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Quella che vedete è’ una vecchia manchette pubblicitaria risalente alla seconda metà dell’Ottocento. E’ stata pubblicata ieri su un gruppo Facebook roveretano. C’è della delicatezza e dell’arte in questa réclame. C’è della gentilezza discreta che racconta di una città vivace, ospitale e contemporanea. Almeno per quei tempi.

Ma, a parte questo, mi ha colpito, felicemente, una cosa: il riferimento al vino. Ai “veri Vini di Isera”. Un richiamo forte al territorio e all’identità territoriale. Un’indicazione geografica che viene prima, e sostituisce del tutto, quella varietale (Marzemino). Il territorio vissuto e comunicato come garanzia di qualità. Punto. C’è della modernità e dell’arte in questa réclame di fine Ottocento. Anche in campo enologico.

Oggi a Isera, invece, sta capitando ciò che da qualche anno si sussurrava nei retrobottega del potere cooperativo e nei sottoscala della politica trentina: i giornali raccontano di una società cooperativa vitivinicola in preda a bilanci traballanti e alle dimissioni dei suoi vertici. E comincia a circolare la parola d’ordine che prelude ad una stretta inflessibile sull’autonomia territoriale: tutta colpa del Marzemino. Tutta colpa dello Chardonnay destinato al metodo classico. Il territorio ancora una volta è dimenticato. Anche in tempi di crisi.