Gentilissimi Presidente Adriano Orsi e Direttore Generale Enrico Zanoni, mi chiamo Giuliano Preghenella, sono un viticoltore della Rotaliana socio di una Cantina Sociale a sua volta associata a Cavit.
Vi scrivo in quanto alcuni giorni fa sul blog trentinowine è stato postato il link ad un bellissimo articolo che mi ha fatto molto riflettere.
In quest’articolo si sono messe a confronto le tre province italiane dove la frutticoltura è più sviluppata, Ferrara Trento e Bolzano.
Ebbene, dal confronto ne è uscito che nonostante la frutticoltura a Ferrara sia totalmente pianeggiante questa risulta meno remunerativa di quella “rampicante” delle “nostre” due province, per il semplice fatto che, sia a Trento che a Bolzano, i frutticoltori sono riusciti a mettere da parte il proprio campanilismo e si sono riuniti in un unico Consorzio creando rispettivamente Melinda e Marlene.
E’ un ragionamento che noi cooperatori trentini conosciamo molto bene, ma sembra che nella nostra realtà vitivinicola sia molto più difficile da rendere concreto.
Perché?
Cos’è che impedisce a noi viticoltori della Valle dell’Adige di fare come si fa in Val di Non?
Perché ogni singola Cantina Sociale spreca preziose risorse economiche per promuovere il proprio vino, facendosi poi concorrenza sul mercato fra di loro e sopratutto mettendosi in concorrenza con il Consorzio di secondo grado a cui appartengono?
Quanti “calci nel sedere”, per dirla alla Granata, dovremo prendere dal mercato noi produttori prima di capire che l’unione fa la forza?
Perché le risorse destinate da ogni cantina per la propria promozione commerciale non le si mettono invece a disposizione per la formazione di noi soci, o per la ricerca di varietà resistenti alle crittogame, e magari sempre sull’esempio dei frutticoltori nonesi, brevettando varietà che solo da noi sia possibile coltivare, lasciando fare la promozione commerciale unicamente a Cavit?
Perché sia le Cantine Sociali sia Cavit sono restie ad orientare la nostra produzione di uva a seconda delle richieste dei mercati?
Infine, cosa possiamo fare noi soci per convincere chi ci amministra a dare vita ad una Melinda del vino trentino?
Vi saluto cordialmente e Vi ringrazio già da ora per il tempo che vorrete dedicare a questo mio messaggio.
Giuliano Preghenella – giuliano.preghenella@virgilio.it
Viticoltore innamorato del mio lavoro, della Cooperazione Trentina e dell’Economia di Comunione. Non ho particolari talenti sono solo appassionatamente curioso.
E' inutile che facciate tanto i raffinati e gli eleganti: senza cavit le cantine di primo grado sarebbero gia finite e sarebbe tutto in mano agli imbottigliatori privati che come ci insegna la storia del secolo scorso, hanno sempre fatto solo e sempre i loro interessi, spesso strangolando i poveri contadini.
Strano modo di leggere la storia… Mi viene in mente la Fiat che prima ha fagocitato le Case automobilistiche nazionali e poi è emigrata. Ora basta trasformare Cavit in Spa e il gioco è fatto. Come suggeriva qualcuno. Del diman non c'è certezza… Ma quello che è certo, è che a nord non meno che a sud del Trentino cantine di primo grado vivono e fanno vivere.
Massarello hai fatto il tuo tempo ormai. Continui a fare il grillo parlante, ma sei fermo al secolo scorso. Mettiti in pensione che è meglio per tutti.
Diceva Paul Valery: " Se non puoi demolire un ragionamento, demolisci il ragionatore ".
qui pero' manca il ragionamento. a parte la difesa ad oltranza di un presunto valore delle cantine di primo grado, che da sole non andrebbero da nessuna parte.
Il ragionamento si può fare e partirebbe, nello specifico, dal Consorzio delle Cantine Sociali, padre di Cavit e ormai deraparecido. Ne sappiamo qualcosa? Certo che con i primi gradi trasformati in centri di raccolta, il Trentino vitivinicolo non ha grandi prospettive per i produttori, nè grandi emozioni da riservare ai consumatori. Basta guardarsi gli scaffali dei negozi o la lista dei vini nei ristoranti, o sbaglio?
Sono sempre stato contrario alla politica delle svendite di vino e territorio messa in atto dai due grossi poli cooperativi Cavit e Mezzacorona . Politiche di guerra tra poveri , che non hanno portato a nessun risultato , se non nel breve periodo . E meno male che il terzo polo che voleva partecipare a questa corsa al massacro si sta spegnendo di suo , senza fare si spera altri danni al sistema. Il tutto senza una regia delle istituzioni, che hanno lasciato che tutti si scannassero tra di loro pur di avere la presunzione di fare meglio del proprio vicino . Detto questo , sento i prezzi che ci sono in giro quest'anno per le mele. Royal Gala, la varietà che stanno raccogliendo ora e che in teoria ha buon mercato , mi dicono che sia quotata al contadino 23-26 cent al kg. Le altre varietà non se ne parla neanche , Stark e Golden ti fanno già un piacere a comprartele . La mia riflessione è che quindi neanche con le mele si riesce a fare reddito , nonostante i vari consorzi si siano aggregati sotto i vari marchi Trentina, Melinda, Marlene eccetera , facendo un percorso diverso dai produttori di vino . Il mio dubbio ora è : l'agricoltura trentina ha un futuro ? Ci potranno essere ancora dei margini per una redditivitò reale , e non dopata dai contributi provinciali? Oppure viticoltori, frutticoltori, allevatori eccetera avranno un senso solo come manutentori del territorio per evitare l'imboschimento selvaggio, e al diavolo se si lavora in perdita , e al diavolo la qualità dei prodotti, quello che viene viene ?
Sob… C'è voluto un momento per riprendermi dal Preghenella pensiero: per evitare di andare per la tangente sarà bene convenire subito che le mele non sono uva-vino e che i due prodotti seguono sempre, ovunque e comunque orbite diverse. Mai sovrapposte, nè sovrapponibili, al netto dei modelli organizzativi. Se questo non è chiaro, bisognerà dedicare qualche riga in più per spiegarsi, senza la pretesa di svelare chissà quali arcani. Magari partendo dall'abc per giungere alle performance dei nostri primi gradi del vino impantanatisi coi consorzi frutta. In subordine si potrebbe sempre chiedere al Granata di turno di divertirci risolvendo le grane del vino: mi accomoderei subito in fondo alla sala per godermi lo spettacolo.
Caro Massarello… con te condivido esclusivamente il concetto che le realtà frutticole regionali non sono calabili in tutto e per tutto sul mondo enoico… ma per il resto il mio pensiero sta con Preghenella… Infatti condivido appieno il pensiero del buon viticoltore Giuliano… forse perché, conoscendolo, ne condivido l'onestà intellettuale ed il fine ultimo del buon amministrare cooperativo… A supporto della tesi del Preghenella ben hai portato l'esempio dell'impantanamento dei primi gradi vinicoli con le coop frutticole… ma ci siamo chiesti a cosa sono dovuti…? Forse mi vuoi far credere Massarello che questi "impantanamenti" sono riconducibili al buon amministrare…? O forse sono dati da un amministrare "creativo" che nulla ha a che spartire con il fine cooperativo…? Qualche tempo fa Cosimo pubblicò un qualcosa su di una proposta di fare un corso alla nuova classe dirigenziale cooperativa… E questo secondo te Massarello è un vanto… o l'ammissione che si è perso il filo del discorso….? Certo è comunque che fino a quando all'interno del governo del vino trentino vi sarà più attenzione al mantenimento dei sottili equilibri di potere anziché dare risposte alle reali problematiche sul campo… anch'io mi accomoderò al tuo fianco a fondo sala… ma sicuramente non per godermi lo spettacolo… solo per aver l'uscita nelle immediate vicinanze…
Caro Erwin, vedo che non siamo poi così lontani. Se il merito di Giuliano è quello di spaziare oltre la redditività del sistema, tu poni domande adombrando anche le risposte giuste. Aperta rimane la questione delle questioni: come conciliare l'esigenza industriale (mod. Granata e oligopoli vino) con quella territoriale (per Melinda/Val di Non e delle Venezie/Pavia/Dolomiti/Trentino/Trento per i vini). Senza dire che le mele locali pesano percentuali a due cifre, mentre il vino locale è poco più dell'1% di quello nazionale. Mi domando quindi se sull'altare della redditività dobbiamo immolare tutto il territorio o se non sia meglio definire gli ambiti della convivenza di due aspetti benissimo conciliabili.
Per quel che vale qui concordo con Massarello. Uva e vino viaggiano, dal punto di vista produttivo ma sopra tutto commerciale, su due orbite estremamente diverse. Di trasversale a tutti i settori però c'è il buon o cattivo management, management competente o incompetente, management preparato o ignorante, illuminato od ottuso… Meglio un manager intelligente e preparato che dal settore mele passi al settore vino che tenersi un "brocco" di formazione vinicola…
Aggiungo solo due considerazioni: 1. I manager li hanno scelti gli amministratori (salvo protezioni politiche). 2. Ai manager si chiede di fare bilancio. Per il Trentino Vino, credo sia fondamentale una politica di territorio e questa sarebbe competenza degli amministratori, credo. I corsi di formazione, quindi, andrebbero fatti per costoro, o sbaglio?
PS: va da sé che manager inetti vanno cacciati a calci in culo e non spostati qua è là. Per rispetto dei viticoltori.
Cosimo, che cosa hai combinato? Hai venduto il blog al nemico?
Quello che penso di questa discussione? Che questa lettera aperta di un viticoltore, e quindi della base sociale, può davvero aprire un dibattito sereno e condiviso… Infatti, a mio parere, ciò che differisce le OP frutticole citate ed il variegato mondo enoico provinciale ritengo sia una sola cosa…: LO SCOPO ED IL FINE PER IL QUALE SI E' UNITI…