Cip - Paola Attanasio
Cip – Paola Attanasio

Non si può usare la sfera di cristallo per indovinare il futuro di FEM, né serve rifugiarsi in linguaggi tecnico-scientifici o negli inglesismi per spiegare il fenomeno, anche se ormai l’inglese in FEM è la lingua con cui s’intendono centinaia di ricercatori provenienti da decine di Paesi diversi. Basterebbe questo per non banalizzare un’istituzione gloriosa che ha ancora molto da dare.

Conviene quindi ricordare da dove si è partiti e cos’è oggi, per capire meglio dove intende andare. Nel 1874 la Dieta di Innsbruck, dopo un contrastato dibattito, decise di aprire una Scuola agraria con annesse Stazione sperimentale e Azienda agricola per la popolazione italiana dell’Impero. Le lezioni si tenevano per lo più in tedesco sotto la direzione del viennese Edmund Mach, peraltro nato a Bergamo.

Già dopo pochi decenni i suoi allievi operavano in tutti i continenti, tanto per sottolineare una storica vocazione all’internazionalizzazione. Con il Regno d’Italia e le due guerre ci furono alti e bassi, ma San Michele si consolidò come di punto di riferimento sia per la formazione agraria che per la ricerca e la sperimentazione. Alla fine degli anni ’50 si dovette lottare per elevare la Scuola tecnica agraria (3 anni) ad Istituto tecnico agrario (5 – 6 anni con specializzazione in viticoltura ed enologia) e negli anni successivi per accorpare la Stazione sperimentale con il reparto Ricerca che pure si stava facendo un nome.

Una svolta, anche questa contrastata, la dette a metà degli anni ’80 Attilio Scienza che allevò un gruppo di giovani ben diretti e motivati che rappresentarono lo zoccolo su cui ha poggiato la Ricerca a cavallo del millennio. In parallelo anche la Scuola con un migliaio di giovani si è evoluta, ampliando l’offerta nel 2010 fino alla Laurea (interateneo con le Università di Trento e Udine con possibilità di frequenza alla Hochschule Geisenheim University, ecc.).

Oggi abbiamo un Centro Istruzione e Formazione di prim’ordine come di prim’ordine è il Centro Ricerca e Innovazione. In attesa della prossima rivisitazione del terzo Centro, quello del Trasferimento Tecnologico nato dall’affido a San Michele di ESAT, l’attualità del periodo riguarda il CRI con il cambio del suo dirigente Roberto Viola. Sotto la sua guida – ben sorretta dalla presidenza del Prof. Salamini che non ha lesinato i necessari supporti su finanziamenti PAT (ma non solo) – il CRI è cresciuto molto specie nel mondo della genomica, la frontiera più avanzata. Durante un processo di sviluppo però, basta che un fattore esterno come la riduzione delle disponibilità o un qualche atteggiamento mal vissuto per incrinare i delicati rapporti fra sistemi e persone.

Il punto è questo ed è spiegabile con un esempio semplice, da prendere in California: dal dopoguerra (ma anche prima) è da lì che sono partite le più travolgenti innovazioni che caratterizzano la vita quotidiana dell’uomo moderno e post moderno; non servono prove. La domanda è, perché proprio in California? Perché quello è considerato il più bel posto del mondo, quello dove anche i ricercatori si trovano ottimamente e se alle spalle hai la prima economia mondiale che finanzia, il gioco è fatto.

Orbene, per una serie di considerazioni che conosciamo, il Trentino per l’agricoltura (vitivinicoltura, frutticoltura, ecc.) è un po’ la California d’Italia con un ambiente ottimale anche per la ricerca. Per questo, rompere l’equilibrio è un vero peccato e se capita, bisogna fare di tutto per ristabilirlo in fretta. Coi tempi che corrono, abbiamo visto che si deroga spesso e volentieri dalle regole, cosicché anche il CdA si trova a ratificare decisioni prese altrove e la voglia di alzare la voce è tanta. E’ un bene che queste voci ci siano e i destinatari delle critiche dovrebbero ascoltarle, invece di reagire stizziti emarginandole.

Ma se dietro a tutto ciò non ci sono interessi inconfessabili (e non è il caso di FEM)il dirigismo su San Michele può passare per peccato veniale. Come dire, se Parigi val bene una Messa, anche un rango universitario non subalterno ha un prezzo e in quest’ottica “cedere” una mente della ricerca non significa perdere la ricerca, ma allargare ancor più gli orizzonti. Del resto, i numerosi ricercatori FEM abilitati alla docenza universitaria l’anno scorso in attesa di quelli che la riceveranno prossimamente, sono la risposta più chiara. Importante ora è non farseli scappare. Pertanto, ristabilito l’equilibrio con un incarico-ponte alla dott.ssa Rizzoli condivisa dai colleghi e in attesa del dirigente che verrà scelto con bando, ci si può concentrare sui programmi e sulle vere attese. Queste sono locali da un lato e molto vaste dall’altro.

Per rispondere a quelle locali bisognerà che anche le imprese agricole si avvicinino a FEM con proposte concrete (se ne hanno), sapendo che i tempi sono condizionati anche dai cicli della natura, mentre per il vasto raggio, ossia per la ricerca pura, è importante garantire continuità e serenità, evitando anche qui la banalizzazione di pensare che al Trentino questa non interessi. La ricerca è una sola e quella applicata non esisterebbe senza quella pura, dovrebbero saperlo anche i sassi.