L’altro giorno ho proposto ad un amico – almeno pensavo fosse amico – enotecaro di ospitare un blind tasting di metodo classico TRENTO, a cui avremmo partecipato io e l’amico Franco Ziliani, insieme ad altre cinque o sei persone che avrebbero invece potuto assaggiare liberamente e a bottiglie scoperte. Avevo in animo di portare le bottiglie che non erano state presentate alla degustazione di TRENTO DOC organizzata un paio di settimane fa a palazzo Trauttmansdorff; mi riferisco ai prodotti di queste aziende: Cantina di Isera, Conti Bossi Fedrigotti/Masi, Fondazione Edmund Mach Istituto San Michele, Methius, Pedrotti, Viticoltori in Avio, Zanotelli Elio e, chiaramente, Rotari, che per dimensioni, volumi e leadership politica merita senz’altro di essere attenzionato. La mia proposta è stata accolta, subito, con entusiasmo dall’amico enotecaro, con il quale ci si è lasciati con l’impegno da parte mia di organizzare questa cosa per fine ottobre inizio novembre. Naturalmente la degustazione, acquisto delle bottiglie compreso, sarebbe stata interamente autofinanziata, mentre a lui si chiedeva esclusivamente di mettere a disposizione lo spazio.
E quindi? Quindi è capitato che ieri l’ amico mi abbia mandato un sms con il quale mi comunicava di aver cambiato idea, avendo realizzato che “per una degustazione professionale servono requisiti che il mio povero locale non ha (bicchieri ecc.). Mi vedo quindi costretto a rivedere quanto di avevo assicurato e a declinare la tua richiesta. Cordialmente… “. Ho provato a richiamarlo, ma non ho ricevuto risposta: gli avrei detto che per i bicchieri non ci sarebbero stati problemi; li avremmo portati noi, avendone a disposizione circa un migliaio. Ma, appunto, l’amico non mi ha risposto. Va bene così: la degu la faremo da un’altra parte e con tutte le bottiglie (gamma Rotari compresa) che ci sembrerà utile assaggiare. E’ già tutto organizzato. Ma mi chiedo, cosa ci fa un’enoteca in una delle località turistiche più prestigiose del Trentino senza bicchieri? E mi chiedo, ancora, ma davvero c’è qualcuno che mi considera così fesso (e con me Ziliani) da abboccare a scuse di questo genere? Infine, ultima domanda (retorica): ma chi tira le fila del vino trentino e di tutto ciò che gli gira intorno (enoteche comprese)?
È lo pseudonimo collettivo con cui fin dall’inizio sono stati firmati la maggior parte dei post più trucidi e succulenti di Territoriocheresiste. Il nome è un omaggio al protagonista del Barone rampante, il grande capolavoro di Italo Calvino. Cosimo Piovasco, passa tutta la sua vita su un albero per ribellione contro il padre. Da lì, però, guadagna la giusta distanza per osservare e capire la vita e il mondo che scorrono sotto di lui.
Il pane e le rose.. i bicchieri e le rose.. Freedom of degustèscion..!
chi tira le fila? Non certo un galantuomo come Zanoni della Cavit, o i Lunelli, che finalmente hanno eliminato dalla facciata della loro cantina, fronte autostrada, l'aborrita parola spumante, come io chiedevo da illo tempore.
A tirare le fila sono grigi burocrati senza attribuiti, servi del potere politico cooperativo, ora ampiamente filo renziano, che credono di poter impedire a giornalisti indipendenti come noi di fare il nostro lavoro.
Si sbagliano, quella degustazione la faremo, e se i vini di Rotari usciranno bene, noi ne scriveremo bene, anche se non siamo, a differenza di altri colleghi (a proposito: ieri ne ho vista una a Bergamo leccare un potentissimo del vino franciacortino…) dei servitori del potere vitivinicolo della terra del Concilio…
No pasaran!
Vero, non è il dottor Zanoni, ottima persona e ottimo professionista, a guidare con metodi padronali la filiera del vino trentino. Sono altri i soggetti in preda alla tentazione perpetua di egemonia padronale. Naturalmente mi guardo bene dal fare i nomi, ma tu sai a chi mi riferisco. Del resto al di là della stima personale per Zanoni, Cavit è un arcipelago di undici cantine sociali ed ogni giorno è costretta ad un quotidiano esercizio di democrazia e confronto territoriale.