almeno sarebbe un buon inizio. Un messaggio di unità. Tutto qui. Tu la chiami esterofilia, a me sembra un modo per provare ad essere ancora più bravi ed più efficaci di quanto già non siamo. E' esterofilia, tendere a migliorarsi?
E mi soffermo su un altro argomento: questo blog è nato un anno fa. L'intenzione, l'obiettivo, non era, e non è, demolitiva. Non siamo animati dal desiderio di smantellare tutto e di darci la zappa sui piedi per il gusto di darcela. L'obiettivo era, e resta, quello di esercitare un'azione critica che possa essere di aiuto a tutti (cantine sociali, vignaioli, istituzioni, Mellarini, Trentino Marketing e tutto il resto), a cogliere le fragilità del sistema per superarle. Non vogliamo uccidere il Trentino e non vogliamo essere uguali all'Alto Adige: vorremmo solo un Trentino ancora migliore, ancora più competitivo e ancora più efficiente. Ci piacerebbe andare in un ristorante di Roma o di Verona o di Milano, sfogliare la Carta Vini e trovare una lunga lista di vini trentini, più lunga di quella dell'Alto Adige e più lunga di quella del Friuli e della Toscana. E' chiedere troppo? E' esterofilia questa? Non credo, forse, al contrario, siamo animati da un maledettissimo sciovinismo trentinista o trentone!
Caro Cosimo qui in A/A a differenza di voi è regnato finora il conservatorismo. Da voi il progressismo che ha cancellato molte cose belle.
Dovreste fare un po' di autocritica voi dai pugni chiusi, bandiere rosse, ecc…
Oddio,di bandiere rosse e di pugni chiusi in piazza Dante, io non ne ho mai visti… se non in qualche manifestazione operaia di gente che perdeva il lavoro. Ma erano altri tempi. Considerare progressista e rosso il Trentino della cooperazione bianca e cattolica, caro amico altoatesino, mi sembra perlomeno azzardato. Da questo punto di vista, quello politico, il Trentino è una delle terre più immobili del pianeta. Nemmeno i tragici fatti di inizio Novanta, tangentopoli, crearono una rottura nella composizione della nostra classe dirigente. Nessuna soluzione di continuità dal secondo dopoguerra in avanti. Le classi dirigenti di oggi sono figlie delle classi dirigenti democratico-cristiane e cooperative di ieri: a Trento come nell'ultimo villaggio di montagna della provincia. Ma non credo, mi perdoni, che questo c'entri molto con il metodo classico. Allo stesso modo considerare conservatore l'Alto Adige che, dagli anni Ottanta in poi, ha avuto il coraggio “rivoluzionario” di ribaltare come un calzino la sua scuola enologica, mi pare azzardato. Comunque la ringrazio per il commento, che mi ha dato modo di dire due parole anche su questo tema.
Ha racione lei signor Cosimo… Continuate pure così!
Lei non sa quanto bene fa il suo Blog all'A/A. Grazie!
P.S. Abbiamo sempre pronto il tappeto rosso da stenderle sotto i piedi quando lei forrà farci visita.
Begrüßen
A volte, e capita quando leggo commenti come i suoi, mi chiedo dove stia l'errore. Dove lo sbaglio (mio). E mi rispondo così: “Cosimo tu non sai scrivere”. Perché si scrive per gli altri. E se gli altri non ti capiscono, allora di sicuro dipende da te. La ringrazio, Giuliano per questo suo commento che mi riporta sulla terra e alla precisa autocoscienza di un incapace. Del resto questo me lo diceva l'altro giorno anche Paola Attanasio: “Cosimo tu sei un anarchico della parola e della grammatica”. E non credo fosse un complimento. E mi creda, signor Giuliano: in tutto questo l'Alto Adige non c'entra. Un cazzo.
Un alto atesino che si chiama Giuliano e non padroneggia la lingua italiana, puzza assai, credo tu sia trentino, e ti spacci per sudtirolese per fare incazzare cosimo. Non sei riuscito in entrambe le cose. ….. Saluti da Un vero sudtirolese, che lavora in alto adige trentino e veneto, che ama la terra , le sue uve, e le emozioni che ogni territorio so dare., e che odia chi critica senza essersi mai sporcato le mani, senza avere mai provato a cambiare la rotta, che fa polemica solo con le parole e non con i fatti!
Finalmente qualcuno capace di "odiare": era ora!
Un altro ignorante…intendiamoci ignorante nel senso di Léon Bloy.
Ripeto per l'ultima volta: continuate così che per noi è una manna.
Adesso che vengo a sapere dei suoi riferimenti culturali, mi spiego un sacco di cose. E mi tranquillizzo: forse l'errore non è solo mio.
Ich glaube nicht.
Servus!
Ignorante in cosa? In luoghi comuni? No caro, ma cercare di passere per ciò che non sé, questa è ignoranza. Fare finta di essere südtiroler per attaccare il pensiero altrui, rinnegando magari di essere trentino….è ignoranza. Mi auguro che sei altoatesino perchè se i tuoi errori grammaticali nel tuo primo messaggio per imitare un madrelingua tedesca, allora sei pure piccolo come persona!
non potevo non segnalare tanta bollicinosa magnificenza su Lemillebolleblog: http://www.lemillebolleblog.it/2012/11/29/metodo-…
Standing ovation, applausi, orejas y musica per questo tuo strepitoso post caro Cosimo: bravo, bravissimo!
Mi chiedo come farò ora a scrivere io di quella bella degustazione che abbiamo fatto insieme dopo questa tua cronaca puntuale, esaustiva, scritta davvero splendidamente…