Joe CondorCaro Tiziano (Mellarini), ti scrivo. Questa volta abbandonandomi a toni molti diversi dalle sciabolate che fino ad oggi mi sono permesso, amicalmente, di usare nei tuoi confronti. Ma la gravità, e la grevità, dellla situazione lo impone. Sulla tua Vallagarina enologica, sta precipitando in picchiata Jo Condor, eteroguidato dalla devastante strategia annientativa dei grandi gruppi industriali managerializzati e quindi deterritorializzati e deterritorializzanti. Credo che anche tu te ne sia accorto, perché su queste cose hai le antenne sempre ritte. Quelle poche aree di resistenza che in questi anni si sono salvate, almeno in parte, dalla pinotizzazione globalizata, stanno subendo l’ultimo e decisivo attacco frontale. Quello definitivo. Avio e Isera, ultime due riserve indiane degli autoctoni del Basso Trentino (Lambrusco a Foglia Frastagliata e Marzemino), stanno, anche loro, capitolando. Del Marzemino si è detto che ne dovranno essere espiantati 30 ettari (su 300): non sarebbero, non sono, più remunerativi. Ma queste argomentazioni hanno l’odore pungente dell’alibi. Non ci si racconti, per favore, che le multinazionali cooperative trentine, capaci di produrre utili da capogiro, non sono in grado di tenere botta ad eventuali perdite derivanti dalla produzione antieconomica di una lenzuolata di vigneti. Nella filigrana di questa scelta, vi si legge invece un’intenzionalità di disarticolazione e di demolizione del patrimonio viticolo lagarino, già di per sé compromesso e numericamente quasi insignificante. E’ un’operazione che ha un sapore politico e, ancora prima, culturale: l’affermazione egemonica delle colture internazionalizzate e globalizzate che stanno nel cuore e nella testa  dell’establishment managerializzato. Non è diverso il discorso per quanto sta accadendo al Consorzio veneto-trentino della Doc Terradeiforti. Per il quale, nel silenzio di tutti, si sta profilando la venetizzazione definitiva. O ancora peggio il naufragio definitivo. Sappiamo bene di cosa stiamo parlando. Nei mesi scorsi una via d’uscita sembrava essere stata trovata: rilanciare il consorzio e le uve rosse di questa piccola frontiera attraverso l’icona montagnosa del Monte Baldo. Un’ipotesi di lavoro che avrebbe consentito di assicurare un baricentro equilibrato alla proiezione di immagine di quest’altro autoctono, che è anche trentino. Ma anche quest’ipotesi sembra stia tramontando, soffocata dall’assenza spettrale degli attori trentini, istituzionali e cooperativi.

Per questo, ti chiedo un favore Gigante Buono: pensaci tu! O almeno provaci. Te ne saremo per sempre grati.

Devotamente tuo

Cosimo Piovasco di Rondò

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