Ho atteso qualche giorno prima di scrivere queste due righe. Che sinceramente avrei voluto fossero altre. Ma ho atteso inutilmente.
L’altro giorno a Milano, in un clima euforizzato da coni gelato alla panna cotta e altre amenità varie, le nostre altrettanto amene autorità hanno tagliato il nastro di piazzetta Trentino: settanta metri quadrati di legno, dolomia, mele e vino, lungo il Cardo, nel cuore dell’esposizione universale a due passi dal famigerato albero della vita. Ho aspettato qualche giorno in attesa che l’ufficio stampa di Expo riprendesse la notizia. Ma di notizie, dal circo mediatico milanese, sino ad oggi non ne sono arrivate. Ieri invece ci hanno informato dell’ apertura di piazzetta Emilia Romagna; oggi i creativi gazzettieri milanesi ci hanno comunicato la nascita dello Zebraburger, un panino al limite del cannibalismo a base di carne di zebra. Poco fa ci hanno deliziato con la fotonotizia della visita ad EXPO del campionissimo di motociclismo Marco Melandri.
Su Piazzetta Trentino manco una parola. Almeno fino a questo momento.
L’EXPO, insomma, non se la è filata. Restano, invece, le cronache autocelebrative (una volta avrei usato l’aggettivo autorefenziali, ma mi sono convinto che non valga più la pena scomodare certe parole) immesse nel circuito social dall’Agenzia Stefani nostrana, con numerosi tweet e retweet. Chi c’era, l’altro giorno a Milano, del resto mi ha raccontato di una piazza desolatamente abitata solo dalle solite e consunte celebrità istituzionali trentine.
Poco più di cento anni fa, nel 1906, un giovane italiano partiva dalle colline di Trento alla volta della Prima Esposizione Universale di Milano, portando con sé una bottiglia che avrebbe rivoluzionato la tradizione enologica nazionale, fino a diventare, a tutt’oggi, una bandiera del made in Italy nel mondo. Quel giovane si chiamava Giulio Ferrari e al Primo Expo milanese affascinò il pianeta che si stava affacciando sul precipizio della Grande Guerra con il suo metodo classico. Aveva solo 27 anni e si guadagnò subito una medaglia d’oro. E allora le medaglie erano medaglie: vere. Poi sarebbe diventato un monumento dell’enologia mondiale. Questo era il Trentino, ancora asburgico ma di lingua italiana, di un secolo fa.
Il Trentino di oggi è quello della piazzetta del Cardo.
Inesistente.
Forse ameno.
Forse.
Peccato.
È lo pseudonimo collettivo con cui fin dall’inizio sono stati firmati la maggior parte dei post più trucidi e succulenti di Territoriocheresiste. Il nome è un omaggio al protagonista del Barone rampante, il grande capolavoro di Italo Calvino. Cosimo Piovasco, passa tutta la sua vita su un albero per ribellione contro il padre. Da lì, però, guadagna la giusta distanza per osservare e capire la vita e il mondo che scorrono sotto di lui.
Proprietà terapeutiche del Cardo Mariano. http://www.disinformazione.it/cardomariano.htm
Come le transenne .. Nello stand istituzionale di vinitaly
Eh ma era esclusivo …l evento…
vergogna!!!!!!! Il solito Trentino del vino, provinciale, patetico, autoreferenziale….
Cinquanta persone, di cui venti giornalisti trentini (posso confermarlo perché ero presente) e i (pochi) curiosi sono stati cacciati perché era un "evento esclusivo". L'unica eccellenza Trentina degna di questo nome è proprio il padiglione Ferrari, con le sue diecimila bottiglie stappate in tre mesi e il ristorante prenotato fino al termine dell'Expo.
Senza scomodare "chi c'era"…le foto su Twitter mi sembravano parlassero da sole. Ho contato 50 persone in tutto. Hostess comprese. Tutte persone pagate per esserci, nessuno neppure curioso. Ma ho paura che tutto l'Expo sia così.
Occasioni sprecate, con i nostri soldi.