lagodigarda

Vengo dalla scuola della McCann Erickson, multinazionale della comunicazione tanto grande da piegare ai fondamentali anche i clienti più vanitosi e inclini all’autocelebrazione. Spiego con un esempio: se un industrialotto trentino avesse preteso l’installazione di tabelloni con la sua pubblicità anche nei pressi del suo stabilimento (per gratificarsi ogni giorno), quest’agenzia avrebbe gentilmente, ma risolutamente rifiutato; all’opposto altre agenzie, pur di non contraddire il cliente, quei soldi glieli avrebbe fatti spendere. Ecco, mi viene sempre in mente questo assunto quando vedo – come nel caso dei nuovi spot da 30’’- la comunicazione di Trentino Marketing e non solo. Nella promozione istituzionale la tentazione di gratificare il committente diventa regola. Così sono tutti contenti e le spese in più si recuperano, magari, evitando di pianificare indagini che a posteriori dovrebbero dire se e quanto hanno inciso queste campagne. Bingo!
Nel caso dei sopra citati spot, i contenuti sono un tantino più raffinati della gretta proposta del remuage italiano del cervellotico Trentodoc di qualche anno fa, diventato poi spumante di montagna, ma col mercato rimasto indifferente quasi che el tacòn sia pezo del buso. Qui lo spot è turistico, con prodotti. Lasciando stare i testimonial sui quali pure ci sarebbe da dire, l’aspetto turistico si risolve in un addio notturno in Piazza Righi a Campiglio davanti alla Bottega di Cesare Maestri. Caricati i vistosi sci (italiani) Bomber di Miller e gli Head di Svindal, più sfumati, arrivano poi i prodotti: la maxi confezione (si presume) di pasta (omaggio a Felicetti), la padella con (seminascoste) mele Melinda, la forma di (Trentin?) grana e, nella sola versione italiana, il Balthazar che (pare dalla fascetta) fornito da Ferrari. Con la nonna, chiude la scena la poltrona Frau. C’è tutto ciò che conta, o quasi.
Non fosse per il bel timbro finale firmato Trentino, le immagini si adatterebbero a molte altre regioni. La domanda quindi è: cui prodest? I prodotti trentini ne ricavano beneficio? In benevola teoria Felicetti che non ha concorrenza interna, Melinda è percepita solo dall’occhio clinico degli interessati, la forma di grana gratifica tanto il Padano quanto il Reggiano e lo spumante, dove c’è, allieta tutti. Ma quell’etichetta bianca, è un’occasione persa per leggervi una sola parola: Trento. Sarebbe stata un’eccellente introduzione al timbro finale, peccato.
In conclusione si può discettare su cosa, a monte, era nella testa dei copy, di chi ha predisposto lo storyboard, di cosa è stato detto loro, di cosa si poteva/doveva mettere e di cosa no. Traspare l’imbarazzo di Trentino Marketing che da un lato è spinta a coniugare la bellezza di una vacanza turistica supportata dai prodotti del territorio, e dall’altro si ritrova con prodotti a marchio (brand aziendali o consortili) con la denominazione d’origine in etichetta sempre tanto sfumata da essere pressoché impercettibile. Se i prodotti in commercio sono presentati così, evidentemente non si poteva fare diversamente.