schiava toblino

Ah, da quanti anni non mi capitava di bere una Schiava. E’ successo l’altro giorno, per caso, a casa di un amico. Non sapeva cosa offrirmi e io non sapevo cosa bere. Poi, ad un certo punto, è spuntata fuori una bottiglia di Schiava (Cantina di Toblino, 2014).

Che sorpresa: quel suo bel colore rosato brillantissimo, che mette allegria e ricorda i toni i felici e rosei della Belle Époque. Che sopresa: quel naso sottile di fragolinne appena raccolte nel bosco. Che sorpresa: quella bocca secca ma beverina, fragilina ma piacevole, che finisce con un leggero tono amarognolo. Tutto …ino, questo vino. Semplice, allegro, piccolo, piccolino ma per niente ruffiano. E piacevolissimo. Da aperitivo serale e da merende a pane e formaggio su una tovaglia a scacchi bianchi e rossi. Un vino di una semplicità disarmante e appagante. Un vino di un’assurda contemporaneità.

Erano decenni che non bevevo una Schiava … “…na sciaveta”, come si usava dire dalle mie parti quando ero più giovane di 30 anni. E allora la Schiava, in bottiglia al bar e sfusa sulla tavola di tutte le famiglie contadine e piccolo borghesi, non mancava mai. Era la Sciaveta. E metteva allegria. Accompagnava il pasto di tutti i giorni e le serate passate a giuocare a briscola e a tressette.

Probabilmente, la mia è l’ultima generazione di trentini a ricordarsi della Schiava. Chi è venuto dopo, ne sono quasi certo, non ne ha mai sentito parlare.

Allora, fino agli anni Ottanta, era la base ampelografica prevalente del vigneto trentino ( 35 %), dieci anni dopo era già scesa al 25 %. La vendemmia 2015 ha fatto registrare, secondo i dati diffusi nei giorni scorsi da Consorzio Vini, il 2,48 % di uve Schiava.

Insomma, la Schiava, al pari degli altri autoctoni trentini, e ancora di più, è  sparita. Credo che quel poco che rimane, a parte qualche rara bottiglia con la Doc Valdadige e con la Doc Caldaro, finisca nel minestrone del Casteller.

Avevamo, fino a 30 anni fa, la materia prima per un vino moderno e contemporaneo, poco alcolico, disimpegnato, semplice. Rosato di un rosa da far invidia ai rosatelli che vanno di moda in questi anni. Avevamo. Perché, oggi, quella materia prima non ce l’abbiamo più.

Peccato.