Caro Massarello, sei un rètore.
Se nella vita non ti fossi dedicato con successo ad altro, avresti raggiunto ottimi e meravigliosi risultati nella retorica arte.
Detto questo – con l’affetto che spero tu colga -, provo a mettere in ordine alcuni pensieri sparsi, circa la questione enantina.
E mi scuseranno i nostri quattro lettori se la mia prosa non risulterà loro seduttiva quanto quella dell’amico Massarello.
Parto dall’epilogo del tuo ragionamento per rassicurarti: personalmente non ho alcun pregiudizio nei confronti della Zicolada. Così come non ne nutro nei confronti del Marzemino, del Nosiola e del Teroldego. Anzi. Sono dell’idea che questi dovrebbero essere i vitigni a cui affidare un compito di rappresentazione e di ambasciata del Trentino. Sono discorsi che abbiamo fatto mille volte e sai, bene, che al di là dei miei gusti personali, la penso così. E che mi arrabbio quando, al contrario, sento, o leggo, gli improvvisati maître à penser di Consorzio Vini del Trentino ordinare la soppressione cruenta della viticoltura autoctona.
Però c’è un però. Ed è grande come una casa. E qui mi fermo ad analizzare la questione del tuo Enantio e mia Zicolada. Il però riguarda l’attuale livello dei prodotti in commercio e la loro insignificanza dal punto di vista dei volumi.
Giusto ieri sera ero seduto ad un lauto banchetto – per non sputtanarmi ulteriormente a i tuoi occhi non ti rivelo chi fosse il mio anfitrione – in cui si è servito un Enantio 2012 di una piccola azienda agricola veneta. Credimi, Massarello, al di là delle naturali astringenze tipiche, il vino era pressoché imbevibile. E infatti non lo ho bevuto. E ho preferito l’acqua minerale, destando la sorpresa ilarità dei miei commensali. Ma fra puzze e volatile agli eccessi, le note verdi risultavano essere la cosa più gradevole e perfino piacevole di questo sedicente vino. Mi fermo qui e per carità di patria non faccio il nome dell’innominabile autore di questa bottiglia.
Ieri pomeriggio, invece, mi è capitato di incontrare un vecchio contadino della Bassa trentina. Un uomo che ha superato da un pezzo gli ottant’anni e che da solo, con la sua azienda agricola, coltiva i due terzi delle uve Enantio ancora presenti sul confine fra Trento e Verona. Lo conosco da un pezzo e ne conosco le argute furbizie. Gli ho chiesto della vendemmia, dei concentrati e degli affari. E ti risparmio le inconfessabili verità che ha voluto condividere con me. Gli ho chiesto anche della Lambrusca: “Tutto a posto – mi ha risposto – già venduta nel campo e ha già preso la sua strada”. E lascio a te immaginare quale sia stata la strada.
Racconto questi due aneddoti, risalenti giusto alla giornata di ieri, per evidenziare un paio di aspetti che tu, nella tua lodevole orazione, tendi a sottacere.
1) Oggi sul mercato della Lambrusca, di quella poca rimasta – 0,3 /0,4 % del cultivar provinciale, ci sono poche bottiglie, diciamo così, bevibili. Questo vuol dire che il lavoro compiuto negli ultimi quindici anni non ha prodotto grandi risultati dal punto di vista della condivisione della cultura e della sapienza enologica. Dimmi tu, Massarello, quante bottiglie di Enantio, dopo quella del maestro Letrari, ricordi come indimenticabili? E questo, converrai con me, è un problema. Un problema superabile, ma per ora è un problema serio. I vini da denuncia, come direbbe qualcuno, in questa tipologia sono ancora troppi.
2) La maggior parte delle poche uve di Zicolada sopravvissute al massacro cooperativo prendono ancora altre strade e diventano, ancora, uve da taglio e da arricchimento per bottiglie più nobili. Se questo capita ancora, e tu sai che capita, mi pare si possa dire che il lavoro sull’Enantio di questi ultimi quindici anni ha portato a poco. A pochissimo.
Sono questi semplici argomenti che mi inducono, caro Massarello, a pensare che oggi questo tuo vino, di cui sei innamorato fin da quella magica bottiglia di Leonello, sia un vino zombi. Un vino pressoché morto. Ci infilo un altro aneddoto: qualche tempo fa fui invitato ad una tavola rotonda a parlare di Enantio. Lo ho fatto, e lo abbiamo fatto, per un paio d’ore. Al termine mi sarei aspettato che il buffet, preparato da una grande coop della zona, fosse arredato con le bottiglie di cui avevamo appena finito di parlare (o gigioneggiare). E invece no. Sul tavolo è comparso magicamente uno sgradevole Frizzantino di Chardonnay trentino. Ti basta questo, caro Massarello, per convenire con me che questo vino è pressoché morto? E che per cambiare il suo destino, ci vuole almeno un miracolo?
E ora provo a misurarmi con te sulla questione della dicitura Enantio. Fin dall’inizio la trovai piuttosto velleitaria: è tipico degli homines novi – gli arricchiti di prima generazione – cercare di rifarsi il trucco acquistando blasoni e nobili originazioni. E’ un meccanismo psicologico perfino comprensibile. Ma anche piuttosto banale. Che denuncia, e comunica, una fragilità e un’aporia di partenza: così fin dall’inizio mi sembrò la storiella di Plinio ripetuta a pappagallo – storiella non perché non sia vera e filologicamente corretta, ma perché non aggiunge niente di nuovo e semmai toglie genuinità e schiettezza e immediatezza -. Sarebbe come chiamare Enotrio un vino perché gli antichi greci così chiamavano la Magna Grecia, probabilmente perché fertile terra vinifera. Massì, sì si può anche fare– e magari qualcuno lo ha anche fatto – : ma a che pro? Cosa ne ricaviamo? Cosa comunichiamo? Che abbiamo studiato il greco antico? Evvabbè.
Sappiamo entrambi, invece, che quella scelta fu indotta, del resto come implicitamente confermi anche tu, dall’intenzione di differenziare presso il consumatore il prodotto della Terra dei Forti dal Lambrusco padano. E dal bisogno di costruire una storia più o meno credibile attorno a questo vino. E si scelse Plinio. Secondo me fu un’operazione artificiosa e anche debole, come sono deboli gli Homines Novi senza dignità senatoriale.
In ogni caso, la strategia di marketing territoriale, come ammetti anche tu, non ha funzionato. E sono d’accordo con te, quando individui quelle due, tre cause che elenchi. E fu proprio qui, l’errore: immaginare che le questioni di territorio potessero essere risolte sic et simpliciter affidandone la soluzione ad un’astratta operazione di marketing, nobilitata dal latinorum di Plinio. Sottovalutando tutte le altre variabili che contribuiscono a trasformare un’area geografica da concetto cartesiano a categoria antropologica.
La scellerata operazione TRENTODOC, puro nominalismo commerciale, di mellariniana originazione, mi pare lo stia lì a dimostrare con manifesta evidenza: non basta cambiare un nome o inventarsi un marchio, per vincere la partita con il cielo. E infatti, per tornare all’Enantio, dopo quindici anni, le cose stanno come stanno: un consorzio boccheggiante, vini spesso poco bevibili, uve che prendono strade che sappiamo. Insomma l’assalto al paradiso mi pare sia fallito. Forse ciò non è dipeso dalla scelta di quel nome artefatto a scapito della nominazione comune e territorialmente radicata. Ma di certo quella scelta è stata ininfluente e non è riuscita a cambiare nemmeno di una virgola il destino della Zicolada.
E qui mi fermo.
Anzi no, permettimi un’ultima notazione: leggo della tua preferenza estetica per il latinorum rispetto alla dicitura comune e dialettale.
Non entro nell’ambito delle tue preferenze estetico – linguistiche. Ciascuno coltiva il proprio senso dell’armonia. Mi limito, tuttavia, a segnalarti che c’è chi, a partire da un’uva e un vino gemelli rispetto al nostro (Casetta alias Foja Tonda), ha scelto coerentemente di continuare ad usare la dizione dialettale, senza complessi di inferiorità e senza reticenza, arrivando persino a brevettarne l’uso. E mi pare con un certo successo commerciale: imparagonabile rispetto a quello dei vicini enantini.
Con la stima e l’affetto di sempre
tuo
Cosimo Piovasco di Rondò
È lo pseudonimo collettivo con cui fin dall’inizio sono stati firmati la maggior parte dei post più trucidi e succulenti di Territoriocheresiste. Il nome è un omaggio al protagonista del Barone rampante, il grande capolavoro di Italo Calvino. Cosimo Piovasco, passa tutta la sua vita su un albero per ribellione contro il padre. Da lì, però, guadagna la giusta distanza per osservare e capire la vita e il mondo che scorrono sotto di lui.
…ed ora sarebbe bello chiedere anche a Marchionne cosa ne pensa dell'Enantio… giusto per allargare un po' i confini… Chissà che vino italiano ha scelto per le mense operai di Detroit…
(scherzo naturalmente… solo per alleggerire un tantino l'atmosfera che mi è sembrata alquanto densa ed impegnata..)
Caro Cosimo, grazie per la risposta, ineccepibile quasi in toto…. pardon, quasi in tutto (qualcuno si adonta per i latinismi). Mi spiace che tu sia incappato in un Enantio poco buono. Con un Consorzio efficiente forse non sarebbe successo. Per il resto non mi pare di trovare contraddizioni: che l'uva sia all'altezza lo conferma il viticoltore che hai citato e il nome latino o dialettale della zicolaa adottabile non è certo il primo problema. Resta sempre il dettato che i marchi – varietali come territoriali – non si discutono, si accettano. Mi resta la consolazione che qualche produttore d'Enantio ha preso anche un paio di bicchieri dal Gambero Rosso e il rammarico per l'occasione persa per fare squadra in quel territorio.
Bene, Massarello vedo che alla fine..più o meno, almeno fra di noi, abbiamo trovato la quadra.
E' chiaro che sono incappato in una bottiglia sbagliata: ma appunto volevo dire.., come dici tu, che se un consorzio in questi anni ci fosse stato e avesse fatto il suo dovere, avrebbe prodotto una cultura enologica media condivisa.
In quanto ai marchi da accettare: ma certo che lo accetto. Non ho alcuna intenzione di chiedere di tornare indietro. Mi sono limitato a sottolineare la debolezza della scelta di allora. Ora ne prendo atto. In quanto ai bicchieri: l'altro giorno ho parlato a lungo con una produttrice veneta che con un vino dolce ha riconfermato i suoi tre bicchieri anche nel 2015. Le ho detto: adesso però basta: devi impegnarti seriamente per un tre bicchieri per il tuo ottimo Enantio Riserva. E sono convinto che sarebbe una cosa buona per tutta la denominazione.
Auguro alla produttrice e a tutti i coltivatori d'Enantio una efficace selezione delle uve che stanno completando la maturazione. È paziente quest'uva e attrezzata per superare anche le stagioni storte come questa. I tre bicchieri arriveranno, anche se mi rendo conto del problema che hanno gli organizzatori nel riconoscerli all'Enantio.
bravo cosimo hai fatto un'analisi perfetta: è stata tutta una presa in giro la storia dell'enantio. peccato per quelli che ci hanno creduto e che continuano a crederci. ma è stata una finzione. e continuano a prenderci in giro da avio a rivalta
ma piantatela voi due, massarello e cosimo, di raccontarvela fra di voi. che bisogno avete di scrivervi letterine finte? guardate che ormai il gioco è finito, tutti sanno chi siete e chi frequentate. maddai su, maddai.