Massì, qualcosa pare muoversi anche nell’ingessato mondo vitivinicolo trentino. Trascinati dall’obbligo di vuotare le cantine si è archiviata la ProWein dove si sono rinfrescati i brand aziendali, ma senza l’importante supporto del territorio. A dispetto dello stand, infatti, il Trentino non è più percepito sui media tedeschi come importante zona vinicola, se non per i grossi imbottigliatori e qualche gemma solitaria. Ora siamo al Vinitaly sulla porta di casa, con il Consorzio Vini al suo debutto nella promozione dopo 12 anni di sola tutela. Era ora. Se saprà essere rispettoso di tutti gli sarà più facile in futuro raccogliere le pecorelle smarrite che non si fanno adulare nemmeno dalla pastura provinciale. A completare il trittico delle manifestazioni istituzionali di primavera, ci sarà (o ci dovrebbe essere) a maggio la 77° edizione della Mostra Vini di Trento. Il condizionale è d’obbligo perché, individuata la data e forse anche la sede, c’è ancora incertezza sui contenuti per cui è slittata la comunicazione dell’evento. A distanza di poco più di un mese, la cosa è grave perché nel frattempo le agende si sono riempite di altri impegni. E’ in corso il Divin Nosiola ed i Vignaioli hanno anticipato alla terza settimana di aprile il loro BeWine, che si annuncia ambitissimo dagli espositori locali ed anche dagli ospiti extra provinciali. Vien da pensare che il Trentino turistico attira pure loro.
Tornando alla Mostra dei Vini di Trento ci sia consentito un paio di semplici considerazioni: ProWein, Vinitaly ed anche BeWine, sono manifestazioni che prevedono la presenza dell’azienda con stand o postazione presidiata dai titolari e rappresentanti ad illustrare la gamma in degustazione; davanti, sfilano o arrivano su appuntamento buyer, ristoratori, enotecari, insomma acquirenti, frammisti a consumatori finali la cui importanza è andata crescendo negli ultimi lustri. Se un vino non piace ce ne sarà uno che soddisfa ed il fair play fra produttore e degustatore-cliente è di prammatica. Una formula, questa, che si è cercato di imporre anche alla Mostra Vini di Trento per ben 12 volte mettendo a disposizione la migliore logistica che potesse offrire la città: Teatro sociale, Castello del Buonconsiglio, Palazzo Roccabruna, da soli o congiuntamente. Ma anche riducendo all’osso le giornate espositive e pur con la maggioranza delle spese in capo all’ente pubblico, il rapporto costi/benefici continua a non reggere. E allora che fare? Chiudere un’esperienza lunga 76 edizioni? Chi si prende la responsabilità in quest’anno elettorale e con un bisogno estremo di rilancio dell’immagine complessiva di un Trentino che deve assolutamente battere un colpo?
La soluzione più semplice ed efficace è tornare all’origine, all’intuizione dei nostri padri che nel pieno della crisi degli anni ’20 del Novecento avevano davanti uno scenario per certi versi non troppo dissimile da quello odierno: educare il consumatore e dare identità al territorio. Se qualcuno che crede che i consumatori sappiano e che il territorio ci sia, scagli pure la prima pietra. Smarrita la strada, tornare sui propri passi è soluzione intelligente per ripartire, magari con qualche innovazione significativa. Tradotto: lasciamo il business alle manifestazioni che richiedono la presenza del produttore-espositore ed impieghiamo le risorse pubbliche per educare (senza condizionamenti) il consumatore e mirare alla ricostruzione dell’immagine e della notorietà del Trentino con una buona comunicazione istituzionale. Per fare ciò, la formula collaudata dal 1925 e per tre quarti di secolo, è quella dei tavoli dove si siedono (comodamente) i degustatori, i quali – sulla scorta di un catalogo – scelgono liberamente serie di vini omogenei di diversi produttori e li mettono a confronto, senza interferenze nemmeno da parte dei sommelier. Così uno si fa un’idea sia sul vino che più gli aggrada che sulla cantina. Certo, bisognerebbe rimettere su un’organizzazione, incaricare temporaneamente una trentina di studentesse ed una decina di ragazzi per i vari servizi o pescare fra i tanti che già si occupano di pubbli-promozione istituzionale. Poi allungare di qualche giorno gli striminziti quattro che ultimamente sono stati dedicati alla manifestazione e prima di tutto individuare la sede adatta.
Qui il cerchio si chiude: la sede naturale è Palazzo Roccabruna che però, tra uffici e vincoli vari, non dispone di tutti gli spazi necessari per far fronte alle centinaia di persone che negli anni d’oro affollavano i tavoli della Mostra e che certamente si ripresenterebbero (pensiamo solo agli universitari). La mitica Enoteca provinciale di cui si era vagheggiato negli anni ’80 e ’90 aveva lo scopo primario di superare lo stress organizzativo di una Mostra concentrata in una settimana per diluirne ed estenderne la portata a tutto l’anno, con sistematici appuntamenti stagionali. Troppo bello per essere vero. Ci misero le zampe i politici ed alla fine da un colpo di mano nacque il Roccabruna, ma questa è storia per un altro post.
In conclusione, piuttosto di buttare altro denaro pubblico e affinché il 77 non resti solo nella smorfia napoletana (che, guarda caso lo assegna anche ai diavoli), la 77° edizione della Mostra Vini del Trentino potrebbe valutare l’idea di tornare all’antica formula, ma di spalmarsi nel corso di tutto l’anno coordinando le manifestazioni territoriali che a turno propongono vini, spumanti e grappe nei distretti principali, con una sintesi finale dei migliori a Trento. Un modo per conciliare varietà, zone di provenienza, produttori grandi e piccoli con i consumatori finali.
Pseudonimo utilizzato da uno dei personaggi chiave del vino trentino, depositario di segreti,conoscitore di vizi e virtu dell’enologia regionale e non solo.
Massarello alias Angelo Massarelli, nato a San Severino Marche nel 1510, dopo gli studi in seminario si laureò in leggi canoniche e civili presso l’Università di Siena.
Tornato a San Saverino fu dapprima assegnato alla chiesa di S. Eligio e poi fu eletto priore della collegiata della cittadina.
Grazie alla frequentazione di alcuni letterati conobbe il cardinale Marcello Cervini, futuro papa Marcello II.
Quando il papa Paolo III delegò il cardinale Cervini ad assumere la presidenza del Concilio di Trento, questi volle come segretario del Concilio il Massarelli. Un cardinale così descrive l’operato del Massarelli: «essendo egli lodato dal testimonio incontrastabile dell’esperienza, ed ammaestrato dall’esquisita scuola dell’esercizio, tenne stabilmente il grado di Segretario del Concilio».
Durante gli intervalli delle sedute del Concilio svolse l’importante mansione di Segretario di Stato del pontefice.
Sotto il breve pontificato di papa Marcello II il Massarelli fu suo consigliere.
Dal successore di Marcello II, papa Paolo IV, fu designato vescovo di Telese o Cerreto il 15 dicembre 1557 e fu consacrato a tale ufficio pochi giorni dopo, il 21 dicembre.
Fu autore di un minuzioso diario dei lavori del Concilio dal titolo Acta genuina ss. oecumenici Concilii tridentini.
Terminato il Concilio di Trento nel 1563, il vescovo Angelo Massarelli fu dapprima ministro della Segreteria di Stato e poi Segretario del Supremo Tribunale della Riformazione (successivamente chiamato Sacra Consulta).
A causa dei suoi numerosi impegni venne poche volte in diocesi e si fece rappresentare da un vicario vescovile di sua nomina.