Riceviamo, dall’Uffico Stampa della Provincia di Trento, e volentieri pubblichiamo

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palestina

Cooperazione e ricerca scientifica: questi i temi emersi dai colloqui avuti nei giorni scorsi in Palestina, a Ramallah, dal presidente della Provincia autonoma di Trento Alberto Pacher con i ministri all’agricoltura e al lavoro dell’Autorità palestinese Wallid Assaf e Ahmed Madjalani, e con il consigliere del presidente Abu Mazen, Nehmer Hammad. Il settore dove la collaborazione potrebbe dare maggiori frutti è quello agricolo, vitale per l’economia della Cisgiordania. Da un lato, la Palestina considera preziose le competenze della Fondazione Mach, soprattutto nel campo della genetica. Dall’altro, vi è un forte interesse per l’esempio della cooperazione trentina, nell’ambito del credito così come in quello della commercializzazione. Al termine della breve visita, il presidente Pacher ha siglato con il ministro all’agricoltura un accordo che impegna Trentino e Palestina ad approfondire le relazioni, coinvolgendo San Michele e la Federazione trentina della cooperazione. Fra le azioni possibili: formazione di personale palestinese, collaborazione con il centro di ricerca in campo agricolo di Al Arroub, presso Hebron, sostegno alla realizzazione di un laboratorio di analisi della produzione locale, la cui assenza costituisce un elemento di ulteriore freno all’export palestinese, che si somma a quelli creati dalla politica.

“Una visita che ci ha consentito di confermare ed approfondire ulteriormente l’amicizia fra i trentini e il popolo palestinese, partendo da ciò che, in Palestina, ci chiedono con maggiore forza: non tanto aiuti finanziari ma un sostegno all’agricoltura, sul piano scientifico e della formazione, e alla diffusione del modello cooperativo, con un’attenzione particolare alle nostre casse rurali”. Così il presidente Alberto Pacher, rientrato stanotte dalla Terrasanta, ha commentato l’esito della visita svoltasi nei giorni scorsi in Cisgiordania, a cui hanno partecipato anche il consigliere provinciale Michele Nardelli, referente del Forum trentino per la pace, il rappresentante dell’autorità palestinese in Italia, Ali Rashid e il presidente della cantina Pravis, Mario Zambarda.

Al centro dei colloqui l’agricoltura. Per la Cisgiordania, grande circa come il Trentino, ma con una popolazione 10 volte più numerosa, ed un reddito medio di 800 euro (a fronte di un costo della vita in linea con quello europeo), è naturalmente di vitale importanza. La situazione politica ne limita fortemente le potenzialità: anche nei territori su cui formalmente è l’autorità palestinese ad essere sovrana (la Palestina è divisa in zone A, B o C a seconda del grado di “autonomia” di cui godono) i vincoli posti da Israele sono moltissimi, e vanno da divieto di scavare pozzi o di produrre energia ai limiti “fisici” creati dal muro che separa i due popoli, e che serpeggia attraverso tutta la Cisgiordania (in quanto all’enclave di Gaza, l’altro “spezzone” dell’entità palestinese, essa è attualmente la zona più densamente popolata del mondo, e già questo aiuta a capire gli enormi problemi che deve affrontare).

Anche in un contesto così difficile, però, esistono margini di miglioramento. La ricerca genetica, ad esempio, per coltivare varietà migliori e più resistenti ai parassiti, anche senza l’aiuto della chimica. Disporre di un laboratorio di analisi sarebbe ugualmente importante, perché consentirebbe di effettuare sulle merci le analisi necessarie per esportare secondo standard riconosciuti internazionalmente. E poi, è necessario irrobustire la filiera: dal credito rurale alla commercializzazione, le opportunità offerte dal modello cooperativo sono molteplici. “Vogliamo un’economia che produca, non un’economia assistita – ha sottolineato a questo proposito il ministro Assaf – , per questo guardiamo con molto interesse al Trentino, che ho visitato personalmente un paio di anni fa. A Gaza è necessario intervenire massicciamente con gli aiuti, ma in Cisgiordania possiamo puntare su una politica che incentivi la crescita economica. Per noi però è vitale stringere collaborazioni, non rimanere isolati”.

In Palestina c’è un settore in particolare nel quale la collaborazione con il Trentino è già feconda: si tratta di quello vitivinicolo. Nel corso della sua visita Pacher ha inaugurato la cantina di Aboud, piccolo centro di 2000 abitanti, per metà musulmani e per l’altra metà cristiani, nei pressi della capitale amministrativa Ramallah. In queste terre si produceva il vino già prima dei Romani. In seguito questa tradizione si è persa – anche per l’arrivo dell’Islam, che vieta il consumo di alcol – e la viticoltura si è orientata quasi esclusivamente alla produzione di uva da tavola. Adesso, però, essa sta lentamente rinascendo. “Motore” di questo sviluppo la cantina del convento dei salesiani di Cremisan, a Beit Jalla, che ha iniziato già nel 2009, in seguito a una mozione del Consiglio provinciale, una collaborazione con la Fondazione Mach di San Michele all’Adige . Aboud, con la sua produzione per ora modesta – 4000 bottiglie di “vino di Cana” all’anno – è parte di una rete di piccoli produttori che, anche grazie anche al successo di Cremisan (che presenterà quest’anno al Vinitaly tre produzioni autoctone, delle 39 varietà isolate grazie a San Michele) sta acquistando fiducia. Oggi dopo le olive l’uva è la seconda coltura in Cisgiordania. Solo il 5% però diventa vino: la gran parte viene consumata come uva da tavola, o utilizzata per produrre succhi, dolci e altro. Diverse varietà di vigneti sono state letteralmente “scoperte” da San Michele: 17, in particolare, quelle che fanno capo alla cantina Cremisan e che prima erano sconosciute. Per alcune specie, inoltre, grazie alla cooperazione scientifica in corso, la produzione è aumentata anche del 25-30%.

Ciò spiega l’interesse nei confronti del Trentino del centro di Al Arroub, presso Hebron, il più prestigioso della Palestina, dove fra gli altri si è laureato anche l’attuale ministro all’agricoltura giordano. Il centro funziona esattamente come quello di San Michele, dividendosi fra attività di formazione e attività di ricerca, e appoggiandosi a 7 stazioni sperimentali che lavorano in rete, 5 in Cisgiordania e 2 a Gaza, ognuna specializzata su un settore (viticoltura, orticoltura, produzione di grano e così via). Il centro venne creato all’epoca del mandato britannico su queste terre; dal ’95 esso si è ulteriormente ampliato, cercando di dare all’agricoltura palestinese quella competitività che, se messa a confronto ad esempio con quella israeliana, non può avere, per l’enorme divario esistente fra le due realtà (per incentivi pubblici, uso delle tecnologie, capacità di penetrazione sui mercati esteri). Molte le possibilità per approfondire la collaborazione, fra cui soggiorni di ricercatori e di “quadri” palestinesi in Trentino, ma anche scambio di conoscenze e know how, perché, come sottolineato dal presidente Pacher, “il può crescere grazie a voi e alla vostra esperienza”. Due esempi fra i tanti: il patrimonio di conoscenze presente in Palestina nel settore delle erbe medicinali e l’uso di piante – come l’Inula viscosa – per tenere lontani insetti e funghi.

Nel corso della missione, infine, c’è stato anche il tempo per una breve visita al centro sociale di Beit Jalla, realizzato anch’esso con il sostegno della solidarietà trentina e diventato un punto di riferimento importante soprattutto per i giovani, con attività che spaziano dalla danza al teatro allo sport. Il centro, dove opera un’animatrice proveniente dal Trentino, organizzerà un festival delle arti nel corso dell’estate e ha invitato i giovani della provincia a partecipare. La delegazione si è recata inoltre alla Fondazione Giovanni Paolo II, a Betlemme, che ha visitato assieme ad una guida d’eccezione, padre Ibrahim Faltas, frate francescano, già custode della basilica della natività di Betlemme e oggi responsabile economo della custodia di Terrasanta, di cui si ricorda fra l’altro il prezioso ruolo di mediazione svolto nel 2002, in occasione della seconda Intifada e dell’occupazione israeliana. (mp)