“A noi ci ha rovinati il perfezionismo di San Michele: ci hanno insegnato a fare vini perfetti, da manuale, che però non tenevano mai conto del gusto in evoluzione del consumatore, del principio della bevibilità”. Sono le parole di un enologo di vaglia, che oggi ricopre un ruolo di primo piano nel sistema vinicolo cooperativo trentino, a proposito del successo mondiale del Prosecco. Di questo prodotto enologico che ormai è in grado di esercitare un’egemonia culturale, che va oltre il suo valore intrinseco di vino. E mentre davanti ad un bicchiere di Brut 600UNO Concilio, si ragionava di queste cose è arrivato il giudizio tagliente dell’ex allievo dell’Istituto Agrario di San Michele.
Non so se, e quanto, abbia ragione. Probabilmente, però, in parte è vero: mentre noi si stava, e si sta, a discettare sui dosaggi di un Metodo Classico ormai quasi perfetto in tutte le sue tipologie, in Veneto e in Friuli si andava costruendo un vino come il Prosecco; un vino sufficientemente facile e disinvolto, per lo più con un buon residuo zuccherino da renderlo gradevole al punto giusto per una bevanda destinata ad essere consumata fuori pasto. E mentre lì passo dopo passo si costruivano le basi di un successo commerciale senza precedenti – 300 milioni di bottiglie nel 2013, mentre nel 2014 il Consorzio della Doc ha già svincolato un terzo dello stock di riserva – anche attraverso una rigorosa tutela territoriale, in Trentino si inseguiva il mito della perfezione enologica disgiunta dalla percezione di gradevolezza del consumatore, soprattutto straniero. E disgiunta anche dal territorio. All’inseguimento dell’irraggiungibile archetipo champagnista.
E’ intrigante la chiave di lettura del mio interlocutore. Anche perché introduce un tema di cui in Trentino, forse per pudore, forse per (dis)interesse, si parla poco, quello dei vini spumantizzati con tecnica Charmat. Oggi fenomeno che vale, secondo stime approssimative ma verosimili, circa 5 milioni di pezzi, egualmente distribuiti fra prodotti da uve Mueller e prodotti da uve Chardonnay. Un numero di bottiglie irrisorio, rispetto alla produzione complessiva del Trentino da uve trentine (135 /140 milioni), ma non distante, almeno in volumi, dalla produzione di Metodo Classico (8 milioni).
Perché, come si è fatto con la Glera destinata a Prosecco, anche in Trentino, ricco di uve che si prestano bene anche alla rifermentazione in autoclave e di cui oggi si registra una sovrapproduzione, non si è mai creduto seriamente ad un prodotto charmatizzato? Eppure Chardonnay e Mueller, rappresentano circa il 40 % del vigneto. E nella versione ferma, il loro mercato è pressoché inesistente e comunque, a parte rari esempi, confinato a livelli di prezzo quasi umilianti. La via d’uscita, poteva – o forse potrebbe ancora essere – la strada dello Charmat, oggi praticata solo dalle grandi centrali cooperative (La-vis, soprattutto con Cesarini, Sociale di Trento, con Concilio, Cavit e da qualche tempo, ma con tecnologia non sua, da Mezzacorona) e da pochi altri piccoli produttori che lavorano su una fascia di prezzo che sfiora quello medio di un metodo classico base. Me ne vengono in mente un paio Salizzoni (Maybe) e da poco Martinelli (D&D). Piccoli produttori che oggi, tuttavia, sono comunque costretti a spumantizzare in Veneto, mancando in Trentino tecnologie disponibili e alla loro portata.
La materia prima, però, c’è. Chardonnay e Mueller, insieme, potrebbero essere la base per qualcosa come 30/35 milioni di bottiglie, fatto salvo il vigneto destinato al metodo classico e quello pregiato di montagna. Niente a che fare con i numeri del Prosecco, naturalmente. Ma gli spazi, in Italia e all’estero, per un vino così, c’è. L’esperienza virtuosa del vigneto veneto – friulano lo dimostra. Ma forse, per fare questo, dobbiamo lasciarci alle spalle il mito archetipico della perfezione.
È lo pseudonimo collettivo con cui fin dall’inizio sono stati firmati la maggior parte dei post più trucidi e succulenti di Territoriocheresiste. Il nome è un omaggio al protagonista del Barone rampante, il grande capolavoro di Italo Calvino. Cosimo Piovasco, passa tutta la sua vita su un albero per ribellione contro il padre. Da lì, però, guadagna la giusta distanza per osservare e capire la vita e il mondo che scorrono sotto di lui.
mi piacerebbe sapere quale è l'interesse che ti muove, che interessi hai in questo settore. perchè non si capisce questa foga da predicatore che ci metti.
Chiedi a me? Ti accontento subito: l'interesse è per il settore vitivinicolo e per il Trentino in generale (interessarsi significa interessarsi, non girarsi dall'altra parte); non ho interessi (economici) nel settore e la foga da predicatore viene quando ti accorgi che il mondo è diviso fra chi non vuole cambiare nulla per mantenere i propri privilegi e la maggioranza silenziosa (e o ricattata) che soffre la crisi, ma non si muove. Tu da che parte stai?
Grazie, caro Tex. Le tue parole fanno sentire meno soli e le tue proposte stimolano ad un impegno che non può venir meno proprio adesso. Chi non si trastulla fidandosi ancora dei modelli obsoleti si è accorto che negli ultimi tempi i denti del pettine si sono infittiti e i nodi da scogliere non passano più. Bisogna affrontarli e risolverli con altri uomini e di validi ce ne sono. Impazienti, avevamo attaccato corna a terra, poi abbiamo cercato il dialogo e attuato iniziative promozionali. Invano. Evidentemente bisogna rottamare anche qui, parafrasando ancora il Renzi nazionale. E aspettando il rottamatore, aggiornare le idee dai padri che non avevano tutti i torti…
Benvenuta la stoicità di Cosimo e belle anche le tue parole caro Massarello.
Complimenti!
Ma da agricoltore e appassionato follower di questo blog permettetemi di "impormi" su un piccolo particolare e cioè: se non vogliamo lasciarci alle spalle il mito archetipico della perfezione dobbiamo far sí che San Michele torni ad avere il suo ruolo fondamentale di trasferimento tecnologico, nel vero senso della parola, non limitato solo alle trasmissioni televisive dedicate all'agricoltura tipo "Mela Verde o Linea Verde…" ma un trasferimento tecnologico concreto, fatto di contenuti non di burocrazia, sopratutto verso noi agricoltori.
Se facciamo un selfie dell'agricoltore oggi ne uscirebbe un immagine alterata, fatta di uomini muniti di zappe e forconi perchè a qualcuno piace così!
No!
Oggi l'agricoltore sarebbe web 2.0.
Dico sarebbe perchè l'agricoltore (io compreso) è fermo, aihmè, ai social network al pari delle casalinghe.
Perchè? Perchè mancano i contenuti per progredire. Contenuti che ci sarebbero ma non vengono valorizzati abbastanza.
Ecco allora, io chiedo a San Michele ma non solo, anche altri… (la Cooperazione, Cavit ecc…) che aprano le loro "nuove tecnologie" i loro "progetti" all'agricoltore e diano a noi agricoltori contenuti su cui poter operare perchè senza la tecnologia l'agricoltura non ha futuro e anche se i "loro progetti" per ambiziosi che possano essere rimangono circoscritti negli ovattati uffici non c'è sviluppo per nessuno, questi progetti sono destinati a rimanere scatole, belle, ma vuote.
O meglio: soldi sprecati.
Apritevi quindi, dateci fiducia!
Per fare questo gli strumenti ci sono basta volerlo.
Non è più possibile nascondersi dietro il divario tecnologico per tenere tutti gli agricoltori all'angolo e dipingerli retrogradi ed ignoranti!
Tanto per fare un esempio banale, i corsi di aggiornamento organizzati da San Michele durante l'inverno potrebbero essere video/audio registrati o trasmessi in teleconferenza nelle varie cantine o magazzini frutta, questo consentirebbe un risparmio di tempo e sopratutto in denaro, certo magari a qualcuno mancherebbe un certo introito… ma non importa! Bisogna avere il coraggio di tagliare certe abitudini e permettere a tutti di crescere professionalmente!
Esempi c'è ne sarebbero altri, basterebbe aver voglia…
Infine permettetemi di parafrasare il recente discorso di Renzi al Parlamento Europeo per dire che anche in agricoltura c'é una generazione nuova ben rappresentata dalla figura di Telemaco, il figlio di Ulisse: che ha il dovere di riscoprirsi Telemaco, di meritare l'eredità" dei nostri padri/ nonni che hanno fondato le Cooperative, dando un notevole contributo all'agricoltura trentina. E
anche noi agricoltori non vediamo questo frutto dei nostri padri come un dono dato per sempre, ma come una conquista da rinnovare ogni giorno".
Speriamo che in questo San Michele… e chi di dovere ci aiutino!
Dissenti …dissenti..caro Maestro Massa…dissentire fa bene…anzi benone…..
Sei stoico, Cosimo! Dissento solo sul titolo e dalla frase conclusiva. Non dobbiamo lasciarci alle spalle il mito archetipico della perfezione, perché ai trentini capita di vivere – e lavorare – in un ambiente fra i più belli del mondo. Tendere alla perfezione, quindi, dovrebbe essere imperativo categorico, altrimenti si va contro natura. Questa Natura, spesso violentata. Ma si può correggere, migliorare. Anche pensando alle affascinanti ipotesi strategiche delle frontiere della spumantistica. Questo territorio, se parliamo anche di territorio, ci obbliga a puntare alla qualità massima possibile. E qui San Michele torna ad avere il suo ruolo fondamentale.