Nell’aprile scorso il Corriere Vinicolo ha pubblicato una serie di servizi (qui, qui e qui) sulla situazione produttiva italiana e da ultimo un servizio postato anche online dal titolo Dop-Igp, il miracolo dei numeri.
In perfetto burocratese viene evidenziata la situazione delle certificazioni e degli imbottigliamenti di tutte le Do e Ig italiane regione per regione relativa al 2012. I dati sono stati elaborati dall’Icqrf – Direzione generale per il riconoscimento degli organismi di controllo e certificazione e tutela del consumatore, sulla base dei prospetti forniti dalle strutture di controllo operanti sui prodotti vitivinicoli.
Ovviamente c’entra anche il Trentino, trattato in modo separato dall’Alto Adige non tanto per le diverse performance dei due territori, ma verosimilmente per l’autonomia che li caratterizza. Tutti gli altri, ancorché più importanti vanno, infatti, per regione. Assommare le due realtà avrebbe reso meno impietoso il confronto, ma sarebbe servito meno alle riflessioni che riguardano le politiche di territorio. Eccone alcune.
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Bolzano si piazza al 1° posto nazionale con il 98% di vini certificati sul potenziale produttivo, precedendo Toscana, Veneto e Abruzzo.
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Trento si piazza al quart’ultimo posto con il 61%, davanti a Puglia, Emilia Romagna e Molise. La media nazionale è all’82%.
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Nel rapporto fra denominazioni e imbottigliato, l’Alto Adige con i suoi 5 mila ettari rappresenta il 2,4% nazionale.
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Il Trentino, con il doppio della superficie a vigneto solo il 2,2%.
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Il Trentino è forte nelle denominazioni interregionali tipo delle Venezie, vigneti delle Dolomiti o Vallagarina. Veri specialisti.
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Sul piano dei prezzi le quotazioni del Pinot grigio Veneto viaggiano fra 1,25€/l e 1,32 con un calo del 5,7%.
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Il Pinot grigio IGT locale quota fra 1,50 ed 1,60€/l
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Il Pinot grigio Trentino Doc oscilla fra 1,60 ed 1,80€/l, simile all’IGT
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Per dare un’idea a chi non ha dimestichezza con queste cifre può essere interessante ricordare che il Lugana (uve Trebbiano ben lavorate) quota € 2,80 – 2,90 al litro ingrosso.
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Per oggi basta così: ormai siamo un territorio che fa “batarìa”.
*Bataria: in dialettro trentino merce dozzinale
Pseudonimo utilizzato da uno dei personaggi chiave del vino trentino, depositario di segreti,conoscitore di vizi e virtu dell’enologia regionale e non solo.
Massarello alias Angelo Massarelli, nato a San Severino Marche nel 1510, dopo gli studi in seminario si laureò in leggi canoniche e civili presso l’Università di Siena.
Tornato a San Saverino fu dapprima assegnato alla chiesa di S. Eligio e poi fu eletto priore della collegiata della cittadina.
Grazie alla frequentazione di alcuni letterati conobbe il cardinale Marcello Cervini, futuro papa Marcello II.
Quando il papa Paolo III delegò il cardinale Cervini ad assumere la presidenza del Concilio di Trento, questi volle come segretario del Concilio il Massarelli. Un cardinale così descrive l’operato del Massarelli: «essendo egli lodato dal testimonio incontrastabile dell’esperienza, ed ammaestrato dall’esquisita scuola dell’esercizio, tenne stabilmente il grado di Segretario del Concilio».
Durante gli intervalli delle sedute del Concilio svolse l’importante mansione di Segretario di Stato del pontefice.
Sotto il breve pontificato di papa Marcello II il Massarelli fu suo consigliere.
Dal successore di Marcello II, papa Paolo IV, fu designato vescovo di Telese o Cerreto il 15 dicembre 1557 e fu consacrato a tale ufficio pochi giorni dopo, il 21 dicembre.
Fu autore di un minuzioso diario dei lavori del Concilio dal titolo Acta genuina ss. oecumenici Concilii tridentini.
Terminato il Concilio di Trento nel 1563, il vescovo Angelo Massarelli fu dapprima ministro della Segreteria di Stato e poi Segretario del Supremo Tribunale della Riformazione (successivamente chiamato Sacra Consulta).
A causa dei suoi numerosi impegni venne poche volte in diocesi e si fece rappresentare da un vicario vescovile di sua nomina.
Sul 61% del Trentino DOC venduto come tale. Ora finalmente questo dato esce al pubblico. Io non ce l’avevo, oltre 5 anni fà, ma nel mio piccolo l’avevo già evidenziato a chi ancor oggi occupa posizioni di primo piano in Trentino. La corrente era quella di certificare a DOC quanto più prodotto possibile, Indipendentemente dalla qualità, così da un lato il Trentino faceva bella figura, come il Piemonte, e dall’altro il declassamento e commercializzazione del volume declassato veniva “regolato” da poche mani, telefoni o fax. Io, tanto per cambiare, ero contro-corrente spiegando che un eccessivo carico di offerta di DOC rispetto alla domanda portava due squilibri: la prima sul prezzo, inducendo verso il basso anche il prezzo del vino buono, dato che si doveva cercare di vendere il DOC quanto più possibile e quindi anche il meno buono, ed il secondo sulla identificazione del livello qualitativo/organolettico da parte del mercato che obbligatoriamente veniva spostato verso il minimo comune denominatore e cioè verso il basso. In altre parole abbassava le aspettative di qualità del consumatore di fronte ad un Trentino DOC non rigorosamente selezionato a monte. La mia indicazione era di regolare la produzione a Trentino DOC di una quantità non superiore al 5-10% rispetto alla domanda o vendita effettiva e sarebbe stato un graduale beneficio per tutti tramite una più omogenea selezione qualitativa che avrebbe sostenuto il prezzo medio. Acqua passata…
Sul 61% del Trentino DOC venduto come tale. Ora finalmente questo dato esce al pubblico. Io non ce l’avevo, oltre 5 anni fà, ma nel mio piccolo l’avevo già evidenziato a chi ancor oggi occupa posizioni di primo piano in Trentino. La corrente era quella di certificare a DOC quanto più prodotto possibile, Indipendentemente dalla qualità, così da un lato il Trentino faceva bella figura, come il Piemonte, e dall’altro il declassamento e commercializzazione del volume declassato veniva “regolato” da poche mani, telefoni o fax. Io, tanto per cambiare, ero contro-corrente spiegando che un eccessivo carico di offerta di DOC rispetto alla domanda portava due squilibri: la prima sul prezzo, inducendo verso il basso anche il prezzo del vino buono, dato che si doveva cercare di vendere il DOC quanto più possibile e quindi anche il meno buono, ed il secondo sulla identificazione del livello qualitativo/organolettico da parte del mercato che obbligatoriamente veniva spostato verso il minimo comune denominatore e cioè verso il basso. In altre parole abbassava le aspettative di qualità del consumatore di fronte ad un Trentino DOC non rigorosamente selezionato a monte. La mia indicazione era di regolare la produzione a Trentino DOC di una quantità non superiore al 5-10% rispetto alla domanda o vendita effettiva e sarebbe stato un graduale beneficio per tutti tramite una più omogenea selezione qualitativa che avrebbe sostenuto il prezzo medio. Acqua passata…