Sentita alla radio l’altra mattina: sul Bosforo sono tutti impegnati a seguire Vision Turchia 2023, in Malesia stanno seguendo Vision Malaysia 2020. Non è un caso. Ambedue seguono un programma economico in vista (vision) di certi anniversari che cadranno negli anni indicati. Il programma lo ha proposto la politica di quei Paesi decretando così la supremazia della politica sull’economia e sulla finanza che fin qui avevano dettato legge, come sta ancora succedendo in Europa. E in Italia peggio che altrove.
Anche in Trentino non siamo messi bene: la crisi della politica e dei partiti è sotto gli occhi di tutti ed a pochi mesi dall’appuntamento elettorale di ottobre le idee sono poche e ben confuse. Il settore che ci sta a cuore, quello vitivinicolo, appare sempre ingessato e immobile nella disperata conservazione dell’esistente. Guai a chi parla, guai a chi tenta un’innovazione: potremmo perdere anche quel (non poco) che abbiamo. Non c’è una Vision di medio/ lungo periodo, si naviga a vista. A Trento come a Roma. Ed ancor meno si sente l’afflato di una Mission, con tanti saluti agli Obiettivi e alle Strategie. Solo una catena di Azioni spesso nemmeno coordinate e mai rendicontate in pubblico. Cosa doverosa in regime normale, dato che di fondi pubblici si tratta. Zitte pure le opposizioni, evidentemente è regime e basta. Abbiamo più volte osservato, su questo blog, come da un paio di lustri le linee d’indirizzo siano state affidate agli oligopoli che dettano legge per tutta l’agricoltura trentina. Con tanti saluti alla volontà ed alla fantasia dei singoli e soprattutto addio al territorio, il cui cadavere putrescente dà presto fastidio solo a nominarlo.
Pensieri amari che mi sono venuti alla mente a margine di un’eccellente degustazione di una dozzina di metodo classico trentini organizzata in occasione della recente 4^ edizione del BuonVino Trentino al Mas dela Fam di Ravina (TN). Perché pensieri amari per una degustazione eccellente? Presto detto. L’assaggio rigidamente anonimo era stato annunciato fa prodotti “eretici” e “ortodossi”, intendendo per ortodossi quelli che non si fregiavano del marchio Trentodoc. A parte uno, peraltro di buona qualità, ciò che ha piacevolmente sorpreso i degustatori è stata l’elevata soglia qualitativa generale per cui, svelate le bottiglie, si è facilmente convenuto che i prodotti meritavano tutti, eretici o meno. Dal che si evince che al Consorzio del Trentodoc non serve preoccuparsi sul piano enologico, ma che le aree d’intervento riguardano a monte il destino di qualcosa come 250 mila quintali di Chardonnay che ogni anno restano senza precisa destinazione ed a valle l’affermazione del territorio come zona vocata per il metodo classico. Un’affermazione di là da venire e che i mega investimenti sul marchio Trentodoc non hanno certo raggiunto. Anzi, essendo marchio commerciale, Trentodoc riesce anche nell’impossibile obiettivo di svaporare l’origine territoriale “Trento” con l’acronimo “doc” che nella spumantistica non ha mai portato nulla. Franciacorta docet, Asti docet, Prosecco docet, Champagne docet, Cava docet…. Quanto dobbiamo andare avanti con gli esempi? Della parola “Trento” sono pieni i libri di storia, le carte geografiche e le strade del territorio, ne parlano i giornali, i media, le persone anche lontano dalla città: vogliamo confrontare le citazioni di “Trento” con quelle di Trentodoc? Forse è il caso di spedirli tutti ad un corso di formazione sul significato e sulla portata della denominazione di “origine”, capirebbero che va rispetta tal quale è, condivisa e difesa. Come una bandiera. E che bandiera sarebbe la nostra se sul bianco – fra il verde ed il rosso – uno ci scrivesse qualcosa di suo? Un casino, appunto. Come un casino, per usare un eufemismo, è stato ed è brandire questa bandiera fasulla per la più prestigiosa produzione trentina. Ora lo hanno dimostrato anche i nostri produttori “eretici”. Non c’è nulla da guadagnare, ma finché paga pantalone, tutti zitti.
PS: amara è anche questa provocazione: pronti (invano) ad essere smentiti, a dover fare ammenda, ad incassare insulti per i danni d’immagine al territorio tutto. Ma quale territorio? Quello tarocco?
Pseudonimo utilizzato da uno dei personaggi chiave del vino trentino, depositario di segreti,conoscitore di vizi e virtu dell’enologia regionale e non solo.
Massarello alias Angelo Massarelli, nato a San Severino Marche nel 1510, dopo gli studi in seminario si laureò in leggi canoniche e civili presso l’Università di Siena.
Tornato a San Saverino fu dapprima assegnato alla chiesa di S. Eligio e poi fu eletto priore della collegiata della cittadina.
Grazie alla frequentazione di alcuni letterati conobbe il cardinale Marcello Cervini, futuro papa Marcello II.
Quando il papa Paolo III delegò il cardinale Cervini ad assumere la presidenza del Concilio di Trento, questi volle come segretario del Concilio il Massarelli. Un cardinale così descrive l’operato del Massarelli: «essendo egli lodato dal testimonio incontrastabile dell’esperienza, ed ammaestrato dall’esquisita scuola dell’esercizio, tenne stabilmente il grado di Segretario del Concilio».
Durante gli intervalli delle sedute del Concilio svolse l’importante mansione di Segretario di Stato del pontefice.
Sotto il breve pontificato di papa Marcello II il Massarelli fu suo consigliere.
Dal successore di Marcello II, papa Paolo IV, fu designato vescovo di Telese o Cerreto il 15 dicembre 1557 e fu consacrato a tale ufficio pochi giorni dopo, il 21 dicembre.
Fu autore di un minuzioso diario dei lavori del Concilio dal titolo Acta genuina ss. oecumenici Concilii tridentini.
Terminato il Concilio di Trento nel 1563, il vescovo Angelo Massarelli fu dapprima ministro della Segreteria di Stato e poi Segretario del Supremo Tribunale della Riformazione (successivamente chiamato Sacra Consulta).
A causa dei suoi numerosi impegni venne poche volte in diocesi e si fece rappresentare da un vicario vescovile di sua nomina.