Forse mi sbaglio, ma sembra che ci sia dell’amarezza anche nelle parole di Sergio Ferrari nell’apprendere che è finito il sodalizio tra Cavit e Sait quando scrive: “…Basta pensare al Casteller che per anni ha rappresentato il vino quotidiano delle famiglie trentine …” e a dire il vero dispiace anche a me questa decisione, ha il sapore della sconfitta, dell’incapacità di trovare una mediazione che possa accontentare entrambi a tutto vantaggio di chi produce e consuma le nostre eccellenze enoiche.
Adesso capisco perchè non si è voluto che questa decisione passasse attraverso le assemblee dei soci, fosse dipeso da me avrei cercato in tutti i modi di ostacolare questo divorzio. Per capire di cosa stiamo parlando, di quale mercato il Sait rappresenti e che Cavit ha deciso di snobbare riporto questa tabella riassuntiva direttamente dal sito di SAIT:
77 Famiglie Cooperative sul territorio trentino 21 Cooperative fuori provincia 110.000 Soci persone fisiche 2.400 Collaboratori 400 Punti vendita serviti di Cooperative 380 Punti vendita privati serviti nel nordest 31 Punti vendita rete diretta
Io, lo confesso, sono solo un contadino, ma questi numeri danno l’idea di un mercato che se gestito correttamente (non con i prodotti sottocosto) poteva rappresentare una bella fetta di vendite esclusive per Cavit. Ma che cavolo di cooperazione è mai questa che si permette di snobbare questa solida e diffusa rete vendita? Cosa può spiegare queste decisioni? Io faccio fatica a riconoscermi in questo modello cooperativo. Non che pensi che il vino rimanga invenduto, per carità, ma pensando a come invece si sarebbe potuto sviluppare il mercato del vino con il Sait nei nostri supermercati trentini, mi cadono le braccia.
Viticoltore innamorato del mio lavoro, della Cooperazione Trentina e dell’Economia di Comunione. Non ho particolari talenti sono solo appassionatamente curioso.
giuliano, credo che se fossero giunti i bilanci sait in assemblea il voto dei soci sarebbe stato pressoché unanime (ammesso che siano chiari e limpidi come il dubbio che non lo siano per nulla). piuttosto interessante notare che, lì dove è stata richiesta assemblea per la modifica statuaria, ai soci non è stato comunicato il divorzio, ma generici agg. normativi. D'altronde si sa, son faccende di cuore, da tenere private.Comunque trovo sia positivo che il sait ora lavori da solo perchè, se era suo compito far da vetrina al terrotorio, credo che i suoi direttori si fossero convinti d'essere in qualche altra regione.
Certo, un saldo negativo di 11 milioni avrebbe persuaso anche il più incallito sostenitore del no al divorzio da Cavit,
mi piacerebbe sapere poi, se possibile, in quale cantina è stata richiesta l'assemblea per delucidazioni sulla modifica statuaria e come è andata a finire. Grazie.
Buongiorno, per quanto riguarda la nostra cantina c'è stata informazione a margine delle assemblee elettive, è stato spiegato il motivo ufficiale ( la modifica dello statuto Cavit, che è tra l'altro un bel passo avanti sulla democrazia partecipata).
Trovo molto interessante il commento di Rossi, spiega molto bene quello che in questi anni è stata la coop, e se cavit e le cantine associate hanno deciso di staccarsi almeno un pò da tutto questo non posso che pensare che sia una bella notizia
Perché girarci intorno? Sait era socia di Cavit fin dalla prima ora (1957) perché allora si pensava di collocare l'imbottigliato prima di tutto attraverso la rete di distribuzione di casa. Ci si rese conto presto che per stare sul mercato Sait e Famiglie coop. dovevano vendere anche prodotti della concorrenza. La concorrenza, appunto. Non sortì nessun effetto, infatti, nemmeno il risoluto e reiterato tentativo di obbligare questo socio all'interesse del Consorzio delle Cantine Sociali che per sfondare sul mercato pensava di concentrare l'offerta sul brand (si direbbe oggi) Cavit. La gente compra quello che gli pare, non quello che dice Via Segantini, secondo appunto. Mentre Cavit cresceva (soprattutto all'estero) e mentre le Cantine di primo grado venivano via via sempre più mortificate nella proposizione dei propri brand, i presidenti Cavit venivano eletti di fatto con il voto determinante del Sait. E il voto di Sait è spesso stato in mano di qualcuno e ultimamente della Federazione e per essa del suo comparto cooperative agricole… Una situazione assurda che ha penalizzato gravemente la Cooperazione in generale e le Cooperative di primo grado in particolare. Bene hanno fatto, dal mio punto di vista, ad epurare un corpo che era diventato estraneo. Credo che la distribuzione cooperativa in loco, si conquisti con un ventaglio d'offerta, cominciando a sensibilizzare – come qui si ripete invano da tempo – le migliaia di famiglie di cooperatori, testimoni in primis dei loro prodotti. Un esercito di consumatori/promotori sotto utilizzato, male governato e un lusso che in tempi di crisi non ci si può permettere. Altrimenti la concorrenza continua a fregarsi le mani.
Non capisco perchè i due che hanno giocato sporco e che a questo punto hanno anche un nome e un cognome, sono liberi, liberi di agire ancora (?) contro la Cooperazione.
Perchè?
Perchè invece di dover arrivare a quella decisione estrema non è intervenuto qualcuno a sanzionare o quanto meno a garantire che questi comportamenti non accadranno più?
Cosa dovremo aspettarci ancora?
Intanto facciamo i complimenti al nostro collaboratore Giuliano Preghenella, che sta diventando un opinion maker di riferimento…. e questa cosa ci piace e ci rende orgogliosi!
Bravo Giuliano!
Tano B.
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Grazie Tiziano, ma ricorda che il merito è tutto dovuto a questo bel blog!
Salve, ma si può sapere perché Sait è uscito (o è stato buttato fuori) da Cavit? E' un passaggio che non ho capito e di cui non riesco a cogliere le ragioni.
Grazie
Bella domanda Zorro, ovvio che rimarrà inevasa,
ma qualsiasi sia la risposta l'unica certezza è che è una perdita per il Trentino Cooperatore
perchè se non riescono loro, gli amministratori più “alti” ad andare d'accordo,
a trovare l'accordo come possono pretendere fedeltà ai Valori Cooperativi dalla base sociale?
È una cooperazione "fredda" questa, legata ai festival dell'economia che a distanza di un mese non lascia traccia di se non nelle spese…
Qui secondo me oltre a cercare un nuovo presidente FTCOOP c'è bisogno di riscoprire le cose che hanno ispirato ai primi del novecento il movimento cooperativo.
A cominciare dalle encicliche.
C'è il bisogno che la chiesa rientri con una parola chiara e forte sulle questioni sociali, e che come disse Georges Bernanos nel "Diario di un curato di campagna" ai tempi della Rerum Novarum “rifaccia tremare la terra sotto i piedi”.
I problemi (crisi borse, disoccupati, aziende fallite) e i concetti che ispirarono prima la Rerum Novarum e quarant'anni dopo la “Quadragesimo Anno” sono così semplici ed attuali da lasciare esterrefatti:
ecco per esempio come è attuale nella “Quadragesimo Anno” ciò che è scritto al n.132:
“i facili guadagni che l'anarchia del mercato apre a tutti allettano moltissimi allo scambio e alla vendita e costoro unicamente agognando di fare guadagni pronti e con minima fatica con la sfrenata speculazione fanno salire ed abbassare i prezzi secondo il capriccio e l'avidità loro con tanta frequenza che mandano fallite tutte le sagge previsioni dei produttori”.
Non sembra scritta ieri?
Ma di queste cose non si parla, non si discute al festival, non si usano per fare formazione.
Perchè?
Chiesa dove sei?
Vescovo Lauro: aiutaci tu!!!
Buongiorno, Io direi di lasciar perdere la chiesa e i suoi affiliati, in tutti questi anni abbiamo avuto molti amministratori scarsi ,quando non pessimi, ma nella loro scelta l'importante era che fossero organici a quel mondo che Giuliano in un certo senso rimpiange e evoca.
Da ateo militante credo che ti abbia ragione, Giuliano. La ccoop senza valori, in questo caso cristiani, è uno strumento freddo al servizio delne capitalista. Era nata, a suo tempo, come ipotesi di una terza via. Oggi non è più così.
Hai ragione, anche secondo me il festival dell'economia e' una cialtronata che tutti gli anni passa senza lasciare niente. Una manifestazione inutile ma che serve a politici ed amministratori per fare i fighi, invitando ministri, soloni dell'economia e altri fenomeni.
Anche io penso come Giuliano che questa esclusione sia una perdita. Vero come dici tu che ci sono i punti vendita delle sociali, ma sono undici. Non cento. La rete distributiva di Sait poteva essere una risorsa per il vino terrrtoriale, a consumo locale e turistico. Poi gli scaffali possono anche non essere anonimi e valorizzare il prodotto come si conviene. Mi viene in mente per esempio l angolo dei vini territoriali della Famiglia cooperativa di Avio, che tu iconosci bene. Mi pare un bell esempio di scaffale che valorizza il prodotto.
…che succede adesso?
Buongiorno, credo che una delle risposte, stia nel diffuso ruolo sul territorio, dei vari punti vendita delle cantine sociali, sono piccoli spazi di autonomia che Cavit lascia alle sue associate, di conseguenza la presenza sul territorio è sicuramente garantita, c'è anche da dire che in questi punti vendita, dove gestiti bene, vengono molto valorizzati i prodotti (e non solo vino), locali, ma anche i vini Cavit, hanno molto spazio, sicuramente più che in un anonimo scaffale di supermercato.
Questo è un angolo della vinoteca territoriale della Famiglia Cooperativa di Avio. E questo per dire che volendo la rete distributiva coop può fare molto per i vini di territorio.
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