Selezione_049
di Massarello – Presi dalla contingenza della difficile vendemmia e con l’eco del plantigrado nelle orecchie, pare non esserci tempo per i programmi futuri. Come se il futuro non ci fosse, si vive il solo presente. La sensazione è che manchino gli “attivi”, gente attiva cioè, mentre abbondano i “passivi” che a loro volta si potrebbero suddividere fra giustificati e ingiustificabili. Giustificati sono viticoltori e quanti sono dediti al ciclo di commercializzazione del vino; tra i secondi, cioè tra gli ingiustificabili, ci vanno coloro che non hanno l’assillo della contingenza, come i politici e i dirigenti massimi delle organizzazioni vitivinicole.
A costoro spetterebbe il compito di indirizzare il settore, di coordinarne le iniziative e di organizzare i controlli affinché tutto si sviluppi nel modo previsto. Insomma, sono quelli che devono pensare al futuro, ossia progettare oggi ciò si vuole fare domani. Ma da costoro non sta arrivando nessun segnale, nemmeno parole o promesse alla Renzi, per intendersi.
Sono pensieri che vengono vedendo sul Corriere Vinicolo il roadshow per il prossimo Expo di Milano. A Trento, invero, qualche parola in proposito la si è sentita, ma di fatto è ancora tutto fermo. I poli culturali, (Università, FBK, FEM, ecc.) sembrerebbero pronti, ma pare manchi una visione complessiva su quello che si vuole raggiungere, prima ancora di quello che sarà possibile fare.
Semplificando all’osso: turismo e ambiente, vino, mele e poco altro. Ma già in questo poco si incappa nei nodi irrisolti che vengono al pettine perché il Trentino deve ancora scegliere cosa farà da grande. Assomiglia a un ragazzotto che ha ereditato un patrimonio dai genitori (che un progetto lo avevano), ma che ora non sa scegliere fra l’impegno su una rendita che pare tranquilla e il rischio d’investimenti innovativi. La perdurante crisi ha messo a nudo discrasie tra fini e mezzi, ossia fra obiettivi con indirizzi conseguenti e risorse destinabili allo scopo. Senza impegnarsi cioè, solo perché qualcuno ha messo dei fondi in un certo posto.
Che fare allora? Un  modo intelligente sarebbe quello di approfittare dell’occasione per fare il punto della situazione e ripartire col piede giusto con nuovi progetti. Finalmente consapevoli che la crisi lascerà sul terreno un vecchio e comodo modo di comportarsi e che, comunque vada, molto di quello che è stato non sarà più come prima.
Il mondo del vino trentino, come evidenziato fino alla nausea su questo blog, appare sempre ingessato e incartato su se stesso, preoccupato solo della conservazione dell’esistente, vivendo alla giornata, senza una solida e motivata prospettiva. Mancano dialogo e confronto, paralizzati dai diktat di sacerdoti che non hanno esitato a sacrificare anche il territorio (patrimonio dei genitori) sull’altare del profitto. Il profitto, appunto: un  mezzo (per crescere) che in questo Paese è diventato il fine ultimo e che in Trentino è diventato – se possibile – ancor più ultimo. In Germania, ad esempio, questo strabismo lo hanno già risolto e si sono rimessi a crescere, mentre da noi non se ne parla nemmeno. E sì che il Trentino era pensatoio di strategie anche nazionali fino a non molti anni fa, mentre oggi non riesce nemmeno a produrre uno straccio di progetto vitivinicolo, sorpassati ormai a nord come a sud.
Ok, si dirà, ma in concreto? Dicevamo che l’Expo di Milano potrebbe servire allo scopo. Abbiamo nominato FEM e, indirettamente, anche il Consorzio Vini. Orbene, FEM sta cercando un presidente che dia nuovi impulsi e i soci del Consorzio dovrebbero darsi un programma. Le due cose non sono poi così lontane, anzi, dovrebbero compenetrarsi se è vero che San Michele è un plus soprattutto per il settore vino. Quindi se si scegliesse che so, uno che ha titoli e numeri come il prof. Scienza, un fremito “attivo” attraverserebbe l’intero sistema e in automatico si metterebbe in moto una partecipazione consortile all’Expo di  Milano coniugando ricerca con mercato … ma è meglio fermarsi qui. Si sente già lo starnazzar di polli e galletti.