Ho letto l’impietoso racconto comparativo di Piazzetta Trentino e Piazzetta Alto Adige ad Expo, apparso ieri sul quotidiano Trentino. Impietoso per il Trentino, si intende. Roba da 0 a 10 per i cugini di lingua tedesca.
Eppure, io che sono sempre stato molto critico nei confronti delle modalità autorappresentative del Trentino, in questo sberleffo mediatico non mi ci ritrovo.
I due giornalisti che hanno firmato il pezzo, raccontano di un corner trentino desolatamente vuoto e arredato in maniera essenziale, essenzialissima. Ma soprattutto di una vetrina dove non era previsto l’approvvigionamento di cibo. Esattamente il contrario di quanto accadeva, nello stesso istante, nello spazio alto atesino, dove invece si mangiava e si beveva e per questo, secondo i reporter, lo spazio tirolese era gettonatissimo.
Bene, io preferisco la soluzione minimalista e narrativa del Trentino: attira meno persone, certo; perché il popolo delle cavallette e degli sbafatori (seppure a pagamento) è irrimediabilmente attratto dal food. Ma, mi chiedo, abbiamo bisogno di questo? Abbiamo bisogno di usare le scorciatoie #seguiràbuffet e #seguiràbrindisi, per provare a raccontare, con efficacia, la nostra filiera agroalimentare? Sinceramente non credo.
E poi siamo sicuri che lo scarso appeal della proposta trentina e per contrasto la seduttività dell’Alto Adige, siano dovuti solo a questa scelta espositiva? Ricordo un tempo, nemmeno tanto lontano, quando i padiglioni del Trentino a Vinitaly sembravano cattedrali della ristorazione (gratis per tutti) eppure erano sempre mezzi vuoti, mentre, per contrasto, il padiglione alto atesino brillava per essenzialità e funzionalità, ma era sempre (è) affollatissimo di una folla sgomitante. E allora? Allora come la mettiamo? Forse c’è qualcosa d’altro dietro i piccoli insuccessi di Trentino ad Expo raccontati dagli impietosi giornalisti. Forse la vera ragione sta nella capacità seduttiva di un territorio, quello dei nostri cugini, che è stata costruita scientificamente nel tempo, con astuzia, è vero, ma anche dosando bene verità e verosimiglianza. Cosa che in Trentino non è accaduta. E non accade. Penso all’imbarazzante Doc Trentino appiccicata sulle etichette del vino industriale che esportiamo in tutto il mondo a prezzi stracciati e al disastro degli autoctoni. Penso al Trentino del vino che preferisce dedicarsi ai festival e alle sagre, anziché alle Mostre e alle Anteprime, come fa ogni distretto vinicolo che si rispetti e abbia qualche ambizione di emergere. Ma penso anche al quel Trentino dove la coltivazione del frumento e del grano è pressoché sparita – io vivo lungo una piccola vallata dove fino a 50 anni fa erano attivi più di dieci mulini: oggi non ne è rimasto uno – e che tuttavia affida l’immagine della sua filiera agro-alimentare ad un premiato, e meritevolissimo si intende, pastificio dolomitico. Ma il grano (trentino) e la territorialità dove sono?
È lo pseudonimo collettivo con cui fin dall’inizio sono stati firmati la maggior parte dei post più trucidi e succulenti di Territoriocheresiste. Il nome è un omaggio al protagonista del Barone rampante, il grande capolavoro di Italo Calvino. Cosimo Piovasco, passa tutta la sua vita su un albero per ribellione contro il padre. Da lì, però, guadagna la giusta distanza per osservare e capire la vita e il mondo che scorrono sotto di lui.
La tua analisi, Tiziano, è cristallina. La situazione è quella contro cui stiamo combattendo da tempo: io con il mio orzo e tu con la tua penna. Fino ad adesso si son costruiti presepi e dipinte scenografie, mentre i nostri cugini sudtirolesi esaltavano le differenze e le peculiarità del territorio, per diventare ed essere riconosciuti autentici. Combatteremo!
una sintesi non esente da molte verità. per quel che riguarda Expo e piazzetta Trentino, mi riservo di verificare di persona nel fine settimana. Noto che tra chi ha cavalcato la polemica ben pochi sono andati a Milano, un motivo in più per andarci quindi…
Grande Tiziano
Venerdì pomeriggio di gente ce n'era in piazzetta Trentino: però c'era Melinda.
E questo fa da corona, conferma e corollario a quanto detto da CPR. Laddove c'è un marchio riconoscibile, un'identità legata al territorio, c'è anche la risposta del pubblico.
In caso contrario è tutto molto più difficile, con buona pace della pasta Felicetti che, mi perdoneranno, come marchio non può competere con Melinda. E sarà pur buona, questa pasta, ma io che vivo a Milano di Melinde ne ho mangiate a iosa, di pasta Felicetti. non ricordo..
E oltre a non ricordarmela, la pasta, non la associo al Trentino. Mi riesce più facile, chissà perché, associare la pasta all'Abruzzo, alla Campania, alla Sicilia … all'Emilia.
Anche perché pensando al Trentino, com'è, come non è, non mi viene di pensare al grano. Proprio no.
Anche se sono il re degli ignoranti condivido anch'io le tue osservazioni Cosimo e rincaro la dose riportando le osservazioni di nientepopodimeno che Natale Rigotti, past president dell’Associazione albergatori trentini ed attuale presidente dell’Apt di Trento fatte al giornale Il Trentino: http://trentinocorrierealpi.gelocal.it/trento/cro…
il giudizio è inesorabile.
Mi chiedo se cadrà qualche testa dopo questi fallimenti o scatteranno solo promozioni?
gli errori non sono quelli di oggi, anzi credo che oggi si stia prendendo la mira…quella giusta, gli errori sono stati quelli del passato..e ora li stiamo scontando.
Hai ragione, dev'essere qualcosa di endemico, anche al Vinitaly del resto succede la stessa cosa.
Bellissimo pezzo, ciao Tiziano.
standing ovation Tiziano, articolo che condivido in toto, dalla prima parola al punto finale.
Chi semina vento raccoglie tempesta