San Lorenzo, Rossara, Pavana, Negrara, Peverella, Lagarino… e numerosi altri: nomi di vitigni che oggi ci dicono poco o nulla, ma che costituivano buona parte della base ampelografia del Trentino di fine ‘800, prima della comparsa della fillossera e dell’annessione del Trentino all’Italia.
Oggi alcuni di questi vitigni sono coltivati in areali limitati, testimonianze e in qualche caso reliquie di un passato, ma che grazie al lavoro di catalogazione dell’Istituto Agrario di San Michele e alla tenacia di pochi produttori che non li hanno voluti abbandonare, e che in qualche caso hanno anche provveduto a dei reimpianti, sopravvivono per continuare a trasmetterci delle emozioni. Assaggiando questi vini è come se la macchina del tempo ci proiettasse all’indietro, annullando in un sol colpo decenni di mutamenti intercorsi nella viticoltura trentina. Ma l’assaggio non può giustificarsi solo come omaggio alla tradizione, un rimando nostalgico ai tempi passati.
Questi vini ci comunicano la necessità di salvaguardare una biodiversità. Ad esempio il Saint
Laurent (San Lorenzo, vitigno a bacca nera, così chiamato per la sua maturazione precocissima, funzionale ad una viticoltura di montagna) entra nell’incrocio per la messa a punto di alcuni vitigni interspecifici, come ad esempio il bianco Bronner, proposto recentemente in assaggio anche a Palazzo Roccabruna. La biodiversità in viticoltura si è grandemente ridotta nei secoli per vicende naturali (basti pensare alle gelate del primo decennio del ‘700 o alle malattie fungine di fine ‘800), ma anche per scelte colturali ad opera dell’uomo, in omaggio ad una progressiva industrializzazione agricola che nei decenni passati ha comportato la selezione di pochi vitigni in grado di garantire produttività e ritorni economici più elevati.
Gli antichi vitigni del Trentino possono ancora garantirsi una piccola nicchia di mercato a fronte di una crescente domanda da parte dei consumatori di prodotti espressione di territorio e forse anche di vini meno “muscolosi”, dopo l’ubriacatura degli anni recenti per vini molto alcolici e molto strutturati.
Questi vini hanno alcune caratteristiche comuni. I bianchi sono per lo più caratterizzati da spiccata acidità, alcolicità contenuta, con sottili profumi floreali associati a note agrumate, tutte caratteristiche che ben si prestano per delle basi spumante.
I vini rossi invece sono caratterizzati in maggioranza da maturazioni precoci, come si addice a vitigni di montagna, anch’essi non particolarmente ricchi di estratto, di pronta beva, con note fruttate e in non pochi casi leggermente vegetali e un fin di bocca tendenzialmente amarognolo.
Caratteristiche per certi versi simili alla famiglia delle Schiave.
Anche se non mancano le eccezioni, non a caso rappresentati da quei vitigni che, grazie anche alla loro elevata produttività, hanno ceduto per ultimi all’avanzata dei “vitigni internazionali” e all’imporsi dei vitigni a bacca bianca. Pensiamo per la Vallagarina ai due “lambruschi” a foglia tonda (Casetta o Maranela) e a foglia frastagliata (ora Enanzio). Per non parlare di Teroldego eMarzemino, che a differenza di tutti gli altri vitigni storici hanno saputo mantenere nel tempo un proprio spazio.
L’incontro del 28 maggio a Palazzo Roccabruna, proposto da ONAV del Trentino, propone una degustazione di molti di questi vini dimenticati, per consentire anche ai meno esperti una
conoscenza più completa del Trentino viticolo.
Costo della serata € 7.
È lo pseudonimo collettivo con cui fin dall’inizio sono stati firmati la maggior parte dei post più trucidi e succulenti di Territoriocheresiste. Il nome è un omaggio al protagonista del Barone rampante, il grande capolavoro di Italo Calvino. Cosimo Piovasco, passa tutta la sua vita su un albero per ribellione contro il padre. Da lì, però, guadagna la giusta distanza per osservare e capire la vita e il mondo che scorrono sotto di lui.