Il titolo della degustazione per enologi e appassionati organizzata qualche giorno fa dalla sezione trentina dell’AEEI presso la Cantina di Toblino era questo, ma lo zampino del co-organizzatore Mario Pojer raspava probabilmente attorno al Vino Santo, una gemma locale ancora troppo nascosta. Quindici campioni del Trentino, Alto Adige, Friuli, Veneto, Toscana, Umbria e Sicilia, ma anche un Sauternes di Francia, un Tokaji ungherese, un Auslese tedesco ed un Beerenauslese austriaco, così, tanto per introdurre un ragionamento sui vini dolci in generale e concretizzare qualche proposta per agitare le acque chete del mondo trentino. A guidare l’assaggio cieco il noto degustatore, eccellente wine writer e fine documentarista, Massimo Zanichelli. Il primo campione, dalla nota leggermente ramata è parso subito interessante, piacevole, netto e tenue al naso, da uva appassita non botritizzata, equilibrato anche al gusto con sentori di mela, poco aromatico e fragrante, caratteristico di una tipologia vecchio stile: ci verrà detto poi che si trattava di un Verduzzo di Ramandolo 2011 dell’az. agr. Giovanni Dri Il Roncat di Nimis (UD). A seguire un prodotto più autorevole, sospetto Vino Santo, con nota tenue di caramello, dattero, albicocca e vaniglia, in bocca caldo e balsamico, legno garbato senza il vanigliato da barrique, lievemente vulcanico: sarà il Torcolato di Breganze 2009 di Fausto Maculan ottenuto da uva Vespaiola. Il terzo è parso subito più alcolico (14°) e dolce, un po’ corto in bocca, quasi ammandorlato con iniziale spezia pungente da zona vulcanica/calcarea, con sentori di pera e albicocca, ma non particolarmente complesso: si rivelerà essere il Recioto di Soave 2011 (da Garganega) Le Colombare di Piero Pan. Col quarto si sospetta un balzo Oltralpe (?) per chiarezza di colore, ma tanto per quel sentore di muffa nobile, elegante, bel naso non troppo potente, in bocca mancante un po’ d’acidità, comunque interessante pur non essendo un capolavoro, con quei toni da frutta esotica di ananas e papaia: sarà il Sauternes-Barzac 2013 di Chateau Farluret della Maison Pontalier-Rivière. Muffato anche il quinto, di nome e di fatto come si scoprirà, con tono quasi ramato che evoca subito sole e miele d’acacia, seppur un po’ sporco: è la degna risposta di Antinori al Sauternes, col Muffato della Sala 2012. Il sesto campione, non ancora in bottiglia, si era mosso di suo stante una velatura con un po’ di carbonica: giudizio rinviato per il Mandolaia 2013, la vendemmia tardiva di La Vis. Successivamente, è subito chiaro che il campione non è dei nostri per l’abbondanza di solforosa che disturba già al naso, condizionando quei Welschriesling (60%) e Chardonnay (40%) che lo compongono: è il Beerenauslese dell’austriaco Kracher, sul Neusiedlersee nel Burgenland. Al giro di boa, un vino minerale, candito, di bocca semplice e succosa, ma non grassa, acido e dolce in perfetto equilibrio col gusto di polpa di pesca matura, godibile e sapido: è l’Essenzia 2010 di Pojer&Sandri da uve Traminer e Sauvignon botritizzate al 40% ed altre per sostenere la necessaria acidità. Col nono campione s’accentuano mineralità fino al citrino per coprirsi d’idrocarburo: sarà il Riesling Auslese 2010 della Mosella di Markus Molitor, roccioso e non accondiscendente. A seguire, con un balzo nel caldo ambiente mediterraneo una delizia che sa di rosmarino, albicocca e frutta secca tipica del terroir già al naso, con gran ritorno aromatico al palato, vulcanico e salmastro, equilibrato eppur sapido, non solo dolce e seduto come tanti mediterranei: sarà il Passito di Pantelleria Ben Ryé 2012 di Donnafugata. L’undicesimo ci riporta fra le Alpi, un prodotto ben fatto che di fronte al precedente figura come diluito mancandogli un pizzico d’acidità e scontando quasi una mano che li lega, facendo da ponte ideale fra Sicilia e Alto Adige: è infatti, il Teriminum, la vendemmia tardiva della Cantina Tramin. Cambiatone uno per palese sapore di tappo, il sostituto n. 12 si conferma di stile ossidativo – segno di un’enologia da rivedere – come passito corto e deludente, fatto alla vecchia maniera: sarà l’ungherese Tokaji Tinon 2006. Il terz’ultimo invece, mogano vecchio, riconcilia subito il naso con sentori di mallo di noce, netto, aristocratico che in bocca sa di zabaione, dolce, alcolico e non sarà una sorpresa: è il Vin Santo del Chianti Classico 2006 di Isole e Olena. Il quattordicesimo reca timbro trentino, si sente l’albicocca anche se un po’ carente al naso, piacevole al gusto con tannino finale; evolve nel bicchiere, sale e scende in evoluzione con folate di zabaione, effetto dell’appassimento: è il Vino Santo 2000 della Cantina Toblino. Si chiude in bellezza con un altro elegante Vino Santo Trentino DOC dalla personalità unica, che ha poco in comune col Vin Santo toscano (il quale lega semmai col piacentino) e sarà la gemma dell’azienda agricola di Gino Pedrotti. Pur contenti, si conviene sul patrimonio inespresso, sull’importante carta da giocarsi, sulla necessità di un’operazione culturale per tanti consumatori sempre più in deficit di conoscenza, insomma spazio di nicchia. In un mondo che va per grandi denominazioni, infatti, occorre affiancare il nome del produttore e ciò appare ancor più vero per i vini dolci che se la devono vedere prima con lo strapotere dei rossi, poi dei bianchi e degli spumanti. Ma non è giusto che l’umbro Muffato della Sala sia famoso e il Vino Santo Trentino DOC no! Muffati pure gli enologi? In qualche modo si dovrà ripartire, magari rinunciando ad anteporre il modo di elaborazione di questo autentico nettare dandogli una più specifica origine geografica (Toblino?) sorretta da un nugolo di produttori tanto motivati ed orgogliosi, quanto rispettosi fra loro. Un distretto d’eccellenza questi valori li deve dare per scontati.