Questa mattina è cominciata la grande kermesse di Vinitaly. Tranquilli non ne scrivo. Notizie ne potete trovare ovunque. Dai social ai quotidiani on line: la gioiosa fiera veronese del vino è sulla bocca e fra le dita di tutti. E io non ho niente da aggiungere. Mi fermo, invece, a guardare indietro: alle notizie enoiche di questa settimana. Che in fatto di news è stata piuttosto generosa.
La prima notizia è quella diffusa ieri pomeriggio dalla cattedrale Ferrari di Ravina. La famiglia Lunelli ha messo la firma sotto un contratto – di cui non si conoscono ancora tutti i dettagli in termini di valore – che gli permetterà di controllare una delle più prestigiose maison prosecchiste di Valdobbiadene: Bisol. Al di là degli affari di famiglia, mi sembra un’ottima notizia. Giusto sette anni fa un’operazione simile tentò di metterla in campo Cavit. Il padrone del consorzio di allora, Giacinto Giacomini, si era messo in testa di acquistare Mionetto. La politica disse no: Dellai armò Mellarini, assessore all’Agricoltura, e l’operazione naufragò. Mionetto, che era sul mercato, finì in Germania. Non ho mai capito fino in fondo i risvolti di quella vicenda. Non sono mai riuscito a capire per quale ragione la politica trentina si fosse opposta con tale forza – un esercizio muscolare mai visto prima e che non si vedrà mai più poi – ai progetti di espansione commerciale e industriale del consorzio vitivinicolo di secondo grado. No ho mai capito chi e perchè, allora, abbia armato la pistola di Dellai e Mellarini. Impedendo a Cavit di compiere una sua naturale evoluzione sui grandi mercati del Prosecco. Mistero. In ogni caso, ciò che allora fu impedito alla cooperazione, ieri è stato portato a termine da un grande gruppo industriale trentino. E’, mi pare, il segno e il segnale di un’economia moderna e attrezzata che ogni tanto fa capolino, senza infingimenti, anche in Trentino. Nonostante l’asfissia della politica.
L’altra notizia che mi pare utile segnalare è questa. In un mirabile ritratto sulla vitivinicoltura trentina, apparso a metà settimana su L’Adige a firma del giornalista Francesco Terreri, veniamo a sapere, dati e documenti alla mano, alcune cose interessanti. Intanto che il prezzo medio di una bottiglia di vino trentino si aggira attorno ad 1,5 euro. Poi che l’80 % del vino nostrano ricade sotto l’ombrello della DOC Trentino. Come dire che la nostra denominazione, e lo abbiamo scritto mille volte, essendo stata minuziosamente svuotata e scarnificata dall’elemento territoriale oggi vale pressoché zero. Infine, sempre scorrendo il reportage di Terreri dalla frontiera enoica trentina, scopriamo anche che il valore del comparto vino in Trentino si aggira attorno al mezzo miliardo di euro. La parte del leone (80 %) la fanno i fatturati dei gruppi cooperativi (Mezzacorona: 163 milioni, Cavit: 153; La-Vis: 85; Concilio Vini: 14). Il resto (20 %) è ripartito fra un grande gruppo privato (Ferrari – Lunelli: 49 milioni), altre aziende agricole industriali (20 milioni) e i vignaioli (15 milioni). Questa è la radiografia, impietosa, del vino trentino.
Infine, ultima notizia, su cui allerto la vostra attenzione è questa. Da oggi è on line la nuova web site di TRENTODOC. Una bella vetrina patinata, orientata alla fruizione sociale e graficamente gradevole. Forse un po’ disordinata rispetto alle esigenze della navigazione. Ma, tutto sommato, una bella vetrina. Però c’è un però. Anzi ce ne sono due. Che mi permetto di evidenziare.
Intanto salta all’occhio sin dalla home la stanca reiterazione di un lessico descrittivo e adornativo che considero radicalmente sbagliato: bollicine, spumante e montagna come se piovesse. Di queste cose ne abbiamo già scritto e dibattuto a lungo e non è il caso di tornarci su. Mi limito ad osservare che il mondo del TRENTO non è ancora riuscito a liberarsi di alcuni riflessi condizionati che, nel recente passato, hanno contribuito a frenarne la portata comunicativa. L’altra fragilità, che mi permetto di annotare, riguarda il concept che sta dietro a questa web site, che trovo piuttosto convenzionale. Una vetrina chic per prodotti chic. Che, tuttavia, non mi pare riesca a trasmettere una visione condivisa e collettiva della comunità “vera” ed esperienziale dei produttori di TRENTO. Che pure c’è. E non farla vedere, e nasconderla, preferendone un taglio vacuamente, seppur stilosamente, pubblicitario, mi pare un peccato. Ma sono valutazioni personali. E, in qualche modo, anche affettuose. Davvero.
È lo pseudonimo collettivo con cui fin dall’inizio sono stati firmati la maggior parte dei post più trucidi e succulenti di Territoriocheresiste. Il nome è un omaggio al protagonista del Barone rampante, il grande capolavoro di Italo Calvino. Cosimo Piovasco, passa tutta la sua vita su un albero per ribellione contro il padre. Da lì, però, guadagna la giusta distanza per osservare e capire la vita e il mondo che scorrono sotto di lui.