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E niente, mi ritrovo di nuovo, per la seconda volta nell’ultima settimana, a pensare a quanto sia strana la vita, a come cambino le cose, a quanto cambino i punti di vista.

Dopo aver criticato ferocemente per anni, e l’archivio di questo blog ne è buon testimone, l’estetica delle cattedrali di Trentino Marketing, ora mi ritrovo a pensare che chi oggi si scaglia contro via Romagnosi – che nel frattempo ha cambiato registro e si è convertita ad un sano, e più serio, minimalismo -, attribuendole la responsabilità dei noti e celebrati insuccessi di Piazzetta Trentino ad Expo, abbia torto. Marcio. E non abbia capito un granché delle desolanti vicende trentinte degli ultimi vent’anni.
Penso ai giornalisti del quotidiano Trentino in gita scolastica a Milano di cui ho scritto ieri, penso al consigliere provinciale Claudio Civettini, di cui ho pubblicata un’impietosa denuncia poco fa. Penso al past president degli albergatori trentini Natale Rigotti, che dopo aver guidato il comparto per molto tempo e senza lasciare traccia, ieri ha sentenziato ineserabile: “Brutta figura!”.
Ma siamo proprio sicuri che il problema del Trentino siano gli allestimenti della Piazzetta a ridosso dell’Albero della Vita? Che la debolezza della proposta provinciale sia da imputare alla scelta minimalista ed essenzialista, fra l’altro molto gradevole, del concept espositivo? Ripeto ciò che ho già scritto ieri: se c’è un problema, questo problema è di sostanza e non di forma. E’ il problema di un territorio che da qualche decennio ha rinunciato ad essere territorio per vendersi (e talvolta svendersi) alla grammatica omologativa dei modelli industriali: dalla zootecnia alla viticoltura. Non sono le finte Torri del Vajolet che arredano la piazzatta a scoraggiare i visitatori e ad uccidere l’appeal del Trentino. Quei visitatori / consumatori sono già stati scoraggiati – e l’appeal è stato ucciso – dalle denominazioni e dai marchi territoriali appiccicati a caso sopra prodotti deterritorializzati e di scarso valore intrinseco. E’ questo Trentino che ha poco di originale da proporre che esce con le ossa rotte dall’Expo. E’ il Trentino che sceglie di farsi rappresentare dalle semi sconosciute “zirele”  o da un pastificio dolomitico in una terra senza frumento (mi si spiega che oggi in provincia di Trento disponiamo di circa 20/30 ettari coltivati a cereali ) o ancora dagli industriali del vino che esportano negli States bottiglie al prezzo medio di due euro. A proposito, autorevoli indiscrezioni mi raccontano che per la guida del Gambero 2016 erano stati presentati più di cinquecento etichette: ed è andata come è andata.

E’ questo il Trentino senz’anima che celebra la sua morte territoriale ad Expo. E’ questo Trentino che in tema di filiera agroalimentare ha poco di originale da vendere e poco di cui andare fiero; a parte le mele Melinda, le forme di Trentingrana e quei 7 milioni di pezzi di TRENTO DOC (che poi sono meno del 4 % dell’imbottigliato in Trentino).  E poco altro. E almeno questa volta, ne sono quasi  sicuro, via Romagnosi non c’entra.