Non c’era l’affollamento della prima sul Pinot grigio, ma il secondo incontro sul Teroldego rotaliano, vino d’amore e d’anarchia come è stato definito da Trentino Wine Blog, ha visto la partecipazione di un ottimo gruppo di interessati con i rappresentanti delle maggiori e migliori aziende produttrici. Preziosa la disponibilità di Luca Boscheri patron del Ristorante Mas dela Fam a Ravina di Trento che ha trasformato l’evento in stimolo per rilanciare un dibattito sul futuro del vino principe del Trentino. Parlando di teste coronate, Angelo Rossi che ha inquadrato storicamente il dibattito, ha dedicato l’incontro ai re del vino rotaliano, al professor Italo Fischer che dai banchi dell’Istituto Agrario di San Michele ha licenziato decine e decine di enologi, al compianto collega e ricercatore Italo Roncador nonché alla memoria storica – ahimè dimenticata – del cavalier Guido Gallo di Mezzolombardo che negli anni dell’immediato dopoguerra ha dissodato il terreno sul quale altri padri dell’enologia trentina misero poi a dimora il modello vincente della tutela delle denominazioni di origine. Il modo per traghettare un sistema basato sulle quantità prodotte verso la più difficile ma sicura politica della qualità, coniugando la tradizione di chiamare i vini con il nome della varietà di vite che li ha prodotti (ad es. Teroldego) con il territorio di più antica origine che in questo caso è il Campo rotaliano.
Per trent’anni il sistema delle DOC è cresciuto consolidando il piccolo Trentino (1,2% del vino nazionale) fra l’esiguo novero delle migliori enologie del Paese. Poi un perentorio ulteriore balzo ai massimi vertici della redditività sfruttando la favorevole contingenza indotta dalla globalizzazione: poche tipologie varietali (fra cui Pinot grigio) al posto delle mille denominazioni d’origine mondiali. Le politiche di territorio, infatti, hanno dovuto segnare il passo di fronte allo strapotere di alcune varietà coltivabili in ogni continente. Riassunto all’osso, in questo calderone è facile capire come un vino prodotto nelle poche centinaia di ettari del Campo rotaliano abbia trovato vita difficile, ancorché aiutato da un’improvvida modifica al disciplinare che ha elevato la resa unitaria a ben 170 q.li.
L’adombrato declino del Teroldego rotaliano è stato risolutamente contestato dai produttori interessati che, stuzzicati a dovere, hanno sottolineato la nobiltà del vitigno e le sue notevoli potenzialità: colore scuro quant’altri mai, profumi floreali e fruttati, morbidissimi tannini, facile abbinamento con i cibi; un vino che si capisce al volo e che sopravvivrà tanto più facilmente quanto più convintamente chi di dovere (Mezzacorona che detiene la massa critica) saprà interagire con gli altri competitori. Serve un progetto di rilancio per il vino e per il territorio ha chiosato il giornalista Walter Nicoletti basato sull’identità trentina e del Teroldego. Vino di confine fra mondo latino e tedesco, amato e libero: se non anarchico, certamente autonomista con un’identità che si rispecchia in una comunità di tutto il territorio originale.
A fargli da contraltare, la verve costruttiva e graffiante di Mario Pojer che vedrebbe bene un Teroldego Trentino trainato dall’eccellenza di quello rotaliano al pari di un Grand Cru borgognone, lasciandosi alle spalle sia le tipologie del Novello quanto gli eccessi dell’appassimento in pianta. Un’arma potente in mano ai giovani vignaioli chiamati a riportare “un gioiello nella giusta gioielleria” difendendo prima di tutto quel che resta dell’areale vitato sistematicamente oggetto degli appetiti immobiliari di costruttori senza scrupoli. Bene il recupero dell’area ex Samatec salvata da Mezzacorona, male il centro commerciale che sta crescendo in mezzo ai vigneti proprio davanti alla nuova Cantina Rotaliana di Mezzolombardo, solo per dire dei fatti più eclatanti. Sfregi che richiamano l’orgoglioso irredentismo di Cesare Battisti che vide il Campo rotaliano come il più bel giardino vitato d’Europa. Una bella sfida che le arie fresche del rinnovamento sembrano sollecitare sia per le più grandi che per le più piccole aziende. Al termine del dibattito, gli assaggi di sei etichette rotaliane e il piatto unico, brasato di cinghiale al teroldego, cucinato dallo chef di Luca Boscheri. Sotto lo sguardo e la guida del maestro di sommelerie Marco Larentis, sono sfilate le etichette di Redondel, Foradori, Sociale di Mezzacorona, Cantina Rotaliana, Dorigati e infine il Gran Masetto di Endrizzi
Quest’ultima, l’etichetta che ha riscosso (in verità quasi solitariamente) la mia personale preferenza., mentre la maggior parte dei nostri commensali esprimeva il suo gradimento per il Rotaliano di Mezzacorona. Un bicchiere, quello di Paolo Endrici, di ispirazione marcatamente amaronista: un vino polposo, “grasso” e accogliente. Perfino avvolgente come lo è una donna quando vuole avvolgerti fra le sue braccia per non lasciarti più. Il colore cupo e impenetrabile aggiunge fascino all’alchimia di una bocca e di un naso di rara seduttività. E infine spiccate evoluzioni verso sapori liquiriziosi che lo rendono piacevolmente, ed estremamente, bevibile. Un’interpretazione originale per un Rotaliano, che, questo sì, ha tutte le carte in regola per diventare alfiere e bandiera di un Grand Cru trentino.
Ad inizio serata, invece, il dibattito si era aperto con un bicchiere di Teroldego della Valdadige, quello dell’Azienda Agricola Roeno. Gli appuntamenti al Mas dela Fam, continueranno, anche nei prossimi messi con altri incontri tematici. Ma prima, nella prima settimana di maggio, tornerà la rassegna BuonVino trentino, con molte novità rispetto alle edizioni precedenti.
È lo pseudonimo collettivo con cui fin dall’inizio sono stati firmati la maggior parte dei post più trucidi e succulenti di Territoriocheresiste. Il nome è un omaggio al protagonista del Barone rampante, il grande capolavoro di Italo Calvino. Cosimo Piovasco, passa tutta la sua vita su un albero per ribellione contro il padre. Da lì, però, guadagna la giusta distanza per osservare e capire la vita e il mondo che scorrono sotto di lui.
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le markette magari le faccio pure..ma di sicuro non sul blog. ho scritto cosa penso di un vino che mi è piaciuto più degli altri. e che considero un campione di razza (trentina). Il resto è solo dietrologia.Inutile.
le markette magari le faccio pure..ma di sicuro non sul blog. ho scritto cosa penso di un vino che mi è piaciuto più degli altri. e che considero un campione di razza (trentina). Il resto è solo dietrologia.Inutile.
Alla degustazione dei Teroldego non ho potuto partecipare, ma dal resoconto emerge la necessità di dare un’identità al vino come testimone del territorio. Quindi concentrare il messaggio evitando dispersioni, eliminando gli estremi. Traduzione: non usare il nome Teroldego ne’ per il Novello, ne’ per vini da uve appassite impegnandosi a migliorare ancora la tipologia classica dove sull’etichetta principale dovrebbe troneggiare Teroldego rotaliano. Se lo si vuole principe dei vini trentini. Sulla retro dei prodotti a base teroldego sopra citati, invece, ci può stare la varietà di vite come info al consumatore. Altrimenti la gente non capisce e dirotta altrove le scelte. Che poi a Cosimo sr. piaccia un semi-passito per me e’ segno che l’identità non la deve cercare solo il Teroldego, ma che si è smarrita anche quella dei grandi rossi trentini. Fatti senza troppe alchimie, “tal quali nascono e come li vini Teroldeghi che nominai, cosidetti dall’uva, come marzemina sono de’piu’grossi e neri; e se non rispondono di piccante, sono vini muti che fanno parlare” (Michelangelo Mariani).
Alla degustazione dei Teroldego non ho potuto partecipare, ma dal resoconto emerge la necessità di dare un'identità al vino come testimone del territorio. Quindi concentrare il messaggio evitando dispersioni, eliminando gli estremi. Traduzione: non usare il nome Teroldego ne' per il Novello, ne' per vini da uve appassite impegnandosi a migliorare ancora la tipologia classica dove sull'etichetta principale dovrebbe troneggiare Teroldego rotaliano. Se lo si vuole principe dei vini trentini. Sulla retro dei prodotti a base teroldego sopra citati, invece, ci può stare la varietà di vite come info al consumatore. Altrimenti la gente non capisce e dirotta altrove le scelte. Che poi a Cosimo sr. piaccia un semi-passito per me e' segno che l'identità non la deve cercare solo il Teroldego, ma che si è smarrita anche quella dei grandi rossi trentini. Fatti senza troppe alchimie, "tal quali nascono e come li vini Teroldeghi che nominai, cosidetti dall'uva, come marzemina sono de'piu'grossi e neri; e se non rispondono di piccante, sono vini muti che fanno parlare" (Michelangelo Mariani).
Di solito non concordo in nulla con le opinioni di Cosimo Senior, ma questa volta non mi resta che dargli ragione. Il Gran Masetto è un gran vino che abbina un’uva principe del trentino con un metodo tradizionale e il risultato è quello di un vino piacevolissimo da bere con grande soddisfazione. si vada su questa strada, quella di endrici, e il teroldego diventerà per davvero un grand cru! (per una volta, bravo cosimo!)
Di solito non concordo in nulla con le opinioni di Cosimo Senior, ma questa volta non mi resta che dargli ragione. Il Gran Masetto è un gran vino che abbina un'uva principe del trentino con un metodo tradizionale e il risultato è quello di un vino piacevolissimo da bere con grande soddisfazione. si vada su questa strada, quella di endrici, e il teroldego diventerà per davvero un grand cru! (per una volta, bravo cosimo!)
In una società che dovrebbe cercare di ridare un giusto peso alle parole mi pare che non si possa sdoganare l’appassimento come metodo tradizionale per il Trentino. Per diversi motivi, credo non convenga nemmeno al Teroldego che, se coltivato a dovere, sa essere ottimo e moderno di suo. Se, appunto.
In una società che dovrebbe cercare di ridare un giusto peso alle parole mi pare che non si possa sdoganare l'appassimento come metodo tradizionale per il Trentino. Per diversi motivi, credo non convenga nemmeno al Teroldego che, se coltivato a dovere, sa essere ottimo e moderno di suo. Se, appunto.
Scusi signor Massarello ma perché non si dovrebbe usare l’appassimento se il risultato che se ne trae è quello descritto qui da Cosimo? Perché la bevibilità e la piacevolezza dovrebbe essere considerati dei difetti?
Scusi signor Massarello ma perché non si dovrebbe usare l'appassimento se il risultato che se ne trae è quello descritto qui da Cosimo? Perché la bevibilità e la piacevolezza dovrebbe essere considerati dei difetti?
Il ragionamento partiva dal bisogno di identità territoriale e quella dei vini ottenuti da uve appassite non appartiene al Trentino (Vino Santo escluso). Ciò non significa che qualcuno, qualche partita la possa appassire e ritagliarsi una nicchia di mercato, ma farlo tutti nel Campo rotaliano o in tutto il Trentino … senza dire che con il cambiamento climatico arriveremo più vicino ai 15 gradi che ai 13, scambiando al secondo bicchiere per bevibilita' e piacevolezza ciò che comincia a chiamarsi ebbrezza. È lì bisognerebbe fermarsi, almeno per me.
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