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Finalmente anche la stampa generalista comincia ad occuparsi della faccenda Pinot Grigio. Sull’Adige di venerdì una precisa e puntuale rappresentazione della situazione paradossale della viticoltura trentina; una cronaca che finalmente esce dal bunker degli addetti ai lavori e viene raccontata al grande pubblico.

Se c’è qualcosa che non si può rimproverare a questo blog, è la reiterata denuncia che da molti anni andiamo facendo circa il paradosso della monocoltura e monocultura industrialiste del Pinot Grigio. Sono rimasti negli annali di Trentino Wine un paio di post che in pochi giorni totalizzarono centinaia e centinaia di interventi dei lettori. Il paradosso era, ed è, questo: l’industria del vino trentino, riconosciuta nel mondo per la capacità di immettere sui mercati internazionali centinaia di milioni di pezzi di Pinot Grigio, si regge su un meccanismo tanto semplice quanto, e le notizie di oggi lo confermano, rischioso. La distribuzione diffusa di alte rimuneratività ai contadini trentini è stata assicurata dal denaro prodotto dalla trasformazione e dalla commercializzazione di materia prima acquistata prevalentemente in Veneto a basso prezzo. Un meccanismo che ha garantito alte marginalità, da cui sono derivate le alte remunerazioni per i viticoltori trentini. I quali, quindi, in questi vent’anni non hanno guadagnato grazie al loro lavoro, ma soprattutto grazie allo “sfruttamento” del lavoro in campagna dei campesinos veneti.

Ora, dopo alcuni anni dalle nostre prime incursioni sul terreno scivoloso del Pinot Grigio, la vicenda è scoppiata e rischia di mettere in seria difficoltà l’industria trentina del vino, in grado di produrre fatturato, utili e reddito diffuso soprattutto grazie all’imbottigliamento del Pinot Grigio Valdadige e IGT delle Venezie. Ha ragione il direttore di Cavit, Enrico Zanoni, quando ammette che, pur in presenza di una vendemmia (2014) scarsa dal punto di vista dei volumi, i prezzi non crescono.

E non crescono perché nel frattempo stanno giungendo sui grandi mercati internazionali e in gran quantità le merci prodotte in Veneto con la Doc Venezia.

Insomma gli industriali del Veneto hanno capito, lo avevano capito alcuni fa e da allora hanno cominciato a strutturarsi sia dal punto di vista commerciale che disciplinare, che era arrivato il tempo di sottrarsi all’egemonia commerciale trentina per cominciare a fare da sé. E lo hanno fatto, prima di tutto, dotandosi di una DOC esclusiva: la Venezia. Questo passaggio chiaramente ha messo in crisi il sistema di approvvigionamento trentino. E il castello, a partire dalle alte rimuneratività delle uve trentine, rischia di crollare.

La reazione trentina, a mio avviso, è stata una reazione piuttosto miope. E’ miope, e controproducente, ricorrere agli organi di giustizia amministrativa per impedire ai Veneti di giocarsi la loro denominazione esclusiva in nome “della difesa della produzione trentina”. A parte il fatto che considerare “trentino” il Pinot Grigio imbottigliato in provincia è una questione puramente nominalistica e a rischio di sollevare l’ilarità planetaria. Ma il punto vero è un altro: come si può immaginare di tutelare l’identità e la forza commerciale di un territorio, quello trentino, impedendo forzosamente ad un altro territorio, quello veneto, di espandersi autonomamente sul mercato.

Affrontare in questo modo le questioni vitivinicole significa prescindere dall’economia reale per affidarsi esclusivamente e burocraticamente al cavillismo legale.

Tutto quello di cui il vino trentino non ha bisogno.