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[*] Per i non trentini – Noneso: abitante della Valle di Non, la terra delle mele Melinda. Un modello di sviluppo efficiente delegato integralmente alla frutticoltura di territorio; capace di  distribuisce reddito diffuso e di coagulare un’intera comunità attorno ad un’idea condivisa e coerente di territorio.

Trascrivo dal Trentino di oggi, cronaca di Trento, pagina 22: “Essere trentini, vuol dire essere diversi”. Questa perentoria certezza sciovinista, gridata anche nel titolo della falsa apertura di pagina, è attribuita dal giornalista al neo assessore all’Agricoltura Michele Dallapiccola. C’è da sperare che il giornalista abbia capito male; o semplicemente che abbia semplificato un ragionamento più complesso. Speriamo. Perché altrimenti bisogna cominciare a preoccuparsi sul serio. E di nuovo.

Da questa dichiarazione, infatti, emerge quella spocchiosa inclinazione al radicalismo autoreferenziale che per anni abbiamo rimproverato a ReSole, il precedente assessore all’Agricoltura. E non solo a lui. Un atteggiamento culturale, ancora prima che politico, che costituisce il vero freno, il vero ostacolo a qualsiasi prospettiva di sviluppo. E di confronto concorrenziale e onesto con il resto del mondo.

A me, ma sono sicuro di interpretare anche l’opinione degli altri Cosimi e soprattutto quella dell’amico Massarello, a me, dicevo, basterebbe essere normale. A me piacerebbe che il Trentino fosse una terra normale, capace di guardare al di là dei propri confini senza alcuna presunzione di superiorità. E capace di guardare al suo interno con un costruttivo spirito critico. Magari anche con la voglia di imparare ciò che di buono si fa in Brasile e ciò che di buono si fa, chennesò, in Valle di Non.

Metto subito il dito nella piaga enoico-enologica trentina: essere normali, congrui, coerenti, significa delegare al territorio la rappresentazione e l’interpretazione della propria identità. Come fanno i siciliani con il Nero d’Avola, come fanno i salentini con il Negroamaro, come fanno i toscani con il San Giovese, come fanno i piemontesi con il Nebbiolo, come fanno i veneti con l’Amarone e con il Prosecco. E anche come fanno spettacolarmente i nonesi con Melinda. Questa è normalità. Questa è la prova che non serve essere trentini per adottare comportamenti virtuosi; ovvero comportamenti atti a produrre business, e a redistribuire reddito diffuso, attraverso il territorio, con il territorio e nel territorio. E’ la prova che si possono adottare efficienti ed efficaci comportamenti industriali applicati all’agricoltura senza snaturare territorio e rafforzando le identità di appartenenza. Per fare questo, appunto, basta essere normali. Non serve essere né diversi né trentini.

Al contrario, l’autoreferenzialità, quando va bene maschera un’intrinseca debolezza, culturale e spesso anche economica. E quando va male – come spesso capita in Trentino – è una foglia di fico che serve solo a coprire ciò che non si può dire. Per esempio che il Trentino enoico è famoso (più che famoso è noto e notorio) nel mondo per il Pinot Grigio posizionato sugli scaffali dei supermercati. E non per (sua maestà, sua eccellenza) TRENTODOC.

Auguri, assessore. E cerchi anche Lei, di essere meno diverso. E anche meno trentino. Sarà un passo avanti. E poi la campagna elettorale è finita. Non c’è più bisogno di eccitare le folle. C’è bisogno, solo, di un po’ di sana, grigia, quotidiana normalità. E magari di qualche vagone in più  di mele Melinda e di qualche cisterna in meno di Pinot Grigio della Val d’Adige. Normalità, appunto.