Su suggerimento di una solerte amica con cui in passato ho condiviso alcuni ragionamenti attorno al tema del territorio lagarino, ho appena finito di guardare su YouTube l’ultima puntata di Girovagando in Trentino, la bella trasmissione televisiva di territorio, cultura ed enogastronomia, condotta da uno dei pochi giornalisti di settore che stimo e di cui conosco l’onestà intellettuale, Walter Nicoletti. La puntata è dedicata alla città di Ala e alla sua montagna, la Lessinia.
Sono legato a questi luoghi e a questa città da un antico affetto. Per questo mi permetto alcune considerazioni che potrebbero sembrare spiacevoli, ma che al contrario vorrebbero essere un atto d’amore.
Trovo che il lavoro di Nicoletti, come sempre anche questa volta sia magistrale, perché almeno sul fronte dell’enogastronomia racconta allo spettatore che abbia voglia di capire, quella che io non esisto a considerare la disfatta di un territorio. Prababilmente non era questo l’obiettivo dello spottone televisivo. Ma questo, fortunatamente, è stato il risultato.
Mentre le immagini si attardano sui verdi pascoli della Lessinia abitata da gioiose vacche pezzate, il ristorante scelto per la vetrina televisiva racconta di formaggi prodotti in Veneto (Monte Veronese) e a Sabbionara, capoluogo trentino della Terra dei forti, comprensorio interregionale a cui Ala a suo tempo, nemmeno tanti anni fa, scelse di non aderire. Niente di male, chiaramente, nel promuovere in Lessinia  le inarrivabili prelibatezze del Caseificio Sociale di Sabbionara, se non, semmai,  il fatto che la materia prima attiene più ai pascoli del Monte Baldo che non a quelli della montagna alense. Ma, se vogliamo, questa è un’inezia. Ciò che colpisce, invece, è’ il destino di una materia prima, il latte della Lessinia, orfana di un marchio di riconoscibilità territoriale su una montagna da sempre destinata all’alpeggio a servizio della zootecnia di fondovalle. Una condizione di smaterializzazione identitaria che riguarda il latte, ma che fa il paio con la vitivinicoltura di questa terra. Dopo quello di Trento, il comune di Ala è il più grande distretto viticolo del Trentino con oltre 750 ettari di superficie vitata, più di Mezzocorona, più Avio, più di Lavis. Eppure lungo tutta la trasmissione viene inquadrata una sola bottiglia di vino, una bottiglia di Marzemino Superiore di Isera. E’ un territorio senza identità viticola, quello di Ala, con un potenziale di imbottigliamento di oltre dieci milioni di pezzi, ma con un confezionamento reale di poche decine di migliaia di bottiglie; una produzione faticosamente assicurata da un manipolo di vignaioli che definire eroici – viste le condizioni politiche in cui agiscono – è dire poco.
Il vino di Ala – e qui si capisce perché Nicoletti inquadri una sola bottiglia di Marzemino di Isera – si ferma qui, ad una manciata di bottiglie senza reputazione territoriale alle spalle. La coop di riferimento della zona, infatti, da tempo ha preferito rinunciare all’imbottigliamento con etichette proprie, concentrando la sua attività esclusivamente sulla vinificazione funzionale alle esigenze commerciali di un grande gruppo industriale. La situazione la spiega bene un enologo di vaglia, come Massimo Azzolini, in chiusura trasmissione, anche qui per chi abbia voglia di andare oltre le parole e di dare un senso alle parole. L’enologo, infatti, spiega che la grande maggioranza delle uve coltivate appartengono alle varietà Chardonnay e Pinot Grigio. Le due tipologie internazionali la cui destinazione, in Trentino, è irrimediabilmente funzionale alla produzione di vino merce da export.  Con un sincero, credo, slancio di generosità verso la sua terra, il buon Azzolini ricorda anche che nel distretto vinicolo di Ala sopravvivono ancora alcune varietà autoctone e territoriali: Casetta ed Enantio. Una sopravvivenza, aggiungo io, al limite dell’estinzione. Qualche migliaio di pezzi di Ambrusca a Foja Tonda prodotti da un unico viticoltore (La Cadalora), mentre non ho notizia di imbottigliamenti in loco di Ambrusca a Foglia Frastagliata. E comunque, per entrambe le varietà, una vinificazione costretta a restare fuori dalla apposita DOC pensata negli anni Duemila per questi due vini, la Terradeiforti, il cui perimetro, in Trentino, si ferma al distretto viticolo di Avio. E non comprende Ala, la cui disfatta territoriale, almeno in chiave vitivinicola, fu progettata e architettata alcuni decenni fa. E i risultati si misurano oggi. In quella bottiglia di Marzemino Superiore di Isera inquadrata dall’ottimo Nicoletti e a cui è assegnato il compito di illustrare l’inesistente identitarismo vitivinicolo alense.